MOLFETTA - Ripartire dalla filiera dell’olivicoltura per riattivare il settore, la frase-chiave lanciata da Girolamo Caputi, presidente della Cooperativa Produttori Agricoli di Molfetta, nel convegno «La filiera dell’olio extravergine di qualità. Progetti di sviluppo e innovazione per la commercializzazione organizzata dell’olio d’oliva», tenutosi all’Oleificio cooperativo Produttori Agricoli.
Pessime le condizioni dell’olivicoltura in Italia. «Elemento essenziale per dare uno scatto alla rendita è il sistema, perché l’olivicoltura ha una prospettiva se per i prossimi 40 anni è previsto un aumento del 70% nella richiesta di olio extravergine - ha spiegato Giancarlo Faenzi, responsabile Settore Olio della Legacoop Agroalimentare - dobbiamo incidere sul prezzo del prodotto e ottenere una sintesi prima di presentarci al tavolo del Ministero e all’Europa».
Per colmare la debolezza strutturale del settore, secondo Faenzi, si potrebbe «individuare e indirizzare finanziamenti provinciali e regionali per progetti di filiera nazionale», come quelli presentati al convegno. Azione politica necessaria anche per Enzo Mastrobuoni (Confederazione Italiana Agricoltori), che non solo critica il contesto normativo inadeguato alle nuove esigenze del settore, ma punta alla elaborazione di concrete progettualità condivise e contrattuali.
Inoltre, il prodotto italiano non riesce a competere con i prodotti comunitari, perché venduto a una media di 3,74 euro (rispetto a una media di 2/2,50 euro), mentre gli oli tipici restano ancora un prodotto di nicchia e i novelli sono in calo. Perciò, le cooperative dovrebbero aprirsi con maggiore intensità al mondo della commercializzazione e ragionare sulle regole della distribuzione: il consumatore è confuso e non ha la capacità di leggere le etichette, riducendosi a scegliere il prodotto a basso costo.
Gli esempi industriali: Montalbano e Finoliva. Più di 50 anni di storia per la Montalbano Agricola Alimentare, raccontati dal presidente Raffaello Lippi, secondo cui«non serve fare l’olio se non si sa come venderlo». Dall’ICOS Consorzio nazionale degli olivicoltori (anni ’70) ai primi attacchi alla qualità del prodotto (anni ’80), l’azienda è stata protagonista del primo consorzio di tutela in Toscana con l’elaborazione di un protocollo di tracciabilità. Il suo marchio è oggi distribuito in 20 Paesi del Mondo e il suo CdA è composto da soli produttori.
«Per poter competere sul mercato, che accoglie marchi di bassa qualità venduti a prezzi modici, dobbiamo puntare sull’alta qualità, sulla filiera e sulla distintività del prodotto», per Claudio di Rollo, presidente di Finoliva Global Service, società nata nel 1995 e partecipata dal mondo delle cooperative. Come sviluppare un piano di sviluppo per i prossimi anni?
Incremento strategico del settore biologico (soprattutto nel Mezzogiorno, cercando una sintesi tra i settori del grano, del miele, dell’ortofrutta, del vino e dell’olio) e costruzione di un gruppo commerciale con altri produttori/partner con le stesse caratteristiche, secondo Benedetto Franchiolla, dirigente di Finoliva, che ha illustrato il Piano di Sviluppo 2012-14 della società. «È necessario consolidare ed espandere la produzione Dop e Dop Terra di Bari in Italia e nei mercati esteri; puntare su una filiera di alta qualità “100% Italiano”, quale valore aggiunto sul mercato - ha aggiunto - oltre a completare la filiera del baby food, con il confezionamento del prodotto vitaminizzato, e predisporre un piano commerciale per la vendita dello sfuso “100% Italiano” agli operatori».
Come ripartire? Sopperire alla mancanza della politica con una proposta concreta che liberi l’agroalimentare dall’impasto attuale. Dura la critica di Giovanni Luppi, presidente nazionale Legacoop Agroalimentare, se su 1,6milioni di aziende/imprese agricole solo 350mila (poco più del 21%) sono realmente tali.
Agire sui costi, perché l’Italia è in ritardo di 20 anni, ma ognuno deve assumersi le sue responsabilità. «Non siamo marca e perciò siamo preda dei bassi costi e ci stiamo vendendo ai marchi esteri - ha concluso - oltre alla collaborazione con Coop e Conad, dobbiamo ripartire con seminari per ogni filiera e proposte concrete e concretizzabili subito».
Per una «collaborazione costruttiva e fattiva» bisogna riorganizzare la filiera: «dalla crisi del settore si esce solo se si coltivano le ricchezze dell’Italia - ha commentato Gennaro Sicolo, presidente nazionale del Consorzio Nazionale degli Olivicoltori - ricchezze oggi trascurate dalla politica che non è riuscita a programmare un piano olivicolo negli ultimi 20 anni». Come restituire reddito agli imprenditori che, nonostante gli investimenti, non ottengono profitto dal mercato? Stato, ricerca e produzione, il trinomio che per Sicolo può moltiplicare la produzione mediterranea e rivitalizzare la stitica ricerca italiana.
«Dobbiamo recuperare sul mercato un valore maggiore dell’olio, se vogliamo proteggere la nostra olivicoltura di qualità, stretta nella morsa dei costi e dei guadagni troppo risicati per i produttori», la proposta Antonio Barile, presidente CiaPuglia, che ha auspicato l’inizio di un nuovo percorso di confronto in filiera. Le filiere possono rivalorizzare l’associazionismo cooperativistico e accrescere la percentuale dell’olio extravergine “100% Italiano” venduto dalla grande distribuzione (dal 27% al 35-40%), per Giuseppe Politi, presidente nazionale Cia. È il momento di puntare davvero sul marchio italiano e sulle economie di scala.
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