MOLFETTA – Un gruppo di giovani molfettesi, migranti e residenti, fra cui anche il noto musicista Caparezza (Michele Salvemini) hanno elaborato un documento di protesta contro l’attuale degrado della politica e la mancanza di futuro per colpa di un governo di incapaci e di una classe politica di infimo livello a Roma, come a Molfetta.
Ecco il loro documento:
«Siamo un collettivo di molfettesi migranti e residenti, stiamo vivendo un continuo periodo di incertezza, senza una bussola chiara e certa del nostro futuro. Andiamo via o restiamo, vaghiamo lo stesso, incatenati/e dalla nostra precarietà.
Meno banale è il disagio identitario derivante dal non sapere se e quando si potrà uscire dal limbo in cui si è confinati a causa del protrarsi dei tempi di passaggio. Innanzi allo squallore politico che si sta presentando nella nostra città e alla degradazione morale, in cui i giovani sono socialmente “invisibili” . A lungo andare, tale invisibilità, che mette in dubbio il riconoscimento, può tradursi in un senso di perdita angosciante. Stiamo perdendo un grande appuntamento, quello di potere cambiare. Invertire la rotta.
Siamo uomini e donne “flessibili” prigionieri di una sorta di paralisi temporale, appiattiti su un quotidiano e da un continuo senso di provvisorietà che ci portano sempre a pensare a un sentimento di sradicamento, disagio identitario, frammentarietà nella narrazione di sé, fonte di potenziale neutralizzazione affettiva. Il vagabondaggio non ha alcun itinerario fissato la sua traiettoria è messa assieme pezzo per pezzo, un pezzo alla volta. Per il vagabondo, ogni posto è un luogo di sosta, ma egli non sa quanto a lungo rimarrà. Dovunque il vagabondo vada, egli è un estraneo. I lunghissimi anni di amministrazione disastrosa hanno spinto in tanti a vivere altrove e affrontare il progressivo sbriciolarsi della strutturazione sociale, l’assenza di luoghi organizzati in cui potersi stabilizzare. Si tratta di una condizione oggettiva di disancoraggio.
Qualcuno in questi anni ha voluto trovare le risorse che consentano di “crescere” ed, eventualmente, imbattersi nel “posto giusto” dove potersi stanziare ?
Ci si è continuamente trovati innanzi all’emergere di una strategia di governo dell’incertezza identitaria, che fa perno su un’immagine di costante costruzione/ricostruzione di sé, innescata e sostenuta dal farsi delle relazioni interpersonali, mafiose , immorali.
Ormai la nostra società è definitivamente uscita dalla generazione del benessere diffuso. Ed il problema della precarietà nasce proprio da quel passato: abbiamo tutti, più o meno, vissuto abituati alla regola della possibilità, della fiducia, della sicurezza verso le cose future.
Adesso quel senso di sicurezza si è tramutato in speranza, aspirazione. I sogni delle persone vanno tutti nella direzione del sogno della stabilità: si sogna di trovare un lavoro, anche precario, anche part-time, anche poco pagato; si sogna, da lì, che il lavoro diventi a tempo indeterminato, che diventi full-time, che diventi meglio remunerato; si sogna la possibilità di pagare l’affitto di pochi metri quadri e, da lì, si sogna l’affitto di una casa di quattro stanze fino al sogno incredibile di un mutuo per l’acquisto di un immobile, vero nido di pace sociale e sicurezza.
In questo trapasso, i sentimenti sono diventati ancora più precari di quanto non siano l’economia e lo stato sociale. I sentimenti hanno, più di ogni altra cosa, subito la crisi.
Il mistero del futuro, l’impossibilità di sapere cosa accadrà fra qualche anno, la sensazione che comunque qualcosa, nel quadro degli eventi della nostra vita, non dipenda dal nostro impegno o dal nostro ottimismo creano inquietudine, precarietà nel nostro modo di considerare la presenza anche di chi ci sta vicino. Viene meno la sensazione che chi abbiamo accanto possa restare per sempre, qualsiasi cosa accada, perché sembra che tutti, chi più o chi meno, siano trascinati dal vento della crisi, da una forza superiore che decide, al posto nostro, delle nostre vite.
E, così, la sensazione che le cose potrebbero non essere per sempre, l’incertezza che quel rapporto già costruito possa davvero poggiare sulle basi solide di un lavoro, di un mutuo, di un futuro sicuro portano a ridimensionare il nostro sguardo verso gli altri, verso i sentimenti.
I sentimenti, i rapporti, diventano precari, diventano incerti, legati alle contingenze, al momento, diventano rapporti part-time o in affitto. Si cerca di amare qualcuno ma sempre con la paura di non sapere cosa accadrà, dove finiremo, cosa faremo, dove andremo a finire tra un po’ di tempo. Si vive con la sensazione che tutto possa cambiare da un momento all’altro, troppo velocemente.
Non siamo pronti ed attrezzati a questa precarietà sociale, non ci hanno insegnato come si vive in un Paese in crisi, nessuno ci ha spiegato come si fa. Stiamo solo subendo tutto questo, ci stiamo lentamente adattando.
Ci adeguiamo e viviamo anche i sentimenti ed i rapporti umani come prodotti del precariato: non si fanno progetti, si cerca di vivere l’amore alla giornata, di cerca di valorizzare gli attimi, le cose piccole, si cerca di essere fatalisti, di relativizzare le difficoltà.
Nascono coppie, muoiono coppie, alcuni trovano lavoro e continuano a stare insieme a distanza, altri trovano lavoro e dopo tanti anni si lasciano, altri si lasciano perché non trovano lavoro, altri riescono a stare insieme proprio perché non hanno un lavoro e quindi hanno più tempo per vedersi. Tutto gira attorno alla parola lavoro che, una volta, era per gli italiani una parola normale; oggi è diventata una parola proibita, una specie di mistero.
Nel frattempo i Paesi che economicamente ci stanno ancora dietro (Albania, Tunisia, Egitto) vedono le ribellioni delle piazze consumarsi proprio in questi giorni in cui ci interroghiamo sulla precarietà di vita e dei sentimenti.
Ci chiediamo in quale periodo della loro vita quelle persone, che oggi lottano e manifestano con coraggio, o i loro genitori o persino i loro nonni abbiano chiesto a sé stesse come confrontarsi con questa forma di precarietà. Ci rispondiamo che forse noi, nonostante tutto, da italiani, siamo ancora dei privilegiati perché almeno possiamo stare a interrogarci su queste cose vedendo qualche possibilità futura e non ci troviamo ancora in un Paese a quello stadio di reale disperazione.
Coltiviamo la fiducia, non costa nulla e non abbiamo alternative. Nel frattempo, consoliamoci pure con i nostri amori pagati a cottimo.
Gli innovatori in questa società sono considerati un pericolo, in tutti i campi, un pericolo per la stabilità del grande ma anche del piccolo potere che ogni italiano cerca di costruirsi. Per incazzarsi e non sprecare l'energia è necessario raccogliere consenso intorno all'innovazione, creare un ambiente favorevole. In questo momento, di fronte allo spettacolo indecoroso che ci viene offerto, la fuga dei cervelli non è solo fuga alla ricerca di opportunità, ma è anche una fuga dal degrado morale. Credo che ci voglia una grande spinta morale, anche per fare innovazione .
Siamo nauseati da degrado della politica, sulla corruzione, sul malaffare, sulla produzione normativa. Siamo stanchi di assistere, ancora una volta, alla rincorsa del sogno ambizioso di potere dell’egoriferito di turno. Siamo stufi dei forzati aborti strumentali che i partiti vanno infliggendo ad ogni forma di partecipazione politica alle anime vive e libere della Città.
Mai come nell’ora presente occorre esercitare l’impegno politico con “i fianchi cinti”, disponibili a partire, ad attraversare il deserto per non restare prigionieri del Faraone. Il tema di fondo è come non rassegnarsi all’insignificanza e alla debolezza. Non è solo una questione di numeri, di posti, di ruoli che pure in politica hanno un significato, ma di qualità della presenza che è fatta di competenze ma anche di una passione civile, alimentata da una ricerca di spiritualità e di pensiero. Alla politica del fare, al pragmatismo senz’anima, occorre presentare una dimensione della politica sorretta da un pensiero, da una chiara visione antropologica, perché oggi più di ieri siamo chiamati, pur con le nostre debolezze, a resistere alla potenza del denaro, dell’immagine e del potere per il potere.
Con la speranza che fra le forze di progresso che si oppongono all’attuale Amministrazione Comunale nasca un forte progetto di rinnovamento che porti a una nuova primavera nella nostra città, che elimini tutto il marcio lievito antico.
Perché cambiare è possibile».
Federico Ancona (Musicista, compositore)
Giuseppe Boccassini (Film-maker)
Domi Bufi (Ingegnere)
Giulio Bufo (Teatrante)
Pasquale De Candia (Collaboratore a progetto)
Domenico de Ceglia (Regista e insegnante)
Gianluigi de Gennaro (Ricercatore, chimico)
Giovannangelo de Gennaro (Musicista)
Maria Pia Facchini (Educatrice, pedagogista)
Francesca la Forgia (Avvocata)
Marina Mastropierro (Ricercatrice precaria, sociologa)
Onofrio Pappagallo (Ricercatore precario, storia contemporanea)
Michele Salvemini Caparezza (Musicista)
Vanni Salvemini (Manager)
Isa Spadavecchia (Studente universitaria)