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Festa Democratica, il Pd discute di imprenditoria a Molfetta Emorragia di cervelli, la nuova questione meridionale. Competizione territoriale, ricapitalizzazione delle PMI, liberalizzazione delle regole, i punti della discussione. Discusse anche le opportunità lavorative a Molfetta: dalla meccanica alla cantieristica navale, fino al porto
19 settembre 2011

MOLFETTA - Parola abusata e strumentalizzata, il binomio lavoro-giovani è parte dell’alfabeto politico, ma il disimpegno della politica ne sta azzerando le fattezze. È possibile dare una nuova vocazione lavorativa, imprenditoriale e artigianale alla città di Molfetta? Fermare l’emorragia delle giovani e brillanti professionalità locali? È sufficiente il trinomio capitale, lavoro, istituzioni?
Attivare un nuovo circolo della fiducia per rilanciare l’economia imprenditoriale e artigianale a Molfetta, il know-how di partenza nel secondo incontro della «Festa Democratica». Emorragia di cervelli, la nuova questione meridionale. Poca la fiducia offerta ai giovani, scoraggiati nell’immaginare una soluzione lavorativa nel Sud Italia. Stessa linea per Gianluigi de Gennaro, ricercatore dell’Università di Bari e Direttore scientifico di Lenviros, e Domenico Favuzzi, presidente di Exprivia, che puntano sulla necessità di rendere competitivo il territorio per attrarre lavoro e sulla capacità di generare coraggio per la competizione.
Ottimismo per il futuro, cadaveriche le premesse. Sbagliate sono state le politiche del lavoro della Regione Puglia, secondo Corrado la Forgia, manager Bosch, se nel Rapporto Svimez 2011 (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) la regione occupa il terz’ultimo posto. Produciamo poco Pil: e Molfetta è parte del sistema Puglia.
Dunque, come rendere attrattivo il territorio? Tre le proposte del dott. la Forgia: assicurare il rispetto delle legalità di fronte al dilagare della microcriminalità e al risicato interesse per il bene comune (garantire un sistema valoriale alla società civile); proiettarsi con una visione al futuro, soprattutto a livello politico-amministrativo; (ri)capitalizzare le aziende, correggendo il nanismo (sottocapitalizzazione) delle piccole e medie imprese, che non solo blocca lo sviluppo, ma favorisce il sommerso.
Il sistema del credito, il maggiore accusato perché per le PMI è impossibile accedere a un finanziamento: le garanzie richieste dagli istituti di credito non possono essere assicurate. Frecciatina anche all’iniziativa regionale Bollenti Spiriti: è opportuno aumentare le somme di capitalizzazione per i partecipanti al bando, per evitare che dopo qualche hanno la neoaziende falliscano. Finanziare pochi progetti con più capitali ai singoli.
 
Quali regole? Occorre liberalizzare le regole, di fronte alla globalizzazione delle imprese e dell’economia, secondo il dott. Favuzzi: ma «il vero problema è la crescita economica e la mancanza di aggregazione e sistematizzazione - ha aggiunto - dobbiamo incrementare lo sforzo di invenzione, ampliare il mercato, che non è solo quello locale, e elaborare una dialettica tra senso dello Stato e libertà sociale». 
Riforme incisive per il moderatore Davide de Candia (Pd), evitando di accanirsi sul costo del lavoro, come accaduto in questi ultimi anni. Anche la capacità proattiva di saper leggere il mercato del lavoro per proporre idee e soluzioni: «abbiamo bisogno di chi, restando a Molfetta, sappia mettere a frutto le potenzialità personali e territoriale».
 
L’articolo 8. Uno dei più discussi per la Finanziaria 2011-12 (molteplici gli emendamenti estivi). L’articolo 8 della manovra prevede la possibilità di includere la licenziabilità tra le deroghe alla contrattazione nazionale contenuta in accordi aziendali e territoriali, purché tali accordi siano stati sottoscritti dai sindacati più rappresentativi a livello nazionale e territoriale (in contrapposizione all’art. 18 della Legge 300/70, lo Statuto dei lavoratori).
«Un imbarbarimento delle condizioni sindacali», secondo de Candia, soprattutto per «la ripresa delle gabbie salariali», anche se «il Pd è pronto a discutere della contrattazione di secondo livello», fino a quando non si lederà il profilo del lavoro. Infatti, con l’art. 18 passerebbe l’idea di licenziamenti “senza giusta causa” solo nell’ipotesi in cui ci sia anche  il consenso dei sindacati.
Provocazione per il dott. Favuzzi, componente della giunta di Assinform, associazione nazionale aderente al sistema Confindustria a livello regionale, secondo cui «l’impresa deve essere generatore di sviluppo e valore aggiunto, non farsi carico dei problemi dello stato sociale come nel passato» con l’opportunità di «sperimentare e correggere, per essere protagonisti come si dovrebbe anche al Sud», mettendo da parte la vecchia cultura italiana improntata all’idea della grande impresa manifatturiera.
 
Quali opportunità a Molfetta? Meccanica, la nuova vocazione della città. Creare un consorzio per produrre un made in Molfetta, abbassando i costi d’investimento e garantendo il valore aggiunto, l’opportunità. Gli individualismi imprenditoriali, il nodo insolubile.
Analizzata anche la cantieristica navale di Molfetta: «stiamo passando dal legno all’acciaio e a Molfetta, oltre alla realizzazione in corso di sei nuovi natanti, è stato costruito il primo yot da un giovane professionista, che ha utilizzato lamiere tagliate a Genova - ha spiegato l’ing. la Forgia - ma tutto accade nella totale indifferenza della politica». Ripensare il settore e sviluppare una filale (azienda per il taglio delle lamiere, azienda per motori marini, filone della nautica, ecc.), l’idea lanciata da La Forgia, che non ha risparmiato critiche alla costruzione al progetto del porto.
È stato spiegato il modello di business sotteso alla realizzazione del porto? Cosa ne vogliamo fare? Qual è la visione strategica? Molfetta è, infatti, fuori dall’Autorità Portuale. Il porto è solo il figlio dell’arroganza e del solipsismo della politica azzolliniana, priva di qualsiasi progettualità. Intanto, de Candia ha annunciato a breve una conferenza del Pd sul porto, in attesa del big bang di fine anno.
Eppure, le opportunità non mancano a Molfetta, ma «bisogna iniziare a parlare della produttività e non del costo del lavoro, del lavoro e dei successi ottenuti», secondo il dott. Favuzzi, che ha ribadito l’assenza di una sinergia tra impresa e politica sul territorio. Ma perché il settore dell’imprenditoria è avulso dalla politica?
«Politica è anche far bene il proprio mestiere», secondo la Forgia, è una partita che si gioca tutti i giorni nella quotidianità, ma oggi «nessuno riesce a indignarsi per l’invivibilità della città di Molfetta».
 
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Autore: Marcello la Forgia
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A proposito di assalti alla Costituzione, non si è parlato dell'art.41, ma sembra ormai che ci sia, a destra e a sinistra, comune volontà di abolire un articolo che ha il torto di dire che le imprese non possono agire in maniera antisociale, che il valore che creano non può essere calcolato solo in termini di profitto, che esiste una responsabilità delle imprese nei confronti della comunità e portatori di interesse di cui l'azienda deve tener conto (e di cui lo stato si deve far carico assumendone la rappresentanza) che non sono gli azionisti ma i cittadini che non vogliono essere inquinati o depredati dei beni comuni. Si è parlato anche di produttività. Ma per dire che è questione che riguarda le esternalità e i lavoratori, non l'organizzazione aziendale e il sistema finanziario. Nessun cenno allo scandalo, unico nel mondo, per cui in Italia si cumulano cariche sedendo contemporaneamente in un numero illimitato di consigli di amministrazione. Nessun cenno al fatto che si creano così dei trust di fatto che limitano la concorrenza, che si favoriscono esternalizzazioni di comodo per pagare meno tasse e dividendi e sfruttare quel che rimane dello stato sociale per ridurre il costo del personale, infine per spartirsi succulente stock option che consentono ai protagonisti di queste che in tutto il resto del mondo vengono considerate truffe e spalancano le porte delle galere di giocare al ribasso con i titoli delle stesse aziende di cui dovrebbero fare gli interessi (quanti “denti di sega” neigli andamenti dei titoli di borsa!). Gli imprenditori possono legittimamente avere una idea dell'economia che si riduca alla economia aziendale; possono, forse devono, considerare il mercato come un dato di fatto, il mare in cui devono nuotare. Ma perché dovrebbe farlo la politica? perché dovrebbero farlo i cittadini? perché un partito politico dovrebbe, nonostante ogni evidenza, far proprio il punto di vista secondo cui ciò che va bene per le aziende va bene per il Paese?

Cari amici del PD, ma non avevate fatto del motto “incrociamo gli sguardi” una programmatica dell'ascolto? Intendiamoci, è senz'altro importante ascoltare le voci dell'impresa (anche se in Italia il termine “imprenditore” viene attribuito in maniera indiscriminata a seri lavoratori e a maneggioni in combutta simbiotica con la peggiore casta politica), ma lo sguardo messo in scena ieri aveva il difetto di credere di essere il solo sguardo possibile. C'è stato chi, sul palco, ha sostenuto che l'impresa sarebbe l'unica fonte di produzione di valore e che, siccome il Pil mondiale sarebbe in crescita, la crisi sarebbe un'illusione prospettica. Nessuno ha potuto replicare che la scuola, le associazioni, le famiglie producono assai più valore delle imprese e che, anzi, riparano ciò che quelle distruggono prendendosi cura delle vittime di quell'immane tritacarne chiamato mercato, consentendo così quella residua tenuta sociale senza la quale le stesse imprese non potrebbero esistere . Nessuno potuto dire che il Pil mette sotto il conto delle positività ogni disgrazia, sciagura e guerra: ovvio che quello mondiale sia in aumento! C'è stato chi ha sostenuto che l'art.18 debba essere messo in discussione e, a parte Davide sul palco, non ho sentito dissenso in platea. Nessuno ha potuto replicare che sostituire il contratto al diritto come fonte normativa rende i deboli ancora più deboli. Si è invocata la riforma del sistema creditizio, eppure nessuno ha osato spiegare che la stentata erogazione del credito, e il conseguente nanismo delle imprese, discendono da una teoria economica che predica la neutralità della moneta, che vede nell'inflazione il male assoluto e che sta spingendo all'introduzione nella Costituzione dell'obbligo al pareggio di bilancio, cioè alla cancellazione del principale strumento di cui finora disponeva lo stato per poter avviare iniziative anticongiunturali, e questo in nome di una sacralità della moneta che giova solo ai capitali, non certo ai cittadini.
Cari amici del PD, ma non avevate fatto del motto “incrociamo gli sguardi” una programmatica dell'ascolto? Intendiamoci, è senz'altro importante ascoltare le voci dell'impresa (anche se in Italia il termine “imprenditore” viene attribuito in maniera indiscriminata a seri lavoratori e a maneggioni in combutta simbiotica con la peggiore casta politica), ma lo sguardo messo in scena ieri aveva il difetto di credere di essere il solo sguardo possibile. C'è chi ieri, sul palco, ha sostenuto che l'impresa sarebbe l'unica fonte di produzione di valore, e che siccome il Pil mondiale sarebbe in crescita, la crisi che avvertiamo sarebbe dunque un'illusione prospettica. Nessuno ha avuto modo di replicare che la scuola, le associazioni, le famiglie producono assai più valore delle imprese e che, anzi, riparano quello che le imprese distruggono prendendosi cura delle vittime di quell'immane tritacarne chiamato mercato, consentendo così quella residua tenuta sociale senza la quale le imprese non potrebbero esistere . Nessuno ha avuto modo di dire che il Pil mette sotto il conto delle positività ogni disgrazia, sciagura e guerra: è normale che quello mondiale sia in aumento! C'è stato chi ha sostenuto che l'art.18 debba essere messo in discussione e, a parte Davide sul palco, non ho sentito particolare dissenso in platea. Nessuno ha potuto replicare che sostituire il contratto al diritto come fonte normativa rende i deboli ancora più deboli. Si è invocata la riforma del sistema creditizio, eppure nessuno ha osato spiegare che la stentata erogazione del credito, e il conseguente nanismo delle imprese, discendono da una teoria economica che predica la neutralità della moneta, che vede nell'inflazione il male assoluto e che sta spingendo all'introduzione nella Costituzione dell'obbligo al pareggio di bilancio, cioè alla cancellazione del principale strumento di cui finora disponeva lo stato per poter avviare iniziative anticongiunturali, e questo in nome di una sacralità della moneta che giova solo ai capitali, non certo ai cittadini.

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