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Colpevoli silenzi
15 maggio 2011

Siamo arrivati a un bivio: si sta con la legge o contro, con il diritto o contro, con la Costituzione o contro, con la democrazia o contro la democrazia. Sono saltati tutti i parametri di equilibrio e di moderazione, paradossalmente proprio per colpa di quelli che osano definirsi “moderati”, ma che in realtà, coscienti o no, fanno dell’eversione una regola. E tutto questo in nome della maggioranza (che tale poi non è, in quanto realmente la forza dei voti non supera il 30%) che giustifica ogni cosa: lo stravolgimento delle regole, i conflitti di interesse, l’esautorazione dei principi etici e morali, la cancellazione del diritto, il trionfo dell’insulto e del turpiloquio verso l’avversario considerato nemico da distruggere, e così via. E senza più argomenti, al punto che Berlusconi arriva perfino ad accusare i leader di sinistra di lavarsi poco (ma forse farebbe bene a guardare meglio in casa sua). La pretesa di governare in nome della maggioranza per giustificare anche l’illecito, attraverso il più becero populismo non è democrazia, ma regime illiberale che proclama la dittatura della democrazia. Un pericolo che fu già avvertito nell’800 da Alexis de Tocqueville (1805-1859), il saggista francese studioso della democrazia americana che previde con grande lucidità i mali delle democrazie moderne. “Vedo chiaramente nell’eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l’altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere. Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù... Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge”. Sembra che Tocqueville avesse capacità profetiche nell’immaginare l’attuale Italia di Berlusconi, disordinata e confusa, che in nome di una maggioranza e forte di un potere mediatico senza pari accentuato solo nelle sue mani, alza sempre di più la soglia del conflitto istituzionale, dalla magistratura alla presidenza della Repubblica. Il populismo demagogico, anticamera del più bieco dispotismo, trova terreno fertile in una “società liquida”, come la definisce il sociologo polacco Bauman, che ci vede trasformati sempre più da produttori a consumatori. Lo smantellamento delle sicurezze porta a una vita ‘liquida’ sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del ‘gruppo’ per non sentirsi esclusa, e così via. E ormai non si contano più le macerie dei sistemi ideali e culturali, che fino ad alcuni anni fa hanno caratterizzato il nostro agire e il nostro essere. Di qui il timore che un sistema simile non possa reggere a lungo, perché ogni grande disordine provoca un irresistibile bisogno di ordine. Ma quello che più preoccupa è il fatto che ci stiamo abituando a tutto e che non ci sia mai limite al peggio. E la tendenza ad alzare sempre più la soglia dell’intolleranza verso chi non accetta il pensiero dominante (quello del Cavaliere di Arcore, al quale tutti si uniformano, dalla gente comune ai parlamentari, che non si vergognano di fare la figura degli imbecilli (vedi la nipote di Mubarak) solo per compiacere il padrone e da servi contenti, mantenere i miseri privilegi che questa obbedienza comporta. Ci chiediamo: come mai anche persone per bene, professionisti equilibrati, operai laboriosi, intellettuali onesti, che sono ancora con il signore di Arcore, non sentano non dico il bisogno di ribellarsi (il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare, sentenziava il pavido don Abbondio del Manzoni), ma almeno di prendere le distanze, di tentare una sia pure garbata critica per arginare la deriva del nostro Paese, dove cresce la disoccupazione giovanile e non e la crisi morale, politica ed economica? Non si rendono conto che alzando il livello dello scontro, c’è il rischio che si possa arrivare alla guerra civile? Le parole sono pietre e insultare i magistrati - che pure di responsabilità ne hanno, quando non riescono a giudicare con serenità e molti italiani sentono di essere stati vittime di ingiustizie - ma che rappresentano pur sempre una garanzia democratica, può portare ad aggressioni nei loro confronti e armare la mano di qualche folle o di gruppi organizzati di fanatici? Non dimentichiamo che il terrorismo cominciò in questo modo. La dittatura della maggioranza oggi vede il “principe” ergersi sopra tutte le istituzioni, elargendo prebende a oligarchi cooptati e comprati per essere usati a fini personali. E questo diventa regola di governo: avviene a Roma e avviene a Molfetta, dove il sindaco-senatore Antonio Azzollini, per mantenere la maggioranza, ha operato una rotazione di incarichi concedendo ai valvassini eletti nelle fila del Pdl, piccole prebende e accontentando tutti. C’è chi si vende anche per un piatto di lenticchie. Ma il popolo non deve sapere quel che avviene nel palazzo. O meglio deve sapere solo la verità del principe, diffusa dai suoi banditori. Ma se qualche giornalista libero prova a rivolgere legittime domande, toccando il nervo scoperto, si scegli la strada del silenzio. Colpevole. Del resto i vecchi proverbi rappresentano sempre pillole di saggezza e il “chi tace, acconsente”, in questo caso rischia di diventare un boomerang. Quindici a nome dell’opinione pubblica che rappresenta, ha rivolto al sindaco e all’amministrazione di centrodestra, alcune domande su molti lati oscuri o poco chiari, di alcune vicende cittadine. Nessuna risposta. Parliamo degli interrogativi sullo svolgimento dei concorsi comunali, delle mancate urbanizzazioni, del metodo di elargizione delle provvidenze comunali, del piano del nuovo porto, del piano dell’agro (sul quale anche le opposizioni hanno avanzato richieste e critiche parlando di approssimazione di un progetto che nasconderebbe un’ulteriore espansione edilizia, di possibili conflitti di interesse tra chi lo ha proposto e chi lo ha redatto, con terreni di proprietà di parenti o di casi di manifesta incompatibilità politica), dell’edilizia selvaggia senza servizi che subordina tutto al mattone, vero cancro della vita cittadina da oltre 40 anni. Mentre si tollerano o peggio, si regolarizzano, mega ville private passate per case coloniche e si addensano nubi sulla legittimità del bando per la scelta del partner privato della Multiservizi. L’assenza del sindaco da Molfetta per buona parte della settimana per gli impegni parlamentari e la delegittimazione degli assessori privi di autonomia, ha fatto crescere il potere dei dirigenti di fiducia e perfino di soggetti estranei che dettano legge nel Palazzo, senza averne titolo alcuno. E’ democrazia questa? Il sindaco ama circondarsi di gente incapace di confrontarsi, che preferisce parlare solo con qualche media amico o compiacente che riporta le dichiarazioni a senso unico, grazie anche alla possibilità di accogliere suggerimenti, perfino domande per un’intervista sdraiata. E’ questa la situazione, mentre continuano gli sprechi nella gestione amministrativa con continui rifacimenti di giardini e parchi che finiscono puntualmente abbandonati e devastati dai vandali. E se qualcosa va male, è sempre colpa dell’altro, dei comunisti, della Regione, dei giudici di sinistra come a Roma. Tutto all’insegna del pressapochismo e del silenzio, per nascondere amare verità, le cui conseguenze ricadranno sulle generazioni future. Ma loro, ormai, saranno soddisfatti e lontani. Colpevoli, ma autoassoltisi per il diritto divino della maggioranza.

Autore: Felice De Sanctis
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