Si moltiplicano in questi giorni le analisi del voto all’interno delle sezioni di partito. E insieme alle ragioni della sconfitta, ai perché di un riscontro che non c’è stato, le segreterie e gli iscritti si interrogano sui “colpevoli” (che nel gergo del bon-ton della politica si chiamano “le responsabilità”). Chi ha consentito a Tommaso Minervini di ottenere il 65% dei consensi? Chi ha permesso che la città, al seguito del “vento della destra” riducesse a brandelli il centro-sinistra molfettese? E chi ha fatto in modo che la società civile (benedetta società civile!) si “scollasse” dal Palazzo, dalla politica cittadina e dall’attività amministrativa degli ultimi sei anni? Chi ha sbagliato?
In un je-accuse fatto, come sempre, di rimpalli, rivendicazioni e soprattutto di facili e comode dietrologie (“Lo dicevo, io...”), il centro-sinistra di Molfetta prosegue ad oltranza nella ricerca delle cause, mostrando chiaramente, tuttavia, che quello della “sconfitta rigeneratrice”, obiettivo pure auspicato da molti, fosse in realtà soltanto una pia illusione. Insomma, se ci si spacca quando si è al governo, figurarsi dopo...
L’appello di “Rinascere”
E’ soprattutto a sinistra che si registrano i movimenti più consistenti (su questo numero abbiamo voluto concentrarci soltanto su questa parte politica, intenzionati, tuttavia, ad ascoltare anche le altre forze e gli altri partiti sul prossimo numero).
E’ di questi giorni la presentazione dell’iniziativa “Rinascere”, l’appello rivolto ai cittadini di sinistra (e di centro-sinistra), perché, conclusasi la stagione dei “movimenti”, si torni nei partiti: l’appello in questione, pur facendo riferimento anche al centro e alla rappresentatività della Margherita, è, in buona sostanza, il preludio a un massiccio ingresso nei Ds.
Peppino Panunzio, segretario Ds (già dimissionario), mentre il suo partito non versa certo in acque tranquille (la quantità bassissima di consensi ottenuti ha fatto gridare allo scandalo la base, che, in attesa del prossimo congresso, sembra chiedere con insistenza “le teste” del gruppo dirigente degli ultimi anni), guarda certo con favore a “Rinascere”, perché, dice, “è il segno che il nostro partito è aperto al confronto, ed è questo ciò che a me, segretario, premeva far intendere al popolo di sinistra”. E però avverte: “Non bisogna attribuire colpe che non esistono all’attuale gruppo dirigente, né tanto meno demonizzarlo: credo, al contrario, che si debba ringraziare chi, anche in momenti difficili, è rimasto dentro il partito”.
Non intervengono nel merito di “Rinascere” le altre forze della sinistra molfettese, che, tuttavia, in modo non univoco accettano la tesi sulla “fine dei movimenti”.
Lo stesso Peppino Panunzio riconosce che “l’antitesi partito-movimento nei fatti non esiste: io stesso ho fatto parte di movimenti”.
Rifondazione: utili i Movimenti
Anche Nino Mastropierro, segretario di Rifondazione Comunista, non ritiene affatto auspicabile la fine dei movimenti, né l’accetta come ‘fatto storico’ col quale fare i conti comunque. “I movimenti possono spronare la politica che si fa nei partiti, fermo restando che il partito non è cosa buona comunque: esiste anche il partito come comitato d’affari o il partito-azienda, soggetti, questi, che vanno naturalmente rigettati, perché il partito vero è solo quello che sa farsi interlocutore di istanze”.
Non ha dubbi, invece, Mimì Spadavecchia, segretario del Partito dei Comunisti Italiani, anch’egli dimissionario (“Perché sono stanco e perché il partito comunista mi ha insegnato che quando si perde si rassegnano le dimissioni”). Per lui la politica deve tornare nei partiti.
Marino Spadavecchia, segretario dello Sdi, a conoscenza dei movimenti in casa Ds, non rinuncia a lanciare un monito: “Che il confronto abbia luogo non solo nei Ds, ma in tutta la coalizione, perché è questo ciò che serve davvero”.
I socialisti: serve un fronte unitario
E’ ancora Marino Spadavecchia, a ribadire con insistenza la necessità di costruire un fronte unitario della sinistra molfettese. Insomma, anche se, come si sa, questa è materia di competenza delle segreterie nazionali, anche le locali sezioni di Molfetta non rinunciano ad accarezzare la prospettiva del partito socialista europeo.
“Abbiamo incontrato le altre forze della sinistra molfettese... - ha detto Marino Spadavecchia - e, ad esclusione di Rifondazione Comunista, tutte si sono mostrate ben disponibili ad operare nell’ottica dell’unità, pur difendendo ciascuno la propria autonoma tradizione: sarebbe utile parlarne in un dibattito pubblico”.
Concordano con Marino Spadevecchia Peppino Panunzio (convinto peraltro che il ‘frazionismo’ sia una delle ragioni di quest’ultima sconfitta e che in passato sia mancato il coraggio a chi pure avrebbe auspicato l’unità della sinistra) insieme con Mimì Spadavecchia (che rivendica: “Il nostro è stato il primo partito a fare una proposta di unità e adesso siamo ben contenti che questa sia una prospettiva sposata anche dagli altri”).
Non apprezza particolarmente l’appello all’unità il segretario di Rifondazione, che preferisce invece porre l’accento sulla necessità di “tornare alla città”, creando legami solidi con i lavoratori e con i disoccupati: uno sforzo che non sempre e mai automaticamente raggiunge i veri obiettivi, come riconosce lo stesso Nino Mastropierro.
Guglielmo Minervini sotto accusa
Ma veniamo alle colpe, un terreno, questo, sul quale in questo momento le “intuizioni del senno di poi” lasciano spesso spazio anche alle insinuazioni, o dove la ‘critica’ o la ‘rivendicazione’ corrono sempre il rischio di essere lette in chiave personale. È facile che persino le più sottili analisi politiche vengano percepite come offese ad personam, anche perché, inutile negarlo, oggi la tendenza è ad individuare il capro espiatorio, quello che abbia le migliori qualità possibili per diventare il “simbolo della sconfitta”.
Non c’è dubbio che al momento il nome che rimbalza più di tutti gli altri, tra quanti sono alle prese con le ragioni della débâcle elettorale, è quello di Guglielmo Minervini.
Vi allude Peppino Panunzio, quando, tra i motivi della sconfitta, annovera pure il “leaderismo” come fenomeno della politica molfettese di questi anni, aggiungendo, però, che anche i partiti hanno perseverato nella loro litigiosità e nella tendenza a chiudersi al loro interno, perdendo il polso della città.
Di Guglielmo Minervini e dell’errore di “non essersi dimesso subito” parla esplicitamente Marino Spadavecchia, che giudica responsabile del fallimento anche la scelta di aver anteposto gli obiettivi programmatici alla necessità di tenere blindata la coalizione, anche se poi aggiunge: “Non sono tra chi ritiene illegittima l’operazione De Sario”, alludendo al “cambio di casacca” più discusso di questi ultimi due anni, quello che più degli altri ha suscitato polemiche e disagi tra i sostenitori della passata amministrazione.
Ancora più netto Nino Mastropierro, secondo il quale la passata amministrazione ha spesso lasciato passare un messaggio di “politica autocompiaciuta, fine a se stessa”, fino ad annullare il senso di un “rapporto di fiducia instaurato con i cittadini, sulla base del principio della trasparenza”. Politicismo, tatticismo, insomma, queste sarebbero state le ragioni di un distacco graduale del popolo di sinistra dal Palazzo del Comune, e, dunque, di una sconfitta di così larghe dimensioni della sinistra. E, anche per il segretario di Rifondazione, “le dimissioni sarebbero state doverose, quando non si è più potuto contare su una maggioranza, soprattutto su questioni delicate come il Prg: era giusto che la parola tornasse alla città, senza ricorrere a strani personaggi che, una volta legittimati, non hanno tardato a coalizzarsi contro. L’errore è stato pensare di poter assorbire persone che entravano in maggioranza solo perché animati da interessi particolari”.
Le dimissioni mancate sono state un gravissimo errore anche per Mimì Spadavecchia perché “la città doveva sapere subito”.
“Per la verità – aggiunge Peppino Panunzio – non sono da escludersi neppure ragioni di ordine fisiologico: ‘amministrare’ non è mai una buona fabbrica di consensi”.
Né ancora Mimì Spadavecchia esclude una “congenita anomalia politica” della città di Molfetta. “La nostra è una città – afferma – nella quale una stessa persona può cambiare partito tre o anche quattro volte nel giro di poco tempo!”.
Quale opposizione?
Ma, adesso, quale opposizione? In che modo garantirsi la possibilità di fare opposizione con una rappresentanza in Consiglio ridotta ai minimi termini (appena 7 consiglieri)?
“Bisogna ricreare i legami necessari con i sindacati – afferma Mimì Spadavecchia – garantendo, per esempio, che a tutti i nuovi lavoratori impiegati nella zona Artigianale venga assicurato il pieno rispetto dei loro diritti; ancora, è opportuno essere vigili sul ritorno di sacche di delinquenza consistenti in alcune zone della città: nell’area intorno a piazza paradiso è un fenomeno che si sta già verificando”.
“Tornare a radicarsi nella città” è pure l’obiettivo auspicato da Nino Mastropierro.
E, se Marino Spadavecchia torna a porre l’accento su questioni prettamente politiche (“Non bisogna lasciare il terreno all’avversario, più di quanto non si sia già fatto”), Peppino Panunzio lancia un monito: “L’opposizione non dovrà essere cieca: dentro e fuori il Palazzo, a cominciare dai fondati sospetti di compravendita dei voti verificatisi nello schieramento di centro-destra, un fenomeno che è giusto denunciare con grande determinazione”.
Tiziana Ragno