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Da Kiev a Molfetta, in fuga dall’inferno ucraino
15 marzo 2022

Tamara, Andrew Vittorio, Francesco e, con loro, altre 43 persone e tre cagnolini ce l’hanno fatta. Sono riusciti a lasciare l’inferno ucraino grazie all’iniziativa partita da don Gino Samarelli, parroco del Duomo San Corrado e sostenuta anche dal vescovo Mons. Domenico Cornacchia e da numerose associazioni. Don Gino, la cardiologa Paola Coluccia, l’infermiera Anastasia Lombardi (bielorussa, residente da anni in Italia), un fotografo e tre autisti, partiti martedì 8 marzo, hanno attraversato l’Italia e parte dell’Europa sino al confine ungherese con l’Ucraina e, come moderni San Cristoforo, li hanno aiutati a raggiungere luoghi sicuri o ricongiungersi con parenti residenti in Italia. Una “via lucis” che li ha portati a Trento, Bologna, Spinea (città metropolitana di Venezia, ndr), Foggia, dove, presso il santuario dell’Incoronata, sei adulti non vedenti sono stati accolti dagli operatori del centro don Orione, centro presso il quale hanno trovato ospitalità. E poi ancora Molfetta, Martina Franca. L’iniziativa è nata in risposta all’appello di un sacerdote (don Egidio, missionario a Leopoli). Si è creata una vera e propria gara di solidarietà, che ha portato alla raccolta di indumenti, medicinali, risorse economiche, alimenti. A Molfetta, l’arrivo dei rifugiati è stato salutato da un caloroso applauso di benvenuto e dai sorrisi degli operatori del SerMolfetta oltre che dal sindaco Tommaso Minervini e dall’assessore ai servizi sociali Gianna Sgherza, e dai referenti delle parrocchie che se ne stanno prendendo cura. Toccanti i racconti: la vita che cambia all’improvviso, l’incessante suono degli allarmi antiaerei, la paura dei bombardamenti, la corsa verso i rifugi, la fuga, il timore per i genitori, i parenti, i mariti, gli amici lasciati ancora al di là del confine. «Queste persone raccontano storie incredibilmente assurde, raccontano la guerra» ha dichiarato don Gino. Dai frammenti di ricordi, dichiarazioni, narrazioni si comprende che il momento più difficile è stato vissuto alla frontiera ungherese, «un Paese che non è in guerra, ma c’erano ragazze e ragazzi giovanissimi, con ancora il volto ingenuo dei ragazzi, armati di tutto punto, con mitragliatrici, coltelli, pistole, che controllavano gli ingressi e le uscite. Una cosa impressionante». Nel racconto di chi ha vissuto quei momenti, è ben vivo il ricordo dell’ufficio militare e delle tantissime persone in attesa all’esterno, esposte al freddo pungente. Poi, finalmente, il gruppo proveniente da Leopoli, in cui c’erano abitanti di Kiev, è riuscito a raggiungere il pullman e a partire per il viaggio che li ha condotti in Italia. «Grazie a tutta l’Italia, all’Europa, al Mondo per l’aiuto al nostro Paese – ha affermato Tamara appena giunta a Molfetta – All’improvviso è cambiato tutto; è stato come ritrovarsi in un film della Seconda guerra mondiale. Una bomba è esplosa vicino alla stazione centrale, molti missili diretti verso gli uffici governativi, sono stati intercettati. Le sirene suonavano ogni dieci minuti. Scappavamo a piedi, ci voleva mezz’ora (per raggiungere il rifugio, ndr). Con i bambini non uscivamo all’esterno, ci siamo rifugiati nel sotterraneo della stazione centrale, dove sono custodite le cassette di sicurezza. C’era una marea di gente, siamo saliti su un vecchio treno e via, via, via, via da guerra, da morte. Già dopo pochi chilometri da Kiev abbiamo cominciato a sentirci più sicuri». Con lei, il marito, il figlio Andrew Vittorio e il loro cane di undici anni, che, come ha simpaticamente sottolineato don Gino, è stato la mascotte del viaggio verso Molfetta. «Mi sono molto rilassata quando ho visto questo vostro mare, le palme, la vostra natura meravigliosa, soprattutto per mio figlio, che ha sangue italiano, e che ha già dovuto vivere questa situazione». Suo marito, avellinese, prosegue: «Da cinque anni vivevo in Ucraina e lavoravo a Londra, facendo la spola tra Londra e Kiev, il centro medico di Kiev. Sono un medico specializzato in biologia. Siamo scappati e abbiamo viaggiato in treno per dodici ore. La cosa più straziante è stata edere gli uomini ucraini spingere mogli, figli, anziani sul treno e loro restare sulla banchina poiché non potevano partire. Vedere le loro lacrime, i bambini che chiamavano i loro padri. Ringraziamo la dottoressa Paola e l’infermiera Anastasia e tutti. Tutti sono stati molto gentili». Rimane l’incognita del futuro: restare a Molfetta o tornare ad Avellino? La loro risposta: «Non sappiamo cosa fare». Nelle parole di Francesco, originario di Martina Franca, tutta la disperazione di cui è stato testimone: «È successa una cosa incredibile, anch’io potevo immaginare tutto ma non questo: una guerra nel 2022. Io mi trovavo al centro dell’Ucraina, il nostro paese per fortuna non è stato colpito ma la sirena suonava ogni 10 minuti. Ho una moglie ucraina, lavoravo lì, stavo bene in Ucraina. Ora mi trovo in questa situazione. Abbiamo viaggiato per 20 ore in piedi, in 10 m2, non potevo muovermi. C’era gente che scappava, gente che ha perso la casa, gente che ha perso lavoro. Ora andiamo a Martina Franca. È importantissimo tornare a casa, essere più al sicuro anche se rimane la preoccupazione per i suoceri, rimasti in Ucraina. È sua moglie a rimarcare: «Siamo scappati per non far vedere al bambino le bombe. Mio padre che ha 58 anni non può uscire, perché vogliono prenderlo per la guerra. Sta a casa con mamma». L’infermiera Anastasia ha commentato: «Siamo stati molto felici di prendere parte a questa iniziativa. Grazie all’associazione Sermolfetta e a don Gino che ci ha permesso di partecipare è andato tutto bene, siamo stati veramente felici di vedere l’emozione negli occhi delle persone che abbiamo osservato, sia piccoli, sia grandi; con la speranza di ricominciare una nuova vita lontano dai bombardamenti e soprattutto la speranza di rientrare nel proprio territorio. La mattina in cui siamo partiti per l’Italia hanno bombardato alcune città vicine, tra cui la città da cui alcuni sono partiti. Si è vista la tristezza nei loro occhi ma anche la speranza di tornare un giorno nel loro paese. L’unica difficoltà che abbiamo avuto è stata alla frontiera ungherese, dove abbiamo atteso a lungo i rifugiati, proprio per i controlli. I profughi hanno atteso due ore prima di salire sul pullman, faceva molto freddo, li abbiamo accolti, sfamati, dato loro un po’ di calore e abbiamo proseguito il nostro viaggio fino a compiere la nostra missione a Molfetta: portarli tutti nelle proprie case con un po’ di affetto e con un po’ di calore». Il sindaco Tommaso Minervini: «Molfetta è nel centro delle emozioni e nelle necessità di accoglienza in questa assurda guerra fra la Russia e l’Ucraina. È nella coscienza profonda di Molfetta, anche per la storia civile e per quella spirituale di don Tonino, questa organizzazione, questa inclinazione. Per altro il Comune ha già un centro di accoglienza dei profughi, una struttura SAI (Sistema Accoglienza Integrazione, ndr), che ha già 120 ospiti. Abbiamo già accolto delle famiglie ucraine la settimana scorsa e adesso grazie alla volontà e al cuore di don Gino, del Ser, del Comune che nel nome e nello spirito di don Tonino, l’anelito alla speranza è diventato un fatto operativo, vivente con l’accoglienza, nei fatti, di queste persone». In tanti si chiedono se non ci sia il rischio che ci si concentri sulle, giuste, esigenze dei rifugiati ucraini dimenticando le emergenze e le richieste di aiuto che giungono da tanti altri luoghi del nostro pianeta. Tommaso Minervini non mostra dubbi: «Altre emergenze non rischiano di finire in un secondo piano poiché il centro di accoglienza è dedicato ai profughi politici. Le risposte ad altri generi di emergenze sono organizzate diversamente». «In molti hanno abbracciato parenti e familiari o amici in tappe intermedie» ha sottolineato don Gino. Del gruppo giunto a Molfetta, tredici rifugiati sono ospitati «in alcune comunità parrocchiali e nell’affetto di questi luoghi», in un sistema che coinvolge le parrocchie, in particolare le comunità della Madonna della Rosa e di San Pio X, che hanno messo a loro disposizione la casa canonica o appartamenti. Alcuni di questi ospiti sono intervenuti, su invito del parroco don Vincenzo Di Palo, durante una celebrazione eucaristica presso la chiesa San Pio X. Nelle loro parole il dolore per le separazioni forzate dai mariti, i bombardamenti ma anche la speranza di tornare al più presto nel loro paese, lì dove sono le loro radici. Intanto non si perdono d’animo: i ragazzi vorrebbero riprendere a studiare, allo stesso modo la loro madre e la loro zia, una violinista, insegnante di musica a Leopoli, e una docente di biologia, vorrebbero riprendere i contatti con i loro allievi, sia pure a distanza. Ma il loro messaggio più importante è chiaro e inequivocabile «noi non vogliamo fare la guerra con nessuno. Vogliamo solo vivere in pace». © Riproduzione riservata

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