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Colori di donna, l'impegno nella vita pubblica: la Consulta femminile contro le discriminazioni di genere
17 marzo 2014

MOLFETTA - In occasione della “Giornata internazionale dei diritti delle donne”, la Consulta Femminile ha presentato “Colori di donna, L’impegno nella vita pubblica”, invitando a testimoniare quelle donne che, con determinazione e impegno, sono riuscite a realizzare i loro sogni e oggi ricoprono ruoli di primaria importanza nel tessuto sociale, ruoli che fino a qualche decennio fa erano ritenuti prettamente maschili.

La presidente della Consulta, Alina Gadaleta Caldarola (nella foto col magistrato De Palo), invita tutte le donne ad acquisire maggiore consapevolezza dei ruoli pubblici che possono svolgere e spiega che Colori di donna è una metafora che vuole evocare la bellezza di ogni donna che persegue i suoi obiettivi. Perché le donne hanno dovuto percorrere un cammino lungo e tortuoso che non può essere ridotto alla mera festa commerciale dell’8 marzo. C’è molto ancora di non fatto e la memoria non deve andare persa. Alina Gadaleta sottolinea che sono sei gli articoli della Costituzione che sanciscono i pari diritti e le pari opportunità, ma ad esempio la parità tra coniugi diviene effettiva solo nel ’75, quando la moglie può usare il proprio cognome e non quello del marito o addirittura solo nel ’96 la legge sulla violenza sessuale è riconosciuta come violenza contro la persona e non più contro la morale. Per non parlare dei tanti problemi irrisolti riguardanti il lavoro, come il basso tasso d’impiego femminile o sottopagato, la mancanza di donne ai vertici delle aziende, delle cariche elettive e rappresentanze parlamentari. Questo perché i pregiudizi fanno in modo che un uomo che ricopre una certa carica venga visto come meritevole e una donna invece, sia avvertita come una usurpatrice, avvantaggiata semmai per la sua bellezza o per particolari favori. Per fortuna ora le giovani donne non aspettano più il principe azzurro, ma cercano di ricoprire ruoli anche importanti con le loro sole forze.

Per portarci il suo esempio è intervenuta la Presidente del Tribunale dei minori di Bari, il Magistrato Rosa Anna Depalo. Racconta che l’ingresso delle donne in magistratura è recente e nel ‘63, anno del primo concorso a cui ebbero accesso, solo otto di loro entrarono, mentre oggi la percentuale supera il 60%. Resta comunque il fatto che il totale della presenza delle donne in magistratura si aggira attorno al 40%. Abbiamo una sola donna Presidente di Corte d’Appello di Brescia che adesso avrà circa settant’anni ma è dotata di un attivismo straordinario. Brescia è un modello da seguire anche perché nel Palazzo di Giustizia è stato aperto uno sportello dove avvocati, psicologi, assistenti sociali, ascoltano e accompagnano nel percorso giuridico vero e proprio, le donne vittime di violenza. Inoltre il Magistrato ci parla di sé e del difficile rapporto avuto con il padre che voleva per lei una posizione più tranquilla. Tante piccole battaglie che ha dovuto affrontare da sola fino a che, entrata in magistratura, non ha più incontrato palesi discriminazioni. La sua esperienza le ha insegnato che spesso sono le donne stesse le maggiori nemiche delle altre donne. E tali sono quelle donne che si sentono inadeguate e che ancora devono lavorare su loro stesse. “Però,” aggiunge, “è giusto combattere per le pari opportunità ma ciò che è indispensabile è cambiare la cultura: ho letto recentemente la sentenza di condanna per alcuni ragazzi colpevoli di uno stupro di gruppo e in aula, mentre leggevo le varie condanne, questi sgomitavano tra loro per l’anno di pena in più o in meno che avevano preso rispetto all’amico. Non erano ancora coscienti della gravità del gesto. E le loro madri venivano a dirmi che i loro ragazzi erano buoni e la responsabilità era piuttosto della ragazzina che “la dava” a tutti. Che donne sono queste madri?”.

Loredana Lezoche, imprenditrice di una piccola azienda locale, dichiara di essere un maschiaccio sin da piccola, ha praticato sport piuttosto maschili come il karate e l’hockey su pista. Ha studiato per realizzare i suoi progetti professionali ed è andata controcorrente quando ha deciso di andare a scuola a Milano, fino alla scelta di ritornare nella sua città. Loredana ha messo su un’azienda dal niente ma non ha rinunciato ad essere mamma di ben quattro figli, di cui due sono figli di suo marito vent’anni più grande di lei. “Ogni donna è quello che vuole essere. Riesce a fare tutto senza mai smettere di essere tale: donna, moglie, amante, mamma, amica, consigliera e lavoratrice. Nei miei uffici ho fatto una scelta di donne e se potessi assumere esclusivamente donne nella mia azienda, lo farei, ma ci sono dei compiti fisici che non mi sento di imporre loro”.

L’assessore alla cultura e al turismo, nonché alle pari opportunità e all’uguaglianza di genere Betta Mongelli, ritiene che l’esperienza scout nella sua vita sia stata fondamentale per formare in lei uno spirito “di servizio” e crede nel valore dell’amicizia. Non è mai stata competitiva nei confronti del sesso maschile. Per lei il ’68 è stato sì l’anno dell’occupazione delle Università, ma anche e soprattutto ha rappresentato gli anni della scoperta dei territori dell’emarginazione. Gli anni per le battaglie dei diritti, per i divorzi e gli aborti. La scuola è stata per lei il luogo dell’impegno, non certo la comoda occupazione che permette di lavorare mezza giornata, ed ora il ritorno alla politica con la nuova amministrazione. “Paola, giovane e fresca intelligenza, ha portato un progetto nuovo per questa città e noi ci stiamo scontrando ogni giorno con le difficoltà per realizzarlo. Nonostante ciò le nostre assessore subiscono minacce per il fatto stesso di essere donne. Ma c’è anche un'altra realtà nella nostra città ed è quella del mondo gay e trans e il nostro dovere è quello di promuovere una lotta seria contro l’omofobia. Abbiamo un piano sul progetto antiviolenza e di tutela verso tutto ciò che è diverso ma uguale a noi. Perché anche ad Ambra dobbiamo garantire il rispetto che merita”.

Colori di donna si è concluso con un pittoresco racconto inedito interpretato dal cantastorie Pietro Capurso che narra della discriminazione di una giovane insegnante molfettese nei primi anni del Novecento.

La discriminazione di genere è sempre esistita, ma si sta combattendo una dura lotta che può e deve essere vinta. Sono necessari però la partecipazione e il sostegno degli uomini oltre che delle donne e una nuova cultura che abbia il suo perno nel concetto di uguaglianza.

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Autore: Marianna Palma
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Si dice : le donne sono illogiche. La tanto lamentata illogicità delle donne può essere deplorata da chi abbia una concezione tipicamente maschile della logica. La logica “maschile” si riduce ad un gruppo di regole sul modo di disporre i pensieri in una sequenza armoniosa, che porti necessariamente da una premessa ad una conclusione, quale che sia il soggetto dei pensieri stessi. La logica femminile, invece, è una logica materiale fondata sulle leggi intrinseche delle cose, quali esse “sono”, non quali vengono pensate. Non è una logica tecnica e astratta, suscettibile di applicazione generale, ma una logica materiale che varia con la natura delle cose alle quali viene applicata o, meglio, dalle quali essa sorge in ogni caso determinato. Lo stesso si può dire della presunta immoralità delle donne: esse non sentono e non usano la moralità astratta, codificata dagli uomini e per gli uomini, ma quella che si chiama la moralità “essenziale”: in altre parole, le leggi non scritte, che sono le vere leggi delle cose, sono incastonate nel cuore di ogni donna. A queste leggi la donna aderisce rigidamente e senza compromessi. E la differenza tra il modo maschile e femminile di concepire il sesso si riduce sostanzialmente ad una differenza tra la moralità artificiale e quella naturale. Lo stesso principio vale anche per il senso del dovere che, a quanto si dice, le donne spingerebbero fino a un grado esasperante di pedanteria. Il dovere, quale gli uomini lo concepiscono, è una regola, imposta arbitrariamente dal di fuori, che ci costringe ad assolvere un compito, senza che ad esso ci spinga un incentivo interiore. Il dovere, come lo concepisce la donna, è di natura diversa. Per comprendere questa differenza, dobbiamo ricorrere alla psicologia infantile, citando un esempio comunissimo. Un bambino, di età fra i tre anni e mezzo e i cinque, è assorto nel suo gioco; la madre gli chiede di fare qualche cosa d'altro, per esempio uscire a passeggio con lei, ma il bambino risponde: “Aspetta un momento, prima debbo finire questo”. Le parole “prima debbo finire questo” significano in realtà: “Questo dev'essere finito prima” oppure “questo vuol essere finito prima”. In altri termini, il bimbo ha scoperto per la prima volta una specie di imperativo che il suo stesso gioco o lavoro gl'impongono e al quale egli si sottopone volontariamente. Ciò che pochi minuti prima era un gioco, ora è diventato un “compito”, che esercita un particolare ascendente, una particolare autorità sul bambino. Questo momento, sia detto di passaggio, rappresenta il senso del senso etico. Allo stesso modo, nella donna si delinea un dovere “materiale”, l'unico che essa conosca; questo dovere pone alla donna un imperativo irresistibile, poiché proviene dalla profondità della sua esistenza, cioè dalla sua unità con le cose. Una volta una donna disse: “Io non rifletto sui problemi, li vivo”.
L'esistenza della donna è simile a quella della materia: statica, solida, feconda. La personalità della donna non conosce uno “sviluppo” verso uno stadio più alto, ma soltanto un'”espansione”, cioè la crescita di qualche cosa che non cambia materialmente. Una donna fece un'esatta descrizione di questa interezza e profonda unità della personalità femminile: “Sul conto delle donne – ella disse – non sbaglio quasi mai, mentre con gli uomini sbaglio facilmente. In un attimo solo si può comprendere una donna, mentre solo a poco a poco si scopre il vero essere di un uomo. Una donna rimane sempre se stessa, la sua visione delle cose non è mai turbata dalle circostanze”. La donna non vive “al di fuori” delle cose, non viene a contatto con le cose solo quando queste le “vengono incontro”; elle è immediatamente, intimamente, necessariamente “una” con tutte le cose esistenti, persone, animali, natura. Questo stato di unità è la forma di esistenza delle razze primitive e dei bambini, è la base dei misteri religiosi, dell'ipnosi, della relazione madre-figlio e dello spirito gregario dell'umanità; ed è l'essenza dell'esperienza nell'atto sessuale. Questa unità, questo essere “dentro” e non solo “con” le cose, permette alle donne di “conoscere” le cose, di comprendere le cose inanimate e quelle viventi attraverso una partecipazione alla loro esistenza: non già, dunque, per mezzo della ragione o dell'intelletto, ma per mezzo di quella che comunemente si chiama intuizione. Per questo avviene così spesso che le donne siano sicure del fatto loro anche quando uomini molto intelligenti di loro rimangono incerti e perplessi; per questo esse scoprono la via giusta, in modo semplice ed umile, anche quando uomini di gran lunga superiori si sentono disperatamente smarriti. Una volta una donna disse: “Non so che cosa sia la diffidenza, perché io accetto interamente una persona o la respingo interamente”. Nei tempi antichi questa facoltà femminile di “conoscere” l'ignoto ha colmato gli uomini di riverente terrore, facendo si che essi avvertissero nelle donne qualcosa di misterioso e inducendoli a venerarle come sacerdotesse e profetesse. Nelle leggende è sempre una donna, generalmente una casta vergine, che redime l'uomo; non accade mai il contrario. La vera origine della cavalleria deve ricercarsi nell'alta considerazione in cui erano tenute le donne, e non già un tentativo di compensare in qualche modo la loro inferiorità. Più tardi, in tempi più crudeli, meno sensibili al mistero e più portati al fanatismo, le donne non furono più collocate su di un piedistallo, ma abbruciate sul rogo come streghe. Questo avvenne fino a duecento anni fa, oggi le donne, uscite dal cerchio magico del mistero, si vedono perfino rifiutare una paga eguale a quella degli uomini pur compiendo lo stesso lavoro. “La ragione fondamentale per la quale le donne non operano grandemente come gli uomini – rivela la professoressa Marjory Nicolson con insolito charme femminile e con un senso quasi maschile dell'ironia – è che le donne non hanno moglie! Fino a quando la scienza o l'economia non correggeranno questo errore di natura, noi dovremo rimanere, temo, il sesso inferiore”. E' un concetto così originale che possiamo soltanto rammaricarci che non sia esatto.

Le condizioni culturali di un paese e di un'epoca, e in particolare le relazioni tra i sessi, sono determinate dalle donne. Da quando, nel diciassettesimo secolo, l'influenza della donna divenne un fattore storico-politico, questa invisibile influenza ha acquistato una forza sempre maggiore. Le donne hanno lavorato silenziosamente nella penombra, senza curarsi se gli storici definivano “mascolino” questo o quel periodo. E' opportuno richiamare quello0 che si definisce “il conflitto essenziale nell'esistenza della donna”: la donna ha un cervello, ma anche un grembo. Non sarebbe giusto attribuire questo conflitto soltanto alle circostanze sociali; si tratta in realtà di un fenomeno molto più vasto, che potremmo chiamare un caso di lealtà dualistica. Il fatto che un numero sempre maggiore di donne affronti coraggiosamente questo conflitto non riduce le proporzioni del problema, ma semmai può accrescere il nostro rispetto per queste donne. Che una donna possa nello stesso tempo servire il proprio marito come moglie, i propri figli come madre, la propria femminilità attraverso la sua bellezza o il suo fascino, i propri pazienti come medico e il proprio paese come membro del parlamento, è un fatto che s'impone alla nostra ammirazione. E poiché non poche donne, pur essendo famose nel campo della scienza, assolvono ugualmente i loro doveri di mogli e di madri, si vede quanto sia puerile il pretesto accampato da certi uomini quando affermano che le esigenze del lavoro hanno impedito loro di sposarsi, e quanto sia fallace la teoria dell'incompatibilità tra lavoro e amore. D'altra parte, non si debbono neanche disconoscere i meriti di quegli uomini che si addossano coraggiosamente il compito non facile di essere mariti di donne famose e che anzi contribuiscono al loro successo. Ma la buona riuscita di queste donne e dei loro matrimoni rappresenta l'eccezione, poiché, in generale, una donna “dalla testa forte” si trova in condizione di netto svantaggio. E non soltanto nei suoi rapporti sociali, essendo quasi inevitabile che l'uomo medio si trovi a disagio al cospetto di una donna intelligente; ma anche perché è naturalmente difficile armonizzare il lavoro intellettuale con l'esistenza femminile. In questo senso, c'è molto da “lavorare”.

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