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Donne e musica di George Farah
15 novembre 2011

Una poetica immersione in un universo sostanziato di armonia e bellezza la personale Donne e musica di George Farah. Allestita presso la Fabbrica di San Domenico per volontà del Centro Culturale Auditorium, con il patrocinio del Comune di Molfetta, l’esposizione è stata inaugurata dalla Professoressa Marisa Carabellese presso l’Auditorium San Domenico il 10 ottobre. Preceduta dal Presidente del Centro Culturale Auditorium, il Preside Prof. Damiano d’Elia, che ha sottolineato il “pregio colorifi co-espressivo” delle creazioni esposte, la celebre pittrice molfettese ha ripercorso, con lucidità e doctrina, il curriculum professionale e artistico dell’italo-egiziano Farah, per poi volgersi all’esegesi e alla lettura estetica, condotte col consueto acume, dei dipinti. Tra le Muse Melpomene, nume tutelare del teatro tragico, era preposta anche (ma alla musica erano legate un po’ tutte e nove le divinità, e, in particolar modo, Euterpe e Tersicore) alla musica e alla melodia. Un ruolo affi ne spettava nella mitologia egizia, humus natia del pittore Farah, alla dea Maat, custode dell’armonia... Tali considerazioni inducono a ritenere che la Musica stessa debba identifi carsi con la donna ed ecco le ragioni di questo omaggio che l’artista, il quale ha all’attivo mostre nei più grandi centri d’Europa ed è artefi ce (come ha ricordato la Carabellese) di “eleganti e raffi natissimi dipinti su papiro”, ha voluto tributare alla femminilità e alla melodia. Nascono così questi trenta dipinti che raffi gurano donne intente a suonare i più svariati strumenti musicali. Alcuni, come l’Erhu, una sorta di violino cinese con la “cassa armonica a forma di tazza da tè”, rappresentano delle vere e proprie chicche per intenditori. Marisa Carabellese ha evidenziato, in particolar modo, “la purezza e la pulizia delle linee”, sottolineando i probabili infl ussi della tecnica degli arabeschi nelle realizzazioni del Farah. Il vernissage off re numerose declinazioni della femme musicienne; la fi gura maschile appare bandita da quest’Olimpo melodico. Unica eccezione l’autoritratto nelle vesti di trombettista, che ammicca al passato (e al presente) di musicista del pittore. Elemento comune ai dipinti la scelta di uno sfondo monocromo, solitamente in perfetta armonia con i colori dominanti delle singole tele. È il caso, per esempio, del ritratto di una melanconica suonatrice di bandoneòn, strumento risalente alla prima metà dell’Ottocento, in cui l’azzurro con rifl essi verdi del piano di fondo è poi ripreso dal piano d’appoggio, dalle maniche della veste della donna e persino dai cromatismi dello strumento. All’armonia apollinea della citarista funge da contrappunto la dionisiaca danza, ma mai scomposta, in virtù del perfetto bilanciamento delle linee, di suonatrici di nacchere e tamburelli. Le musiciste instaurano un rapporto ancipite con lo strumento di riferimento: alcune ne sembrano ironicamente sovrastate, quasi surclassate (è ciò che accade a una compunta pianista); altre appaiono dominanti, come la sinuosa ed elegante percussionista di tumba africana, la disinvolta violoncellista di spalle e a piedi scalzi o la volitiva proprietaria di un basso-tuba. Quest’ultima, capolavoro di ironia e sensualità, tacita lo strumento, comprimendone coi gomiti il padiglione a campana. Il tentativo di dominio non annulla, tuttavia, l’interdipendenza donna-strumento e ciò appare evidente nell’inarcarsi delle natiche della fi gura femminile, che riprende perfettamente la curvatura del tubo avvolto in forma ellittica. Isiaci sistri riecheggiano memorie pascoliane, eleganti dame suonano l’arpa e la loro grazia ricorda l’algida bellezza di Grace Kelly. Non mancano dotte allusioni a bassorilievi egizi, ad esempio nella musical conversazione di tre simbiotiche fi gure femminili, o (rileva la Carabellese) all’etèra del Trono Ludovisi che fi ancheggia la nascita di Venere (o, secondo altri, l’emersione dagli Inferi di Persefone). La liutista è poi una raffi natissima ripresa, in posizione inversa, del caravaggesco Suonatore dell’Ermitage. Persino gli androgini lineamenti della strumentista paiono richiamare quelli dello spagnolo Montoya o del Minniti, i più accreditati dalla critica nella querelle fi nalizzata all’individuazione del modello del Merisi, presumibilmente il medesimo del Bacco degli Uffi zi. Compendio delle donne della mostra appare la direttrice d’orchestra; autorevole nel gesto di dirigere il moto armonico delle altre strumentiste, non riesce a celare la dirompente femminilità che traspare, trionfante, nella danza di una ribelle coda di cavallo.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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