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Combatta chi ha interessi da difendere
15 luglio 2008

La storiografia italiana sulla Prima Guerra Mondiale conobbe negli anni Settanta ed Ottanta del '900 un profondo rinnovamento. Dagli anni Novanta è tornata a languire, in perfetta coerenza con il clima asfittico e paludoso che ammorba tuttora l'intero paese. I lavori di Isnenghi, Monticone, Rochat, Revelli, per non citare che i più noti, sulla scorta di un'ampia e rigorosa documentazione, demolirono la sapiente miscela di omissioni, retorica, e mistificazione che aveva blindato nel primo dopoguerra, durante il fascismo, ma anche dopo, quell'evento, impedendone una reale comprensione soprattutto al grande pubblico. Le ricerche di quegli storici affrontarono il problema da diverse angolazioni. Innanzitutto fu rivalutata la possibilità che per via diplomatica, ed in cambio della nostra neutralità, l'Austria cedesse all'Italia il Trentino, Trieste, e forse l'Istria occidentale, vale a dire quel “molto” ribadito a più riprese da Giolitti. Il 26 aprile 1915 si firmò invece segretamente con l'Intesa il Patto di Londra, che prevedeva l'annessione del Sud Tirolo, completamente tedesco, e della Dalmazia, a maggioranza croata. Questo in barba alla “guerra giusta”, ed al rispetto delle nazionalità strombazzato nelle piazze dagli interventisti. Si è poi studiato l'atteggiamento del capitale italiano, soprattutto quello siderurgico, nel finanziamento della grande stampa, la dinamica spesso violenta delle ultime sedute parlamentari che portarono alla votazione dei pieni poteri, il ruolo delle alte gerarchie militari e della monarchia, e quello delle forze dell'ordine nella repressione delle manifestazioni pacifiste. Ancora, sono emerse da una parte le responsabilità del Partito Socialista, impantanato in quella formula “né aderire, né sabotare”, esposta agli attacchi simultanei della sinistra e della destra, e dall'altra di quell'interventismo democratico, alla cui triste parabola accenneremo più avanti. Ma quegli storici di cui sopra inaugurarono anche un percorso di ricerca nuovo e fecondo: quello relativo alle testimonianze non censurate dei soldati appartenenti alle classi popolari, soprattutto contadini. Prima di proseguire, sarà bene ricordare i numeri di quella tragedia. 571.000 morti, 451.000 invalidi, 57.000 morti in prigionia, 60.000 non rientrati dalla prigionia o irreperibili. Questi i dati ufficiali: molti storici li ritengono alquanto sottostimati. Come è noto, in tutti i reparti vi erano degli uffici preposti alla censura della corrispondenza che dai soldati veniva inviata ai parenti: erano eliminati i brani relativi alle operazioni belliche, quelli sul morale delle truppe, o sulla politica in generale, quando non allineati all'immagine che si voleva la popolazione recepisse dalle truppe combattenti. Questo materiale è comunque interessante, ma ha degli ovvii limiti: si tenga presente che moltissime lettere hanno delle evidenti caratteristiche di autocensura. Questa difficoltà è stata parzialmente superata in vari modi: diari o memorie compilati durante o dopo la guerra, conservati dai protagonisti o dai parenti, e rimasti inediti; testimonianze orali; atti dei tribunali militari di guerra, o relazioni delle prefetture sulla cattura ed interrogatori di renitenti e disertori. Infine, le lettere di soldati italiani catturati dagli austriaci.
Autore: Ignazio Pansini
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