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Dalle parti dell’infedele
15 aprile 2019

Mi è capitato recentemente di rileggere un bel libretto di Leonardo Sciascia “Dalle parti degli infedeli”, pubblicato nel 1979, che racconta con documenti inediti e ufficiali, le disavventure ed i tormenti (oggi diremmo stalking) subiti in Sicilia, a Patti, da un Vescovo, Mons. Angelo Ficarra, preso di mira dalla DC locale, perché accusato di non essersi molto interessato alla campagna elettorale di quell’anno (1946) e di non aver esortato e fatto esortare i fedeli al voto per la DC, che infatti aveva pesantemente perso le elezioni contro una lista di “laici e comunisti”. Premesso che all’epoca la Sacra Congregazione Concistoriale emanava ai vescovi delle lettere riservate contenenti le norme cui dovevano attenersi i prelati in occasione di qualsivoglia elezione, dalle generali alle locali “i cattolici possono dare il loro voto soltanto a quei candidati o a quelle liste di candidati, di cui si ha la certezza che rispetteranno e difenderanno l’osservanza della legge divina e i diritti della religione e della Chiesa nella vita privata e pubblica...”. La sconfitta della DC a Patti aveva dato inizio ad una vera e propria persecuzione contro il povero Vescovo, che peraltro anni prima (1938) si era opposto coraggiosamente a disposizioni provenienti dal governo fascista circa la libertà di fare cinema in piazza, come si usava allora. Lettere anonime pesantissime scritte chiaramente da preti, con caratteri ritagliati dall’Osservatore Romano, lettere della DC che lo accusavano di aver tradito la Democrazia Cristiana e, per conseguenza la Chiesa, con richiesta di “provvedimenti energici” per evitare che a Patti, oltre la sede del Vescovo, si installi la sede di Stalin! Sono poi partiti, per molti anni, inviti più o meno espliciti, quanto ipocriti, alle dimissioni di Mons. Ficarra, fino ad inventarsi che aveva problemi di vista e udito e che doveva curarsi, o a proporgli aumenti di cariche e di emolumenti, ma in altra sede. Dopo molti anni di reiterati inviti cui il Vescovo aveva resistito e richiesto di essere ricevuto dai suoi superiori per dimostrare le sue ragioni e per dimostrare anche di essere in buona salute, dovette alla fine accettare la nomina di Arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica (?). Nel 1959 improvvisamente morì, senza un sol giorno di infermità. Tutto questo mi ha ricordato quanto, tanti anni dopo (1992), il Vescovo della Diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo, Don Tonino Bello, aveva dovuto subire da parte di partiti locali, ad iniziare dalla DC, che lo accusava di ospitare “nelle accoglienti stanze del palazzo vescovile” quei “cattocomunisti” che avevano pubblicato sul settimanale Luce e Vita (1/3/1992) una lettera intitolata “unità politica dei cattolici”. Questa lettera, a firma di una dozzina di persone, tra cui ad esempio Guglielmo Minervini, che vivevano e operavano nel mondo del volontariato, delle associazioni, della politica, dei nuovi movimenti che in quel periodo erano in gran fermento (La Rete, Insieme per la città, Casa per la Pace ecc.), si poneva il problema se un cattolico potesse esprimere il suo impegno politico in partiti o movimenti diversi dalla DC. Contro questo articolo e contro l’allora direttore del Luce e Vita, si scatenò la furibonda reazione della DC e di alcuni politicanti e anche preti che erano stati scomodati dall’attivismo di Don Tonino sui temi della Pace, dell’obiezione di coscienza, dell’accoglienza ai poveri, agli extracomunitari, agli sfrattati. E furono richieste di interventi, di ispezioni ecclesiastiche, di punizioni nei confronti del Vescovo, che già aveva avuto scontri con il potere politico centrale dell’epoca, sempre sul tema degli armamenti, delle guerre e dell’obiezione alle spese militari, alla militarizzazione della Murgia, soprattutto quando diventò Presidente nazionale di Pax Christi. Craxi ebbe addirittura a dire di Don Tonino “libera nos a Bello”! Anche a livello locale, quando fu pubblicato un manifesto di protesta sulla preoccupante crisi degli alloggi (1984) in cui si stigmatizzavano i ritardi colpevoli e le logiche clientelari che penalizzavano la povera gente, nacque un grande fronte anti vescovo, accusato di fare politica anziché occuparsi solo delle cose di Chiesa. Tutte queste cose addoloravano Don Tonino, anche se mai reagiva con veemenza, salvo forse quella volta in cui scrisse una vibrante lettera a Indro Montanelli, famoso giornalista, che aveva pesantemente offeso il suo amico Mons. Bettazzi, Vescovo di Ivrea. Conservo ancora la bozza di questa lettera, tra i tanti documenti, lettere, libri dedicati che Don Tonino mi ha generosamente donato nel periodo in cui stavamo costruendo e organizzando la Comunità C.A.S.A. per tossicodipendenti di Ruvo di Puglia, alla quale ho collaborato sin dall’inizio. Tra i documenti che conservo vi è una lunga e particolarmente pesante lettera della DC di Ruvo, del 2/3/1992 Prot. 8/92, che mi ha subito ricordato quelle che contro il Vescovo Angelo Ficarra venivano inviate in Sicilia dai politicanti locali e dalle autorità ecclesiastiche dell’epoca. Tralascio di descrivere i toni saccenti e velenosi di cui era intrisa questa lettera di 6 pagine, inviata a ben 53 destinatari, a cominciare dall’on. De Cosmo, allora Sindaco di Molfetta fino ai segretari sezionali della DC di Andria, Corato, Terlizzi e Giovinazzo, al Presidente dell’AC, a tutti i parroci delle chiese di Molfetta, Ruvo, Terlizzi e Giovinazzo, alla TV di Andria, ai giornali locali di Bari, Molfetta e Terlizzi. Mi permetto notare che mancavano tra i destinatari sia il Papa e sia il Presidente della Repubblica! Il titolo della lettera è sintomatico dei contenuti: “ A proposito... dello sproposito, siamo all’affronto delle coscienze e alla propaganda spicciola!”, e giù battute contro il settimanale diocesano e il suo direttore, contro i “cattocomunisti, gli smemorati e gli sfascisti, che si battono per l’aborto, il divorzio e l’eutanasia. E conclude: “riflettano quei credenti e quei prelati che in nome del pluralismo politico, o meglio dell’anarchia, tradiscono l’unità dei valori con cui la Chiesa educa i battezzati e che solo la DC, pur con tutti i suoi difetti, ha tutelato nel Paese e in Parlamento”. Ricordando questi avvenimenti ho pensato a quanto difficili erano quei tempi, soprattutto per chi voleva serenamente esprimere le proprie idee da persona libera e quanto difficile era avere responsabilità civili e religiose svincolate da compromessi con la coscienza. A distanza di tanti anni ritengo sia stato un miracolo avere a Molfetta il Papa Francesco, tanto simile nei comportamenti nel coraggio e nelle opere a Don Tonino Bello, che ora viene da tutti osannato ma che in passato ha dovuto subire non pochi tormenti. © Riproduzione riservata

Autore: Mauro Binetti
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