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Diritto vigente e diritto vivente nel web 2.0
15 novembre 2011

A causa dei recenti fatti di Roma, intendo la protesta del 15 di ottobre sfociata nei disordini ben noti a tutti, si è aff acciata per qualche tempo sulla scena politico-legislativa l’idea che si potesse rendere “vivente” la normativa vigente prevista dalle disposizioni della cosiddetta legge Reale, emanata nel 1975 (e voluta dall’ allora ministro della Giustizia Oronzo Reale); quella legge sanciva il diritto delle forze di polizia di utilizzare armi da fuoco per mantenere l’ordine pubblico,alla custodia preventiva (anche in assenza di fl agranza). Le forze dell’ordine potevano eff ettuare un fermo preventivo di 48 ore ed infi ne era autorizzata, in casi eccezionali di necessità e urgenza, l’identifi cazione ed anche la perquisizione senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria, quando occorreva accertare il possesso di armi ed esplosivi. La legge Reale infi ne vietava l’uso di caschi che rendevano diffi cilmente riconoscibile il volto dei manifestanti. Si trattò di una legge mai abrogata (pur se sottoposta a referendum abrogativo nel 1978) ma sempre più disapplicata nella pratica. Il diritto vigente è quindi diventato, pian piano, lettera morta in quanto l’evolversi della società che alcuni defi niscono post-democratica non ne ha consentito più l’applicazione; il diritto positum rimane quindi confi nato nell’ambito di una previsione legislativa inattuabile de facto, ma che pur prevede una serie di fattispecie astratte interpretabili ed applicabili alla realtà odierna secondo quel processo di sussunzione tipico del giudice interprete. La volontà del legislatore degli anni ’70 non ha trovato lo spazio politico per poter esplicare i suoi eff etti giuridici: la società cosiddetta civile, che rifugge dall’idea di calpestare il diritto naturale con le arzigogolate produzioni giuridiche del diritto positivo, ha vinto sulla necessità di porre un freno alla ascesa della violenza di piazza, le cui istanze parrebbero essere condivisibili in astratto, men che meno nella loro concreta attuazione. Il dilemma se applicare o meno la legge Reale o addirittura se emanare una Reale-bis (che ne riproponesse la sua ratio) ha fatto i conti con le istanze democratiche e con il timore di una svolta autoritaria, che molti in cuor loro pur si auguravano all’indomani del 15 ottobre. Le norme che il ministro Reale volle far approvare dal Parlamento per fronteggiare gli anni di piombo italiani hanno evocato in molti i fantasmi di uno Stato di polizia, che la società digitale 2.0 in cui tutti oramai viviamo non può accettare per la sua indole spiccatamente democratica. La legge Reale appare iniqua alla società di Twitter e Cloud Computing; quella che il sociologo olandese Derrick De Kerckhove, (allievo di McLuhan) ha defi nito “mente accresciuta”, cioè l’ambiente cognitivo che le tecnologie intessono intorno a noi, rifugge dalle istanze antidemocratiche del legislatore degli anni ’70. Il timore è quello di perdere la libertà? Per De Kerckhove Libertà è un concetto creato dalla democrazia classica e dalla stampa: oggi la libertà è piuttosto trovare il modo per scappare dai profi li e dai database e di essere travolti dalla enorme massa di informazioni che circola in rete ( dall’intervista di Sara Gandolfi pubblicata sul Magazine del Corriere della sera di giovedì 20 ottobre 2011). Molti “osservatori” hanno invece analizzato unicamente la valenza formale della legge Reale, muovendosi nell’ottica cara ad Hans Kelsen del mero positivismo giuridico. Quindi il problema dell’inapplicabilità oggettiva di una legge pur se vigente, ribadisce l’accento sul fatto che spesso vi è lontananza tra la legge che vuole normare la realtà e le istanze della realtà che mal sopportano la legge nell’illusione che l’anarchia (ovvero l’assenza della legge) possa assecondare l’anelito alla libertà dell’uomo moderno

Autore: Giovanni Antonio del Vescovo
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