Città reale e illusioni dei centri commerciali senza storia
Vorremmo cercare, questa volta, di non considerare in maniera isolata i fenomeni di degrado che colpiscono la città, in preda al vandalismo e all’abusivismo, allo scempio ambientale e all’inquinamento chimico delle acque costiere. Cercheremo di cogliere il fi lo conduttore che lega la totalità di questi fenomeni nell’indifferenza di tutti, per mezzo di uno sguardo d’insieme completo che attraverso questa totalità veda un fenomeno originariamente unitario. Molfetta ha due identità contrapposte. C’è una Molfetta reale, in cui viviamo le nostre ansie, i nostri disagi ma anche le nostre soddisfazioni. E’ la Molfetta in cui siamo nati, e che articola la vita di ogni giorno offrendo le possibilità di sempre, da cui ci lasciamo guidare accomodandoci nella routine spesso indifferente che aderisce ai nostri tempi. La città che è parte di noi, perché la nostra stessa identità si è formata su quegli angoli di strada, negli stessi posti, in quel mondo da cui siamo partiti e che abbiamo fatto nostro. E poi c’è la città dei grandi centri commerciali, in cui si va lasciandosi indietro tutti quei bisogni, quella vita, l’identità con cui facciamo i conti ogni giorno, in ogni scelta. L’individuo consumatore non ha storia, si scrolla di dosso il carico di responsabilità che la sua storia comporta in modo da non essere di fronte all’imbarazzo delle scelte quotidiane. Lì, nel centro commerciale, la possibilità è solo una: comprare. E’ quello che fanno tutti, e dunque basta lasciarsi trascinare da ciò che si fa, e tutti quei problemi vengono meno. Le politiche degli ultimi anni, a ben guardare, hanno fatto leva abitualmente su questa “doppia natura” investendo tutto sulla Molfetta senza storia, senza senso. Lì, infatti, la soddisfazione è molto più facile. Tutto è fi nto, anche le casette così carine sopra i negozi dell’Outlet (che delusione sapere che lì dentro non ci vive proprio nessuno!). E i disagi della Molfetta reale, che sono i disagi di noi stessi, tendono a scomparire. Tanto si può sempre andare alla Mongolfi era. Questa contraddizione giunge a piena maturazione quando guardiamo a quella che oggi rappresenta l’unica (o quasi) possibilità di lavoro per centinaia di giovani molfettesi: il call center. Il giovane, recandosi a lavorare da quelle parti (non può fare altro, se vuol lavorare), nella Molfetta illusoria e senza storia, rinuncia alla propria storia e a se stesso, per pronunciare formule indifferenti, sempre identiche, che portano tutti in una dimensione estranea, vuota come le frasi che si ripetono, come le luci sbiadite dei centri commerciali, in mezzo alle sterpaglie che non fi - niscono mai e ai cani nell’eterna rincorsa di una vita migliore. Il porto, probabilmente, arricchirà questo sfondo di altre luci belle e appariscenti, in modo da offrire ai pescatori qualcosa da guardare per distrarsi dalle bolle dolenti dell’iprite e dei gas chimici. Del resto, il nostro sindaco Antonio Azzollini ha frequentato il marxismo sicuramente molto più dei nostri attuali politicanti di sinistra, e ha saputo raccoglierne tutti gli insegnamenti. Una realtà estraniata trascina la gente con sé, imponendo nuovi bisogni e nuove aspirazioni. Nella città della moda ci sono nuove leggi, altri bisogni, sempre isolati e quindi tranquillizzanti, rispetto ai doveri pesanti della Molfetta reale, dove ogni momento porta con sé una trama di relazioni che ci lega alle persone, agli uffi ci, alle case, alle strade. La vita reale non ammette sconti, e la città deve essere governata a partire dalle esigenze reali che quella vita porta con sé, senza le quali il governo resta vuoto e i cittadini privi dello spazio per poter agire. Meglio assumere la vita del centro commerciale, fa davvero comodo a tutti, soprattutto agli amministratori. I problemi di tutti i giorni restano un’incombenza dovuta, un peso appioppato dal fato o dalla natura. E così tutto sembra andar meglio.
Autore: Giacomo Pisani