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Caso Azzollini, voci di pressioni da Palazzo Chigi: autorizzazione negata per timore di ritorsioni sulla legge del joba act. Vendola: sconce intese
08 ottobre 2014

ROMA – Ha acceso un grande dibattito con numerose proteste anche a livello nazionale il rifiuto della Giunta per le autorizzazioni e le immunità del Senato di concedere l’autorizzazione alla magistratura di utilizzare le intercettazioni dell’ex sindaco di Molfetta, sen. Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio del Senato, indagato per associazione a delinquere nello scandalo del nuovo porto di Molfetta.

In pratica si attribuisce alla casta la sua autoconservazione e la palese violazione del principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, come ha sottolineato lo stesso relatore Casson del Pd, il quale di fronte al voto del suo partito contrario all’autorizzazione, ha mantenuto la schiena dritta e la sua dirittura morale e si è autosospeso dal gruppo Pd. Uno schiaffo morale al partito che lascia il segno e condanna l’atteggiamento dei senatori democratici che hanno votato col Nuovo centrodestra e con la Lega, tutti debitori di Azzollini.
Secondo alcuni, la sospensione della seduta della giunta chiesta dai senatori Pd, serviva per interpellare lo stesso premier Renzi, che oltre al patto con Berlusconi ha anche interesse ad evitare contraccolpi sulla maggioranza di governo alla vigilia del voto di fiducia sul Jobs Act e in vista dell’imminente legge di stabilità che dovrà passare proprio per la commissione bilancio presieduta da Azzollini. 
Ma la vicenda Azzollini sta spaccando ancora di più il Pd. Ecco cosa ha scritto Il fatto quotidiano:

Azzollini, scontro nel Pd. “Intercettazioni andavano autorizzate”. “No, scelta politica”

Ieri il voto a sorpresa in giunta contro l'uso delle intercettazioni a carico del senatore Ncd, indagato nell'affare del porto di Molfetta. Il relatore Casson: "Difesa della casta". Civati: "Spiegate motivi". Il capogruppo Cucca: "Nessuna pressioe politica, le intercettazioni dovevano essere autorizzate anche se indirette". Ma c'è chi racconta di una telefonata da Palazzo Chigi, dove c'era preoccupazione per i contraccolpi nella maggioranza. Vendola: "Sconce intese".

 “Cari colleghi del Pd, ci potreste illuminare sui motivi per cui in giunta avete lasciato solo il relatore Casson sul ‘caso’ Azzollini?”. Sul suo blog il deputato dem Pippo Civati chiede conto al partito del voto di ieri sera in giunta per le autorizzazioni alla Camera contrario all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche di Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio del Senato in quota Nuovo centrodestra, accusato di diversi reati nell’inchiesta sul porto di Molfetta. Dopo il voto contrario dei suoi compagni di partito, il relatore Felice Casson (nella foto) si è autosospeso dal gruppo con toni molto polemici. E oggi, intervistato dal Fatto Tv, rincara la dose: “Il significato politico è che si continua a difendere la Casta”. Fonti qualificate sentite da ilfattoquotidiano.it attribuiscono la decisione finale del Pd un colloquio telefonico con Palazzo Chigi, dove si era preoccupati per i contraccolpi sulla maggioranza di governo alla vigilia del voto di fiducia sul Jobs Act e in vista dell’imminente legge di stabilità che dovrà passare proprio per la commissione bilancio presieduta da Azzollini. 

La Costituzione dice chiaramente che la valutazione della giunta deve riguardare solo l’esistenza di un fumus persecutionis nei confronti del parlamentare indagato. E il fatto che la decisione del Pd non sia stata motivata da alcuna dichiarazione di voto, né dal capogruppo Giuseppe Cucca né da altri, contribuisce ad alimentare i sospetti. “Avrete sicuramente motivazioni precise e documentate e ci piacerebbe conoscerle”, scrive ancora Civati nel blog, “perché nessuna dichiarazione di voto è stata fatta alla fine della discussione durata nove mesi, e per non dare adito alle voci che circolano con sempre maggiore insistenza, secondo le quali non si poteva dare l’autorizzazione il giorno prima della fiducia a un alleato così pesante”. Dunque, conclude il deputato spesso critico verso la linea di Renzi, “per fugare ogni dubbio siamo in attesa di saperne di più. E credo che meritino di soddisfare la loro legittima curiosità soprattutto i cittadini di Molfetta”.

Ilfattoquotidiano.it ha contatto alcuni degli otto membri Pd della giunta del Senato: nessuno di loro ha voluto esporsi apertamente sui motivi della decisione, rimandando al capogruppo Giuseppe Cucca. “Sono pronto a darvi il mio telefonino per dimostrare che ieri sera non ho ricevuto nessuna telefonata di pressione politica”, assicura Cucca quando riusciamo a contattarlo. E spiega quello che non compare nel verbale della seduta: “Abbiamo votato contro perché avevamo perplessità su quattro intercettazioni di cui la Procura chiedeva l’autorizzazione all’utilizzo”. Si parla naturalmente di intercettazioni indirette, registrate perché a essere sotto controllo erano i telefoni di altri indagati che poi hanno avuto contatti con il parlamentare Azzollini, protetto dalla Costituzione. In dettaglio, si legge nella richiesta arrivata a Palazzo Madama, dieci telefonate intercettate nell’arco di un anno e mezzo, tra il 4 maggio 2010 e il 14 settembre 2011. “Secondo noi le intercettazioni non erano casuali, nel senso che i pm sapevano che Azzollini, essendo sindaco di Molfetta, era un interlocutore degli indagati. Quindi dovevano chiedere l’autorizzazione”. Ma questo ha a che fare con il fumus persecutionis, il principio fondamentale che sta alla base delle decisioni sulle tutele dei parlamentari? “Ci sono precedenti giurisprudenziali sul fatto che la mancanza di casualità è un motivo per non concedere l’ultilizzo”. Il tema delle intercettazioni in cui è incappato il parlamentare è già affrontato nella richiesta del gip al Senato, dove tra l’altro si osserva: “In oltre otto mesi, solo tre captazioni dell’utenza (omissis) hanno visto quale interlocutore il parlamentare (…) a dimostrazione della occasionalità delle captazioni delle quali si chiede l’utilizzazione”.

E perché questa scelta non è stata dichiarata apertamente in aula prima del voto, cosa che ha dato adito al sospetto di una necessità politica non confessabile? “Io sono il capogruppo”, afferma ancora Cucca, “prendo posizione solo quando so che tutti sono d’accordo, se no poi faccio la figura del peracottaro. Nelle riunione erano emerse posizioni diverse e in giunta vige la totale libertà individuale, non sapevo in anticipo come avrebbero votato i miei colleghi di partito. Ma le telefonate di pressione politica sono solo falsità”. 

Sulla stessa linea il senatore Giorgio Pagliari, altro membro Pd della giunta: “Sono tutte favole, è diffamazione. In mia presenza non c’è stata alcuna telefonata”, dice a ilfattoquotidiano.it. “Noi abbiamo sempre deciso in totale autonomia”. Il Pd ha ravvisato fumus persecutionis nei confronti di Azzollini, insomma? “In sintesi sì”, conclude. 

Caso chiuso? Non certo per Casson che, ancora prima che Cucca fornisse la sua versione a ilfattoquotidiano.it, aveva liquidato la questione, nella citata intervista al Fatto Tv, come già abbondantemente chiarita nei mesi scorsi. Il dubbio, quindi, resta. 

Dopo aver sentito in giunta la relazione di Casson, favorevole all’autorizzazione, i membri Pd si sono riuniti per una ventina di minuti e, tornati in aula, hanno votato in contro insieme a centrodestra e Lega, sconfessando l’ex magistrato. Secondo le fonti interpellate da ilfattoquotidiano.it, nel corso della riunione si sarebbe parlato esclusivamente degli aspetti tecnici relativi alla regolarità delle intercettazioni. Solo in due, oltre a Casson che non ha partecipato alla riunione, si sarebbero detti favorevoli all’autorizzazione: le senatrici Stefania Pezzopane (ex presidente della Provincia dell’Aquila ai tempi del terremoto) e l’umbra Nadia Ginetti. Che poi si sarebbero convinte ad adeguarsi, anche perché il loro difforme non avrebbe cambiato il risultato finale. “Io ero perplessa”, ha detto Ginetti a ilfatto.it, “e avevo proposto una soluzione intermedia. Si sarebbero ad esempio potute utilizzare solo una parte delle intercettazioni, ovvero quelle ritenute legittime secondo l’articolo 68 della Costituzione. Ma la mia proposta non è stata recepita e ho deciso di votare insieme ai miei colleghi di partito”. La senatrice umbra resta però convinta del fatto che non tutte siano registrazioni “autorizzabili”: “E’ chiaro che non si tratta in toto di intercettazioni occasionali”.

Ma non è solo Civati a restare perplesso. “Anche se non ci stupiamo più di nulla, siamo rimasti molto sorpresi”, spiega il senatore M5S Vito Crimi, anche lui membro della giunta per le autorizzazioni del Senato. “Quando si sono appartati”, spiega, “abbiamo capito che la decisione non sarebbe più stata basata sui fatti, ma su motivi politici, dato che il voto su questi temi dovrebbe essere individuale e non su indicazione del gruppo”.

Certo è che, al di là della disquisizione sulle telefonate intercettate, la vicenda del Porto di Molfetta appare ben lontana dall’idea di un qualunque fumus persecutionis. Riguarda un affare da 150 milioni di euro per il quale la Procura di Trani ha messo sotto inchiesta Nell’ambito dell’inchiesta, dove sono indagate a vario titolo oltre 60 persone – ex amministratori pubblici e imprenditori – accusati di associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali. Del “casino di Molfetta”, di cui Azzollini era sindaco, parla anche l’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, da poco scarcerato dopo l’arresto per corruzione in relazione ai lavori di Expo2015, in una conversazione intercettata dagli investigatori milanesi: “Me la ricordo bene quella gara li, cioè una roba… Avevano chiesto in fase di prequalifica una macchina, una draga, la disponibilità, perciò anche in affìtto, che c’è ne una solo una in tutto il bacino del Mediterraneo e del Medioriente… Quelle cose esagerate, cioè scrivere “nome, cognome , indirizzo”… Cioè sono robe fatte… “dato che ho stravinto, no? allora ci metto anche la spada come Brenno”. Lì è esagerato”. L’assessore regionale pugliese Guglielmo Minervini ha definito pubblicamente la vicenda, senza mezzi termini, “una melmosa storia di corruzione”. E il presidente Nichi Vendola, di Sel, oggi commenta così il voto Pd a favore di Azzollini: ”Imbarazzante” e sintomo di “sconce intese”. 

di Martina Castigliani, Sara Nicoli, Mario Portanova

 

 

 

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Hallo Battista, che c'è di nuovo, cos'è accaduto dite un po' voglio sapere che cosa trovo, quando al castel ritornerò; Tutto va ben madama la marchesa, tutto va ben va tutto ben però l'attende forse una sorpresa che dir non posso fare a men un incidente, fatal destino, è morto il suo bel cavallino a parte ciò madama la marchesa va tutto ben va tutto ben Hallo hallo, Marcel che cosè stato, il mio caval come morì? ditemi orsù servo fidato, quale disgrazia lo colpì Tutto va ben madama la marchesa, tutto va ben va tutto ben però l'attende ancora una sorpresa, che dir non posso fare a men morì il cavallo per asfissia, che si incendiò la scuderia a parte ciò madama la marchesa, va tutto ben, va tutto ben. Hallo, hallo John, ma com'è andata? la scuderia chi mi incendiò? tu sei per me, servo fidato, questa disgrazia come andò? Tout va tres bien, madama la marchesa, Tout va tres bien Tout va tres bien però l'attende ancora una sorpresa, che dir non posso fare a men una scintilla varcò il cancello, dal tetto in fiamme del castello - ma va ...??? - madama la marchesa, tout va tres bien tout va tres bien Hallo Giuseppe, servo zelante, il mio castello si incendiò parlate orsù son trepidante, non state lì tra il sì e il no Le spiegherò madama la marchesa, c'erano i ladri nel castel la sua parure di zaffiri hanno presa, insieme a tutti i suoi gioiel fuggendo un ladro rovesciò una candela sul comò fece del mobile un falò così il castello si incendiò le fiamme il vento propagò ad alle stalle l'appiccò e fu così che dopo un po' il suo cavallo si asfissiò ma a parte ciò madama la marchesa va tutto ben va tutto ben
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