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Commenti di cittadini schifati per il “salvataggio” di Azzollini. Il dubbio dell'Espresso: c'è l'ombra del “soccorso rosso” per la coop
15 dicembre 2014

Si sono scatenati i cittadini italiani nei social network, Twitter e Facebook in particolare, per esprimere la loro indignazione (contro Pd e Lega in particolare) dopo al rifiuto del Senato di concedere l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni relative allo scandalo del porto di Molfetta in cui è indagato il sen. Antonio Azzollini, presidente della Commissione Bilancio del Senato ed ex sindaco della città. Ad essere indignati sono anche coloro che non conoscono il senatore molfettese, a riprova di come il Paese reale rifiuti queste “protezioni” della casta e rigetti questa politica che consente privilegi ingiustificati ai parlamentari. Non ci si meravigli, poi, se aumenta l’astensionismo, l’unico modo che hanno i cittadini schifati da certi giochi di Palazzo. Comunque una curiosità non è passata inosservata: il no all’uso delle intercettazioni è arrivato poco prima dell’inizio della sessione di Bilancio del Senato (della quale è presidente Azzollini) sulla legge di stabilità. Riproduciamo l’articolo dell’Espresso che parla di “soccorso rosso” per salvare anche la ditta appaltatrice dei lavori, la Cmc di Ravenna, vicina alla sinistra. Ecco l’articolo dell’Espresso: C’era una volta il soccorso rosso, l’organizzazione che negli anni Settanta forniva assistenza ai militanti della sinistra extraparlamentare. I compagni, anche quelli che sbagliavano, andavano difesi dentro e fuori le aule di giustizia con raccolte fondi e campagne innocentiste. Oggi, benché siano finite le ideologie, questa forma di supporto sembra continuare a vivere, anche se si manifesta con altre modalità e su un fronte prettamente economico. Può leggersi anche così il voto con cui al Senato il Partito democratico (insieme a Lega e Nuovo Centrodestra) ha negato l’uso alle intercettazioni dell’alfaniano Antonio Azzollini, indagato nell’inchiesta per la presunta truffa da 150 milioni nel porto di Molfetta. Una decisione in gran parte scontata: a ottobre, dopo mesi di rinvii, la Giunta delle immunità si era già espressa negativamente. E anche in quella occasione il Pd aveva concorso in maniera determinante a salvare il senatore Ncd , sebbene con una decisione non proprio pacifica, visto che - come ha rivelato l’Espresso - era occorsa una riunione d’emergenza per convincere gli scettici. Ma questo è solo un pezzo della storia. Perché la conseguenza del voto di oggi è una sorta di “soccorso rosso” che non si limita al salvataggio di uno degli uomini-chiave di Alfano (il senatore presiede la commissione Bilancio, alle prese proprio in questi giorni con la legge di stabilità) ma finisce anche per depotenziare l’accusa di associazione a delinquere e quello che i Pm di Trani definiscono “il sistema Azzollini”. Se non si possono usare elementi di prova verso uno degli associati, infatti, è evidente che questo incide anche sulle accuse rivolte a tutti gli altri componenti del presunto sodalizio. Il risultato è che indirettamente viene alleggerita anche la posizione dell’azienda che effettuò i lavori: la Cmc di Ravenna, affiliata a Legacoop, lo storico braccio economico della sinistra italiana. «Non è che il coinvolgimento della coop abbia frenato il Pd e spinto all’ignobile censura delle intercettazioni di Azzolini?» ha non a caso osservato maliziosamente il Movimento cinque stelle due mesi fa, dopo il voto della Giunta. FRONTE DEL PORTO Di certo, per ora, è che i lavori per l’ampliamento del porto sono costati alle casse pubbliche già 150 milioni, il doppio del previsto, e la Cmc ha ottenuto 7,8 milioni di risarcimenti per il ritardo nell’avvio dei lavori. Una truffa ai danni dello Stato, sostengono i magistrati, che hanno chiesto (senza ottenerla) l’interdizione dall’esercizio dell’attività imprenditoriale: era inevitabile che i costi lievitassero con tutti quei residui bellici nei fondali. E tutti ne erano consapevoli, dal sindaco e senatore Antonio Azzollini ai vertici della Cmc, anche loro inquisiti. Una vicenda nota fino a Milano, ha rivelato l’inchiesta Expo. «Il casino di Molfetta non è solo un fatto di corruzione, ma c’è un fatto di truffa ai danni dello Stato», dice chiaramente il costruttore Enrico Maltauro in una intercettazione. Gli risponde il faccendiere Sergio Cattozzo: «Per cui i soldi per fare il porto li hanno utilizzati per altre cose». Forse è per questo che Giorgio Calderoni, il manager della Cmc e direttore di cantiere finito l’anno scorso ai domiciliari, al telefono afferma: «Io, diciamo, per riconoscenza al senatore, andrei avanti. Perché sì, non lo posso abbandonare io». E Azzollini? Anche lui sembrava aver chiaro tutto il meccanismo: «Dopo le transazioni ognuno deve avere il suo... il suo, diciamo, beneficio». Parole che non paiono lasciar adito a dubbi. Eppure i Pm non potranno utilizzare quest’ultima conversazione nel processo. Col rischio che a traballare sia l’intera inchiesta. UNA STORIA LUNGA UN SECOLO Da tempo la Cmc, la principale coop di costruzioni a livello europeo, rappresenta un colosso internazionale. E della “cooperativa di muratori e cementisti” romagnoli che la fondarono a inizio Novecento è rimasto ben poco, al massimo il riferimento nel nome. Cantieri in tutto il mondo, un mercato in crescita nonostante la crisi, un fatturato di oltre 1 miliardo nel 2013: il fiore all’occhiello del mattone “rosso” targato Legacoop, da sempre braccio economico della sinistra italiana, dal Pci al Pd. Quella per cui - stando sempre all’inchiesta sull’Expo - si spende anche Primo Greganti, il “compagno G” di Mani Pulite. Ma proprio il fronte giudiziario è il tallone d’Achille di questo gigante da quasi ottomila dipendenti, che negli ultimi anni ha vinto appalti per le principali infrastrutture del Paese ma in più di un caso è rimasto impigliato nelle indagini della magistratura. Oggi come nei primi anni Novanta, quando la cooperativa rossa fu coinvolta in varie inchieste per finanziamento illecito di partiti (al Pci-Pds e al Psi) e per presunte tangenti, da Milano a Reggio Calabria passando per Firenze e Roma. DALLO STRETTO ALLA VAL DI SUSA A conferma della sua forza, negli ultimi anni quasi non c’è grande opera pubblica a cui la coop ravennate non abbia preso parte. A cominciare dal grande sogno del governo di Berlusconi del ponte sullo stretto di Messina (4,6 miliardi di euro). Ma con un “conflitto d’interesse”. Nella gara per il general contractor c’erano due coop rosse su schieramenti contrapposti: da una parte la cooperativa “madre” di Bologna, ovvero il Consorzio cooperative costruzioni di Bologna (in associazione con Astaldi), dall’altra l’affiliata Cmc (in associazione con Impregilo). Una violazione delle normative europee e italiane in materia di appalti pubblici, che escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che “si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo”. Tanto da spingere alla fine la Ccc a ritirarsi. A Vicenza la coop si è aggiudicata i lavori per la base militare Dal Molin, al centro delle proteste di associazioni e comitati locali: 250 milioni di euro per realizzare 77 mila metri quadrati di superficie coperta che comprendono il quartier generale, parcheggi, strade, caserme, quattro edifici di comando e tre officine. Da ultimo, la Val di Susa, dove nel 2005 l’azienda di Ravenna ha vinto l’appalto per il cunicolo esplorativo di Venaus mai realizzato, poi “trasformatosi” (sotto forma di variante, così da non richiedere una nuova gara) nel tunnel geognostico della Maddalena, ovvero lo scavo conoscitivo della ferrovia Torino-Lione. COINVOLTA DUE VOLTE PER EXPO È tuttavia a Milano che si concentrano le attenzioni, in vista di quell’Expo che dovrebbe ospitare in sei mesi 20 milioni di visitatori. Una ricca torta di 11 miliardi di investimenti in opere pubbliche che ha attirato - come emerso dalle inchieste - gli appetiti di imprenditori spregiudicati, manager compiacenti e faccendieri dispensa-favori. Nel 2011 parte la prima gara d’appalto per portar via dall’area a nord-ovest del capoluogo lombardo le cosiddette “interferenze” e preparare il terreno ad opere di viabilità e altri servizi in vista della vetrina mondiale. Se lo aggiudica la Cmc con un maxi sconto del 43 per cento: 58,5 milioni anziché 97. Ma le sette offerte più vantaggiose sono tutte sotto la soglia di anomalia e prendono corpo sospetti su possibili fughe di notizie segrete grazie a funzionari compiacenti. E l’ipotesi di un cartello d’imprese che avrebbe inquinato le procedure e aggiustato l’assegnazione dei lavori. Su queste basi la Procura di Milano apre un fascicolo per turbativa d’asta che coinvolge il direttore del cantiere Expo per conto della società Cmc. Passano due anni e la Cmc torna sotto i riflettori. Dopo anni di buio, ricompare Primo Greganti, il “compagno G” di Mani pulite, che si rivela punto di riferimento per i contatti con il direttore dell’Expo Angelo Paris. L’ipotesi dei Pm è che favorisca la società di Ravenna per farle ottenere commesse in cambio di una provvigione per ogni appalto portato a casa. «Nessuna tangente, solo un regolare contratto» ha assicurato il presidente della coop Massimo Matteucci. Nell’ordinanza di arresto il gip fa riferimento a intercettazioni con alti dirigenti della Cmc, in cui Greganti li tiene al corrente sugli esiti dei suoi incontri con Paris. L’interesse è per il padiglione della Repubblica popolare cinese, che dovrà essere montato in Italia. E il “compagno G” al telefono rivendica con orgoglio il suo impegno: «Già c’ha un ufficio in Cina. Trent’anni fa l’avevo portata io la Cmc a Shangai».

Autore: Paolo Fantauzzi Michele Sasso
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