Don Tonino? Una cometa
Papa Francesco lo ha dichiarato Venerabile. E il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, torna a Molfetta per proclamarlo tale, nella solenne concelebrazione del 15 gennaio 2022 in Cattedrale. In perfetta coincidenza con l’uscita del giornale, che ha da sempre e per sempre la memorabile data inscritta nella testata: Quindici. Testimone del Risorto, innamorato di Gesù Cristo, grande “pontefice”: cioè costruttore di ponti fra Dio e l’umanità. Ecco don Tonino Venerabile! Ha saputo stendere una scala tra il cielo e la terra, ha promosso una spiritualità di cerniera tra la fede e la storia, ha letto con la stessa intensità la Bibbia e il giornale, ha frequentato le “basiliche maggiori”, fatte di carne, quanto le “minori”, fatte di pietra. Ha invitato a diventare “contemplattivi”, indicando l’urgenza del connubio fra estasi e azione. L’eternità gli appartiene perché ha fatto dell’esistenza un tempo d’amore. I miracoli che gli servono per la canonizzazione, in realtà li ha già compiti, accarezzando il volto «dei poveri soprattutto, e di coloro che soffrono», come raccomanda l’ouverture del documento conciliare a lui più caro, la Gaudium et Spes, nuova bussola per la Chiesa contemporanea. Qualunque cosa abbia fatto – il prete, l’educatore, il vescovo, lo sportivo, il musicista, l’uomo di cultura, lo scrittore, il giornalista, il profeta, il cantore della bellezza, il campione della tenerezza – lo ha fatto a gloria di Dio. Caso quasi unico nella Chiesa italiana, è stato nominato monsignore giovanissimo, appena dopo aver partecipato da consultore al Concilio ecumenico Vaticano II, la cui lezione ha voluto e saputo tradurre in prassi pastorale, promuovendo una Chiesa aperta al rinnovamento della vita cristiana e alle sfide del tempo. Antesignana di quella di Papa Francesco, anch’egli de finibus terrae. Chiesa circolare, non più gerarchica e piramidale, ma popolo di Dio. Chiesa che recupera la credibilità attraverso l’annuncio della novità cristiana con la testimonianza. Chiesa con il grembiule: estroversa, al servizio del mondo, senza primati e privilegi da custodire, senza più “segni del potere” da vantare, ma capace di esercitare soltanto il “potere dei segni”. Chiesa della minorità, in linea con la radice spirituale a cui l’alessanese «salentinamente planetario» si è alimentato fin da piccolo nel convento dei Cappuccini del suo paese. Minore come Francesco d’Assisi che porta nel cuore, dotto come Antonio di Padova che porta nel nome. Ecco don Tonino! Icona dell’essenziale: pace e carità per parole chiave. Pace è la prima parola del Risorto: «La Chiesa deve tenerne conto». Il sogno di cui è gravida? L’umanità coesa. Conviviale. Che assume le differenze come fattore di ricchezza e di crescita nella fratellanza. Che cerca la pace come somma dei beni più grandi di cui i popoli possono godere: libertà, alterità, giustizia, rispetto della dignità umana, salvaguardia del creato. Pace come dono e come valore fondante. Che viene dall’alto, ma anche dall’impegno coraggioso che parte dal basso. Per rigenerare il mondo. Per cambiarlo profondamente, anzi per ribaltarlo. E sposa il sogno di Isaia profetizzato a Sarajevo come sull’Alta Murgia Barese: mutare le spade in vomeri e le lance in falci. Carità come chiave di lettura della “carriera” di Dio in Cristo: un abbassamento dopo l’altro. «Da ricco che era, si è fatto povero, fino ad amare i poveri con viscere di misericordia». Per questo don Tonino ha considerato i poveri «beati e benedetti »; per questo li ha cercati sulla Gerusalemme- Gerico delle nostre città, e ha dato loro visibilità in un contesto desideroso di occultarli, e si è schierato dalla loro parte, e ha sollecitato gli operatori politici e sociali a fare altrettanto. Si è industriato per promuovere le “pietre di scarto” al rango di “testate d’angolo”. Ha offerto un’ala di riserva a chi è rimasto impigliato nei rovi delle nuove e vecchie povertà. Ha racchiuso l’enciclica della sua vita in un solo periodo: «La misura dell’amore è di amare senza misura». L’ha detto è l’ha fatto. Perché in lui, tra il dire e il fare, non c’è mai stato di mezzo il mare. Ecco don Tonino Venerabile! Dopo aver constatato la caduta dei “muri”, ed essersi opposto alla Guerra del Golfo come ad ogni altra guerra e ad ogni armamento necessario per combatterla, e aver vissuto il dramma degli albanesi in esodo, ed essere entrato in Sarajevo per sventolare la bandiera della pace e fare le prove generali dell’«ONU dei popoli » – dopo aver somatizzato tutta l’ulcera di questa storia – don Tonino si è abbandonato fra le braccia del Signore, invocando Maria del Magnificat, sua compagna di viaggio, che «innalza gli umili e abbassa i potenti». Ma non è morto davvero. Anzi è un miracolo di longevità, di attualità, come molti sostengono e altrettanti acclarano. Il richiamo alla sua esperienza e a diversi suoi frammenti espressivi di particolare efficacia, continua a commuovermi. Ma non piango l’assenza, gioisco per la sua presenza. Don Tonino? Una cometa! Una quota d’infinito e di eterno che continua a illuminare la vita vera. © Riproduzione riservata