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Duomo, concluso il restauro torna al suo splendore Sarà riaperto domenica 28 marzo. Intervista all'ing. Michele Balacco
15 marzo 2004

È tutto pronto per l'inaugurazione del 28 marzo, ormai siamo agli ultimi ritocchi e il Duomo romanico, fiore all'occhiello della nostra città, tornerà a splendere, libero da impalcature e polvere. Il restauro, durato oltre due anni, ha interessato praticamente tutta la struttura. A questo proposito, in rappresentanza dell'equipe di professionisti che ha lavorato sulla chiesa, abbiamo intervistato l'ing. Michele Balacco, coordinatore e vero “amante” del Duomo. Ingegnere, l'intervento è stato dettato da problemi urgenti della struttura o si è trattato di un restauro periodico, programmato? “Per me è stato il terzo lavoro sul Duomo, dopo quelli del 1981 e del 1984. I primi due servirono a tamponare le emergenze più gravi, questo invece è stato radicale, sistematico. La chiesa ha circa 850 anni di vita, quindi ha i problemi che una costruzione di tanti secoli logicamente dovrebbe avere. In più qualche difetto originario, ma bisogna precisare che chi ideò il Duomo aveva capacità notevoli. Dopo gli interventi degli anni '80 si sentiva l'esigenza di effettuare un intervento più sistematico, con una serie di indagini e ricerche che le risorse finanziarie di allora non consentivano. La disponibilità di 3,6 miliardi delle vecchie lire da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con l'attivo interessamento del sen. Azzollini, hanno reso possibile tutto ciò”. Lei è il coordinatore di una equipe che ha lavorato simultaneamente, ognuno con la sua competenza specifica. “Il progetto di intervento è stato molto dettagliato, e vi si sono dedicati circa dieci professionisti, di cui, appunto, sono il coordinatore. Una equipe che ha lavorato bene, secondo le competenze specifiche di ognuno. Quattro di noi, me compreso, si sono occupati del restauro propriamente detto; inoltre, vi era un professionista esperto di impianti elettrici, un altro di impianti idrici e termici, ed un coordinatore per la sicurezza. Importante il gruppo AICE, con sede a Pisa, esperti nel campo delle indagini, distruttive e costruttive, per verificare lo stato di salute della chiesa. Da sottolineare l'intervento della esperta di storia dell'architettura, la prof. Cassano dell'Università di Bari. Infine si è svolto uno studio di petrografia per le analisi delle parti litoidi, paramenti murari e sculture.” Il Duomo di Molfetta, oltre ad una storia secolare, presenta alcune caratteristiche particolari ed interessanti, che, forse, non sono state totalmente valorizzate, almeno finora. “Il Duomo è una struttura unica nella storia dell'architettura, la sola Cattedrale romanica nella zona ad avere il motivo delle cupole” (nella foto, la cupola di levante). In asse… “Dice bene, e questa è una caratteristica peculiare e importante, che, da precisare, non è pugliese. È un motivo che viene da lontano, dalla Grecia, da Roma, da Bisanzio. Il fascino di Santa Sofia a Costantinopoli, di San Marco a Venezia, avrà esercitato certamente una gran suggestione. Tutte le Cattedrali romaniche di Puglia sono coperte a tetto; solo San Nicola a Bari fu costruita con una cupola sul presbiterio, ma solo Molfetta ha tutta l'aula coperta a cupola. Non si tratta solo di una scelta formale ed espressiva, ma ardua anche dal punto di vista statico. Le cupole, dal punto di vista estetico sono belle, ma dal punto di vista statico presentano una serie di sollecitazioni, di tipo verticale, cioè del peso, e spinte, tali da richiedere un tipo di contraffortatura che non poteva essere alla portata di tutti, ma richiedeva una competenza e preparazione altissima, pur in assenza delle Università, e grande conoscenza di modelli (come il Pantheon a Roma).” Poi i due campanili… “Certo, perché una Cattedrale romanica con cupole in asse e due campanili, qui non esiste. Tra l'altro le due torri sono originali, romaniche, mentre altrove, come a Trani, dove vi è solo un campanile, questo è stato rifatto nel secolo scorso, dopo un crollo. Mi sono reso conto, durante i restauri, che arriva continuamente gente in visita al Duomo, inglesi, tedeschi, francesi, mentre ci sono molti molfettesi che non sanno cosa è questo monumento”. Bisognerebbe valorizzare maggiormente questa struttura, allargando magari il discorso ad altre realtà cittadine. “A questo proposito, il 9 maggio vi sarà una manifestazione nazionale del Touring Club, di cui sono console, per cui mi occupo della promozione e valorizzazione del territorio in senso turistico della Terra di Bari. Ci sarà la visita guidata al Duomo, fulcro dell'evento, oltre al Centro Antico, San Domenico, la Cattedrale con le tele del Giaquinto, il Pulo e l'Ospedaletto dei Crociati. Inoltre, ma non si è ancora fissata una data, ci sarà una conferenza per spiegare nel dettaglio il tipo di intervento sul Duomo. Vi saranno proiezioni e disegni, è una sorta di dovere morale che sento nei confronti della mia città”. Torniamo all'intervento vero e proprio. Quali sono i lavori di cui la chiesa necessitava? “Recupero statico, consolidamento statico per problemi di età e per alcune scelte progettuali di chi ha fatto la chiesa. Inoltre, fenomeni di dissesto accompagnati anche da una cattiva manutenzione, interventi poco diligenti e intelligenti nel corso del tempo. Negli anni '40 del secolo scorso la facciata fu privata di un avancorpo che aveva importante funzione statica, di cui rimangono in piedi le due cappelle laterali, la cui caduta avrebbe messo a rischio la tenuta del Duomo. Avrebbe rischiato il crollo. Si voleva restituire, secondo una logica discutibile, la sua configurazione e dignità originaria, mentre oggi si pensa che il valore del monumento è dato dalla stratificazione storica degli eventi che si sono succeduti, anche se in contrasto tra loro. Un monumento è testimone dell'evoluzione, è un organismo vivo. I malanni della chiesa derivano non solo da fatti essenziali, ma anche da manipolazioni sconsiderate che gli uomini hanno fatto.” Come si è intervenuti? “Gli interventi sono stati per lo più di tre tipi: consolidamento statico, restauro superficiale e manutenzione. Il restauro superficiale si è reso necessario poiché i paramenti lapidei, costituiti da pietra di Molfetta, e in misura minore, di Trani, hanno subito, nel corso del tempo, l'aggressione fisico-chimica degli agenti atmosferici e antropici, come l'inquinamento atmosferico dovuto all'anidride solforosa. Questi fattori, oltre a colpire la pietra in quanto paramento murario, ha interessato le sculture e le decorazioni, elementi di pregio e valorizzazione della chiesa. Abbiamo analizzato circa 10.000 mq2 di superfici, e le abbiamo sottoposte a trattamento, all'interno e all'esterno. La manutenzione è stata effettuata anche in vista della rimessa in funzione, con l'introduzione di un buon impianto di illuminazione e di riscaldamento, di tipo a pavimento, sommerso, invisibile”. Prima era assente? “C'era solo un impianto di illuminazione, ma aveva i suoi anni e andava sostituito. Sia per il buon funzionamento dell'impianto, sia per una ragione estetica, di valorizzazione. Questo in vista di un più agevole uso ordinario, ma anche di un eventuale utilizzo per concerti, considerata la buona acustica”. E le due cappelle salvate a malapena dal crollo nel secolo scorso? “Erano scoperchiate, raccoglievano acqua ed erbacce. Abbiamo introdotto una copertura in cristallo, tenuta sospesa dall'alto con un nuovo sistema, che sorregge questa copertura. Vi si può anche camminare. Siamo stati attenti a non menomare, alterare l'aspetto della chiesa, per non introdurre trasformazioni gratuite, quindi perverse. Le due cappelle saranno due piccoli musei, nei quali troveranno posto lapidi, acquasantiere, pezzi di scultura recuperati. Saranno molto facilmente visibili, grazie al fatto che le pareti di ingresso delle cappelle saranno protette da due lastre di cristallo, per cui chiunque, avvicinandosi alla chiesa, potrà giudicare e vedere. È questo un intervento a sé, non rientra nei meri interventi di restauro, ma andava fatto, per eliminare questi due avancorpi mozzi e scoperchiati”. Parlavamo prima della filosofia dell'intervento. È bene precisare questo, per anticipare eventuali interventi poco logici, dettati anche da ignoranza, ovvero dalla non conoscenza, di qualcuno in materia. “L'elemento centrale è stato il massimo rispetto per il monumento, nella sua essenza e nei suoi dettagli. Abbiamo cercato di non introdurre assolutamente nessun elemento di trasformazione, benché minimo. Sul piano pratico: dove il concio era spaccato, lo abbiamo consolidato con un intervento non visibile, lasciandolo così com'è. Questa precisazione è d'obbligo per anticipare qualcuno che potrebbe dire: dopo tutti i soldi spesi lasciano la pietra rotta…”. Il primo criterio per ogni intervento di restauro è la reversibilità. È bene precisarlo, reversibilità e rispetto sono i fondamenti. Non devono esserlo solo per gli addetti ai lavori. “Il rispetto anche per la capacità di quelli che vivono oggi e per le generazioni future, di leggere in questo monumento la sua storia e la sua essenza. In modo da non confondersi. Una cosa che si noterà, sia pure col disappunto di qualcuno è che dove, nel tempo, alcune scalfitture erano state riempite di malta, per renderle belle, queste aggiunte sono state asportate per leggere il monumento nella sua nuda realtà, statica e architettonica, senza apportare la benché minima variazione. Lo si legge pulito come non mai nella sua storia”. Come vi siete mossi per quanto riguarda gli infissi? “Vi è stato uno studio accurato. Dopo aver scartato la lega di alluminio, una volgarità per una chiesa romanica, e il legno, per la sua facile deperibilità, abbiamo optato per il bronzo, materiale dignitoso, che conferisce un tono composto all'aspetto complessivo. L'impianto elettrico, invece, è stato fatto passare sotto il pavimento, ci sono solo dei tubi in rame in corrispondenza dei quattro pilastri, che salgono sui capitelli. Abbiamo inserito delle lampade contenute, per impatto visivo e per impatto estetico, fatte realizzare a un'azienda specializzata, su misura”. Nel corso del lavoro vi sono stati ritrovamenti, più o meno importanti? “Abbiamo scoperto due vani interrati, a seguito di scavi archeologici, a destra e a sinistra del presbiterio. Due vere e proprie tombe, che, a parere della Sovrintendenza, da me condiviso, non erano tali da giustificare una lastra di vetro sul pavimento. Quindi un solaio normale e una botola, per chi vuole scendere. Abbiamo preferito non intaccare l'unitarietà della chiesa, in pietra dalle cupole alle pareti, dalle sculture al pavimento”. Sono visitabili, quindi… “Certo, anche se sono poco profondi. Lo studioso o il turista potrà andare giù, basterà una scala e togliere la botola. Qualcuno ha detto: ma perché non lasciarle aperte? La verità è che c'è tanta gente che parla, ma pochi dicono cose sensate. Il problema ce lo siamo posti, forse abbiamo sbagliato, ma ogni decisione è ragionata, anche se sull'estetica vale tutto e il contrario di tutto”. Altri problemi? “Un'altra domanda mi è stata fatta sul perché abbiamo tolto il pavimento per creare l'impianto di riscaldamento e elettrico. Il pavimento era degli anni '60, quindi non originale, non romanico. Poi vi erano esigenze archeologiche, volte a fare chiarezza sulla presenza di una eventuale cripta. Il dubbio è fugato: cripta no, con una serie di motivazioni che testimoniano il no”. Ultima domanda: il ruolo della Sovrintendenza e il suo giudizio sull'intervento… “La Sovrintendenza interviene sempre per i monumenti di enti pubblici aventi più di 50 anni, in virtù del Testo Unico. Oltre ad essere ente periferico del ministero. Il restauro è stato voluto fortemente da me, da circa 23 anni, oltre che dai due parroci don Nicola Gaudio e don Ignazio Pansini, i due vescovi Donato Negro e Luigi Martella. Le novità non si vedono, perché sono state introdotte col criterio del rispetto. Abbiamo dato migliore consistenza statica, un più dignitoso aspetto, una migliore funzionalità. Ai posteri, o alla generazione presente, l'ardua sentenza”. Michele Bruno
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