Cresce la presenza dei rom in città integrazione e problemi
Come già avevamo fatto scritto nel precedente numero di “Quindici”, la nostra città non è estranea al fenomeno della presenza di comunità rom, altrimenti detti “zingari”, all'interno del territorio. Tante le domande che ci si è posti per cercare di cogliere le sfumature di queste “subculture”, che, per quanto radicate all'interno della nostra sfera sociale, da sempre sono solite vivere ai margini della stessa, divenendo quindi artefici della propria condizione sociale. Quotidianamente, attraversando il centro in macchina, uscendo da una chiesa o semplicemente entrando in un qualsiasi supermercato, ci imbattiamo in pietose scene di miseria, ci scontriamo infastiditi con “mendicanti” di qualsiasi età, (meglio se giovani o addirittura bambini), pronti a sfilarci anche un solo centesimo di tasca. E' lecito allora, chiedersi perché questi “teatrini”, allestiti da sempre in ogni angolo, continuino ad avere scena senza problemi, senza che assistenti sociali o forze dell'ordine, intervengano per limitare questi fenomeni; perchè i bambini, anziché andare a scuola, come tra l'altro vorrebbero le leggi, vengano strumentalizzati come burattini per chiedere elemosina; perché, insomma, queste comunità non riescano ad omologarsi ai modi di vivere a noi comuni, magari partendo dalla ricerca di un qualsiasi lavoro. A queste domande, poste ad un'impiegata del C.I.R. di Bari, (Consiglio Italiano per i rifugiati), e a una volontaria di una mensa parrocchiale, non è stato facile rispondere. Questi rom infatti, stanziati in misura maggiore nella zona Japigia di Bari e a Bitonto, e prevalentemente pendolari nella nostra città, si mostrano restii nel rivolgersi ad associazioni umanitarie o a istituzioni sociali di altro tipo. Punto di riferimento per loro sembrano essere, come ci viene confermato, soprattutto le chiese, le quali, durante il periodo di raccolta di abiti, e nei giorni di mensa, sono particolarmente frequentate, probabilmente perché aperte a tutti senza grossi problemi burocratici. Per quanto riguarda la scuola poi, pare che i bambini e ragazzi, pur controllati periodicamente da chi di dovere, fre-quentino pochissimo gli Istituti, sicuramente perché più indicati per far soldi che per altro. Infatti, la loro considerazione di elemosinare, è pari a quella di praticare un qualun-que lavoro. Non è dunque una costrizione, o non lo ho sempre, come ci racconta la volontaria della mensa, che ha affermato come alcuni di loro, lamentino le discriminazioni ricevute dai cittadini. In particolar modo ci ha raccontato la storia di una zingara della Romania, che lasciati i propri figli nel suo paese, ha cercato nella nostra città lavoro come badante o donna di servizio, senza però riuscirvi. Costretta dunque dalle necessità ha scelto di elemosinare, bazzicando ormai da tempo sulle scale e nei pressi della Chiesa Sacro Cuore della nostra città. Una storia difficile, che accomuna tanti profughi e non, e che ci dovrebbe far pensare come rapportarci con chi ha voglia di un riscatto sociale, rispettando, almeno sino al prossimo semaforo, chi vive da estraneo, anche in quella che oramai è la propria città