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Caduti d'Albania e Grecia Frammenti di storia
15 settembre 2013

Fu il genero e ministro degli Esteri Galeazzo Ciano a convincere Mussolini che l’invasione della Grecia sarebbe stata una faccenda di pochi giorni, contando sulla complicità di politici greci da lui corrotti. Ma agiva in Mussolini anche un sentimento di rivalsa nei confronti di Hitler, che si era impadronito dei pozzi petroliferi di Ploeþti in Romania senza avvertirlo. Così Mussolini, illudendosi di emulare le brillanti vittorie tedesche e di pilotare una “guerra parallela” nell’area del Mediterraneo affidatagli dal Patto tripartito, il 28 ottobre 1940, 18° anniversario della “Marcia su Roma”, aggredì proditoriamente la Grecia senza preavvisare Hitler. Apriva in tal modo un rischioso terzo fronte nei Balcani, sottraendo forze e materiali al fronte libico, mentre le truppe italiane segnavano ancora il passo in Africa settentrionale e in Etiopia, e non si faceva niente di decisivo per conquistare Malta, spina nel fianco nel Canale di Sicilia. Hitler, irritato, definì lucidamente l’attacco italiano alla Grecia «un deplorevole errore» strategico, gravido di conseguenze militari negative. Cumulando sbagli su sbagli, lo Stato maggiore italiano previde una guerra da combattere sulle montagne greche, anziché predisporre operazioni anfibie per occupare le isole dell’Egeo, che avrebbero permesso all’Italia di controllare il Mediterraneo orientale. Gli unici sbarchi previsti furono quelli per Corfù e Cefalonia, che non saranno nemmeno attuati nell’immediato. La campagna di Grecia non era neanche iniziata, che il 27 ottobre 1940 in Albania il trentaseienne fuochista molfettese Francesco Cappelluti di Ruggiero e Lucia Petruzzella moriva a Valona. Il giorno dopo verso le 6 di mattino, al comando del gen. Sebastiano Visconti Prasca, che a Mussolini aveva predetto l’occupazione dell’Epiro in 10-15 giorni, i soldati italiani varcavano il confine greco-albanese nella valle epirota del Kalamas. Sotto una pioggia battente, pur arrancando infreddoliti nel fango, avanzavano. Ma fra il 31 ottobre e il 5 novembre i ripetuti attacchi italiani s’infransero contro le forti posizioni greche. Le 11 divisioni italiane, male armate e male equipaggiate, si trovarono di fronte 14 divisioni elleniche attestate su un terreno montuoso con un’ottima artiglieria, aiuti di mezzi e materiali inglesi e una maggiore motivazione a combattere. Così il 1° novembre i greci del gen. Aléxandros Papágos contrattaccarono nel settore macedone, dove gl’italiani erano più deboli, e l’8 l’offensiva mussoliniana fu fermata dalle truppe elleniche. In questi frangenti il 7 novembre perì il venticinquenne soldato molfettese Francesco Mergola di Paolo e Giovanna Binetti (suo fratello Domenico morirà in Jugoslavia nel ‘44). Durante la ritirata del 47° reggimento di fanteria “Ferrara” dal passo fortificato di Kalibaki, il 15 novembre il ventenne sottotenente Cosmo Mario Caputo di Stanislao e Vincenza Marcotriggiani, al comando di un plotone di mitraglieri, si sacrificò al suo caposaldo, meritando una medaglia d’argento alla memoria. Gli alpini della divisione “Julia”, bloccati in posizione avanzata sul Pindo fra il nevischio, avendo avuto il 7 novembre l’ordine di ripiegare su Konitza, dovettero rompere l’accerchiamento greco e retrocedere. I fanti della divisione “Bari”, inviati a loro volta nel settore del Pindo furono travolti con gravi perdite sia perché privi di artiglierie adeguate sia per l’abbandono inaspettato del presidio di Erseke ordinato dal colonnello Giuseppe Azzaro del 1° reggimento bersaglieri. La “Julia” perse un quinto dei soldati e tutti i muli nel ripiegamento fino al ponte di Perati, che segnava il vecchio confine greco-albanese. Qui, dove un intero reggimento greco assalì il battaglione “Aquila”, il 21 novembre il capitano molfettese Gennaro Sallustio, già distintosi a Golo in Epiro e destinato a morire nel gulag russo di Oranki, fece prodigi di valore con la sua compagnia alpina, mettendo in fuga gli avversari e guadagnandosi la seconda medaglia d’argento. Ma alle 20:30 il ponte venne fatto saltare per proteggere la ritirata. Più che in un bollettino di guerra le gravi perdite alpine sono efficacemente rievocate da una mesta canzone: «Sul ponte di Perati, bandiera nera: / l’è il lutto degli alpini che va a la guera. / L’è il lutto de la Julia che va a la guera, / la meio zoventù va soto tera». Per essere più vicino alla zona bellica, Mussolini intanto aveva trasferito il suo quartier generale a Grottaglie, ma per una ventina di giorni, in novembre, soggiornò a Bisceglie a Villa La Notte in via S. Andrea, mentre alcuni comandanti e gerarchi s’insediarono nella vicina Villa Ciardi. Poco prima del rovescio subito in Grecia, con l’Operazione Judgement la flotta italiana ancorata a Taranto nella notte sul 12 novembre era stata semidistrutta da aerosiluranti Swordfish e bombardieri inglesi alzatisi in volo dalla portaerei Illustrious, secondo un piano predisposto sin dal 1935. Contemporaneamente l’ammiraglio Andrew Cunningham aveva inviato nel Canale d’Otranto una parte della Royal Navy, composta dagli incrociatori Orion, Sidney e Ajax e dai cacciatorpediniere Nubian e Mohawk agli ordini del vice-ammiraglio Henry Pridham-Wippel, per assalire eventuali convogli in navigazione tra l’Albania e la Puglia. Alle 22:30 dell’11 novembre uscirono da Valona i piroscafi Premuda, Antonio Locatelli, Capo Vado e la motonave Catalani, scortati dalla vecchia torpediniera Fabrizi e dall’incrociatore ausiliario Ramb III, diretti a Bari e Brindisi. All’1:05 del 12 novembre le navi inglesi avvistarono il convoglio italiano a 12-15 miglia a ponente dell’isolotto di Sàseno. Gli incrociatori britannici aprirono il fuoco, eroicamente fronteggiati dalla sola Fabrizi al comando del tenente di vascello Giovanni Barbini, mentre il Ramb III, sul lato destro del convoglio, si disimpegnava dall’impari scontro. Dopo tre quarti d’ora di cannoneggiamenti (4 pezzi da 102 mm contro 24 cannoni da 152 mm) la martoriata Fabrizi riuscì a tornare a Valona con 11 morti e 17 feriti, tra cui l’ardimentoso Barbini. I mercantili italiani furono tutti affondati, ma 140 naufraghi vennero salvati da due mezzi di soccorso. Si contarono 25 dispersi. Nella battaglia del Canale d’Otranto morirono i molfettesi Luigi Lisena di Filippo e Angela De Gennaro, ingrassatore di 28 anni, e Matteo Petruzzella di Vincenzo e Maddalena De Gennaro, fuochista di 25 anni. Erano imbarcati sul Capo Vado, piroscafo di 4391 t, che, colpito da alcune cannonate, all’1:48 fu avvolto da una vampata e poi devastato da un’esplosione, colando a picco verso le 3:30. Incursioni aeree nemiche furono effettuate su Durazzo il 12, il 13 e il 24 novembre. Per le ferite riportate, il 24 novembre 1940 spirò a 36 anni a Durazzo il 2° capo meccanico Francesco Paolo Avellis, nato a Napoli dal molfettese Vincenzo e da Letizia Lategola. Presa Koritza, il 28 novembre i greci sul Lago di Ocrida conquistarono Pogradec, la quale avrebbe dovuto essere uno dei baluardi del ricostituito fronte, ma questo fu penalizzato dal più grande caos logistico. Mentre la “Julia”, scarsa di viveri e munizioni e spesso ridotta a combattere con i soli antiquati fucili modello ’91, ripiegava sulla riva sinistra dell’Ambum-Osum e sul Chiarista Fratarit, tra il 1° e il 2 dicembre si ebbero scontri asperrimi tra gli opposti eserciti. Il 2 dicembre morì sulle alture presso Kamia il caporale ventiduenne Antonio Caputo di Savino e Angela Fracchiolla, in forza al 226° reggimento di fanteria “Arezzo”. Nativo di Cerignola, viveva a Molfetta con la moglie Antonia Lamorgese. Il 5 dicembre i greci conquistarono Permet, 38 km dentro i confini albanesi nella valle del fiume Vojussa. Klisura fu persa e riconquistata. Nella valle della Vojussa e a Quota 731 di Monastir, in Macedonia, si svolsero durissimi combattimenti. I greci, appoggiati dall’aviazione inglese, il 6 dicembre conquistarono Santi Quaranta e l’8 occuparono Argirocastro nell’Albania meridionale, minacciando di rigettare in mare gl’italiani. Il 29 dicembre il venticinquenne molfettese Giuseppe Altamura di Tommaso e Gaetana Mastropierro, del 5° reggimento bersaglieri, mandato all’assalto alla baionetta alla Quota 731 di Monastir, fu falciato da una raffica di mitragliatrice. Nello stesso giorno morì pure il trentunenne carbonaio molfettese Domenico Soriano di Onofrio e Isabella Ragno, in séguito al siluramento del transatlantico da passeggeri e carico Sardegna di 11.452 t da parte del sommergibile greco Proteus a 11 miglia a ponente di Sàseno, dopo le 10, mentre era in viaggio da Valona a Brindisi. Il 31 dicembre 1940 perirono il trentottenne fuochista molfettese Tommaso Belgiovine di Ettore e Giacoma Sallustio e il marinaio ventinovenne Biagio Magarelli, nato a Giovinazzo dai molfettesi Francesco e Marianna Leone. Erano imbarcati sul piroscafo Quinto di 531 t, carico di fusti di benzina. Mentre dal Montenegro si dirigeva in Albania, alle 7:50 il piccolo cargo fu silurato dal sottomarino greco Katsonis a 600 metri da Punta Volovica e affondato col cannone. Il 5 gennaio 1941, a 27 anni, spirò nell’Ospedale militare per mutilati San Leonardo di Bologna il caporal maggiore molfettese Ignazio Raguseo di Saverio e Marta Maria De Bari, dilaniato a una gamba e al petto da una granata sul fronte ellenico combattendo nel 48° reggimento di fanteria “Ferrara”. L’8 gennaio 1941 i greci incalzarono vigorosamente in Albania meridionale contro la zona di Klisura, che il giorno dopo fu evacuata dagli italiani e il 10 occupata dai nemici. Non riuscirono tuttavia a sfondare in direzione di Berat e la loro offensiva contro Valona fu arginata. Nei combattimenti di Klisura le divisioni “Lupi di Toscana”, “Julia”, “Pinerolo” e “Pusteria” subirono gravi perdite. Gli scontri in questo settore dureranno sino a fine mese. L’8 gennaio risultava disperso il ventiduenne Isidoro Pogna, nato a Edolo (Brescia) da Maria Pogna, del 31° reggimento di fanteria “Siena”. Lasciava a Molfetta la vedova Giuseppina Spadavecchia. Il 14 gennaio morì nell’8° reggimento di fanteria “Cuneo” il ventunenne molfettese Martire De Gennaro di Giacomo e Marta Maria Mele. Il 31 gennaio il bersagliere ventenne molfettese Tommaso Farinola di Nicola e Isabella De Pinto perì nel villaggio di Dragoti presso Tepeleni. Nei paraggi di questa città il 6 febbraio morì pure il fante ventiquattrenne Andrea Prospero, nato a Bari ma residente a Molfetta, mentre il 16 febbraio trovò la morte il molfettese trentaduenne Antonio Rotondella. Desideroso di respingere l’incombente aiuto tedesco, Mussolini con 12 divisioni per 3 corpi d’armata fece scattare all’alba del 9 marzo 1941, alla sua presenza, un’offensiva che avrebbe voluto vincente, ma che si ridusse a una serie di sterili spallate con insignificanti vantaggi territoriali, che costarono oltre 10.000 perdite. Il 10 marzo, a Quota 1050 del monte Trebeshines, fra Tepeleni e Klisura, morì in combattimento il ventunenne Vito Ribatti, nativo di Giovinazzo, ma dimorante a Molfetta. Hitler, furente per il diversivo che lo obbligava a rimandare l’aggressione alla Russia con conseguenze deleterie per l’Asse, dal 1° marzo aveva trasferito segretamente in Bulgaria la XII armata tedesca. Gl’inglesi, che già dal novembre 1940 si erano insediati a Creta, il 7 marzo avevano sbarcato circa 70.000 uomini al Pireo, a Lárissa e a Vólos, minacciando con la loro aviazione i pozzi petroliferi rumeni, vitali per la Wermacht, e incrementando il pericolo dell’apertura di un nuovo fronte nei Balcani da parte degli alleati. Ai 5 marò molfettesi morti con altri 2326 marinai italiani tra il 28 e il 29 marzo durante la tragica battaglia navale di Capo Matapán (v. “Quindici”, n. 3, 15 marzo 2012, p. 22) va probabilmente aggiunto il fuochista ventenne Cosimo Spagnoletti «scomparso nel Mediterraneo orientale» il 28 marzo 1941. Alle ore 00:40 del 15 aprile piombarono sul porto di Valona sei Swordfish dell’815° Squadron della Fleet Air Arm della Royal Navy, decollati alle 23:50 del giorno prima da Paramythia, nella Grecia settentrionale. Durante l’incursione durata fino alle 2 di notte, gli aerosiluranti inglesi affondarono con un siluro il piroscafo misto Stampalia di 1228 t. Un altro siluro colpì il piroscafo Luciano di 3329 t, pieno di munizioni, che per lo scoppio del carico andò subito a picco, provocando la morte di 24 membri dell’equipaggio. Tra di essi perirono due molfettesi, il fuochista ventottenne Martire Corrado Soriano di Domenico e di Eleonora Germinario, e il marinaio ventisettenne Corrado Spadavecchia di Ignazio e Giulia Salvemini. Tra il 6 e il 18 aprile le forze tedesche travolsero le truppe jugoslave e il 20 aprile costrinsero alla capitolazione l’esercito greco a Salonicco. Gl’italiani, oltre a occupare parte della Slovenia, la Dalmazia e il Montenegro, dal 13 aprile ripresero ad avanzare a sud-est grazie all’inevitabile ripiegamento ellenico. Coriza fu ripresa, Quota 731 di Monastir – ancora disseminata delle salme insepolte dei poveri fanti delle divisioni “Puglie” e “Bari” – fu riconquistata e Argirocastro fu superata. Il 22 aprile gl’italiani si congiunsero in Epiro ai tedeschi. Questi il 24 vinsero i reparti australiani e neozelandesi al passo delle Termopili, costringendo gl’inglesi appena venuti dal Nord Africa a reimbarcarsi frettolosamente, il 28 entrarono in Atene ed entro l’11 maggio occuparono il Peloponneso e le isole greche. Gli ellenici firmarono l’armistizio con gl’italiani solo il 23 aprile. Contro i 13.000 morti e i 42.000 feriti greci, la disastrosa guerra di Mussolini contro la Grecia era costata all’Italia 13.755 morti, 50.000 mila feriti, 25.000 dispersi e oltre 12.000 congelati, soprattutto durante il terribile inverno affrontato con divise di pessimo panno e scarponi con le suole di cartone pressato. Il 20 maggio 1941, alle 13, la torpediniera Curtatone, agli ordini del capitano di corvetta Serafino Tassara, lasciò il Pireo per sostituire la torpediniera Sirio, in avaria, nella scorta a un convoglio di caicchi che trasportavano reparti tedeschi a Maléme nell’isola di Creta, in via di occupazione da parte di truppe aviotrasportate germaniche. Alle 13:51, però, la Curtatone urtò una mina greca presso l’isola di Phleva, nel golfo di Atene, ed esplose. Solo 34 membri dell’equipaggio, molti dei quali feriti, poterono essere salvati, mentre perirono 94 uomini, compreso il comandante e il marò molfettese ventiquattrenne Corrado Carabellese di Lazzaro e Marta Maria Silvestri. Conclusa la campagna balcanica, l’Inghilterra fu esclusa dal continente, la minaccia britannica ai campi petroliferi romeni fu sventata e il fianco sud-orientale europeo venne assicurato. Hitler poteva ora attaccare la Russia, sia pure con un fatale ritardo di quasi cinque settimane. Non per questo vennero meno le perdite di italiani e molfettesi in Albania e Grecia. Infatti, nell’estate del 1941, venne catturato sul piroscafo Quadrifoglio il quattordicenne “giovanotto” di Molfetta Fedele Farinola fu Attanasio e di Fortuna Abadi, che perirà a 16 anni il 17 settembre 1943 nel campo di concentramento di Lapardha, in Albania. L’11 dicembre 1941, scortata dal cacciatorpediniere Freccia, era in navigazione tra Argostoli e Bengasi, la motonave da passeggeri Calitea di 4013 t, partita da Brindisi carica di merce varia e di 283 persone, in gran parte soldati italiani e tedeschi. L’equipaggio era composto da 69 civili e 30 militari, addetti alle armi di bordo. A 60 miglia a ponente di Navarino, verso le 16:25 la nave fu colpita da due siluri lanciati dal sommergibile inglese Talisman e dopo circa tre minuti affondò. Morirono 155 persone: 116 soldati, 6 militari di scorta e 33 marittimi civili, tra cui il mozzo quattordicenne molfettese Antonio Lunanuova di Cosmo Damiano e Lorenza Maria De Ceglie. Perì invece a Durazzo il 24 dicembre 1941, a causa di un albero spezzatosi sul piroscafo Tagliamento, il mozzo diciottenne molfettese Ignazio Amato di Giambattista e Maria Sasso. Lo stillicidio riprese nel 1943. Il 21 gennaio la motonave da passeggeri Città di Genova di 5413 t, trasformata in incrociatore ausiliario con la sigla D 4, in viaggio tra Patrasso e Bari, dove doveva sbarcare 200 militari italiani e 158 prigionieri ellenici, a 25 miglia a ovest dell’isolotto albanese di Sàseno, alle 13:20 fu centrata da due siluri del sottomarino britannico Tigris. La nave s’inabissò in pochi minuti, facendo 173 vittime. Si salvarono 317 persone, ma morirono due militari molfettesi: il furiere ventiduenne Domenico Sciancalepore di Onofrio e Maria Filippa Pansini e il soldato ventiquattrenne Marino Sciancalepore di Saverio e Innocenza Gigante. Dopo neanche tre mesi, il 9 aprile perì a Libohova, nella provincia albanese di Argirocastro, il soldato ventiduenne Gaetano Altomare di Nicola e Maria Corrada Sancilio, in forza alla 7a compagnia del 2° battaglione del 49° reggimento di fanteria “Parma”. Il 14 giugno ci fu l’ennesimo siluramento. Il piroscafo misto Rosandra di 8034 t, in navigazione da Valona verso Patrasso, a 8 miglia a ovest di Porto Palermo, alle 16:30 fu raggiunta a prua e a poppa da due siluri lanciati dal sommergibile inglese Tactician. Cominciò ad affondare a 150 metri dalla costa, vicino alla penisola albanese di Karaburun, a sud di Valona. Mentre il 15 giugno si cercava di rimorchiarla, la nave andò a picco nella Baia dell’Orso. Su 179 persone, 6 persero la vita, tra cui due molfettesi: il fuochista cinquantenne Domenico De Candia di Nicola e Lucrezia Bonadico, e il carbonaio trentunenne Michele De Musso di Cesare e Irene De Nichilo. L’8 maggio, in navigazione da Patrasso verso nord, il piroscafo da carico Peppino Palomba di 2034 t, fu silurato verso le 7 presso l’Isola di Santa Maura dal sottomarino britannico Safari. Nell’affondamento perirono due molfettesi: il marinaio quarantanovenne Pasquale Camporeale di Mauro e Giuseppa De Robertis e il garzone diciottenne Antonio Papagni di Leonardo e Maria Ciccolella. Altri tre concittadini morirono il 26 luglio sulla pirocisterna Alberto Fassio di 2289 t, in viaggio fra Valona e Patrasso, per l’urto contro una mina italiana fuori Prévesa, in Grecia. Erano il nostromo Andrea Carabellese di Luigi e i “giovanotti” Corrado Gadaleta di Giuseppe e Lucia Facchini, di 18 anni, e Raffaele Raguseo di Paolo. Il 13 agosto 1943 morì ad Almyros, presso Vólos in Grecia, il caporale ventitreenne molfettese Tommaso Tridente di Donato e Giulia Valente, del 14° reggimento di fanteria “Pinerolo”, durante un fallito attacco dei partigiani greci Antartes, che provocarono la dura rappresaglia del gen. Adolfo Infante, comandante della 24a divisione di fanteria “Pinerolo”, il quale fece distruggere il villaggio e giustiziare 33 civili, anche se in séguito si unirà ai partigiani dell’Elas contro i tedeschi. Con l’8 settembre 1943 inizia sui vari fronti la lunga lista dei dispersi, come il venticinquenne molfettese Giuseppe Angona di Nicolò ed Eleonora Sancilio, scomparso in Grecia tra le file del 5° battaglione mobilitato della Guardia di Finanza. Il 9 settembre morì ad Argostoli nell’isola di Cefalonia il nocchiere ventenne di Molfetta Vito Spagnoletti di Francesco e Chiara Salvemini. La sera del 10 settembre, mentre entrava nelle Bocche di Càttaro in Montenegro, la petroliera Ardor di 8960 t, fu attaccata da aerei tedeschi e gravemente danneggiata. Tra le vittime ci fu il quarantaquattrenne capitano di macchina molfettese Vincenzo Marzocca fu Giovanni e di Laura Maria Valente. La motocisterna venne affondata il 12 settembre con un nuovo attacco aereo germanico. Il 25 settembre, mentre trasportava in convoglio da Santi Quaranta centinaia di militari della 151a divisione di fanteria “Perugia”, il piroscafo da carico Dubac fu assalito nel Canale d’Otranto da 12 Stukas tedeschi e colpito da due o tre bombe, che massacrarono oltre 200 persone, tra cui due molfettesi: il soldato ventenne Domenico Azzollini di Nicola e Marta Maria Farinola, e il fante ventunenne Giuseppe Speranza di Vito e Rosa Breglia. Gli ultimi decessi di molfettesi in Grecia durante la seconda guerra mondiale risalgono al 1944. Il 13 aprile morì a 29 anni nell’Ospedale militare italiano di Atene, per tumore dell’ipofisi, il maresciallo militarizzato del C.R.E.M. Ignazio Cirillo di Giuseppe e Marta De Ceglie, marito di Margherita Minervini. Il 31 dicembre perì «in Campo Laura» il marò ventiduenne Antonio Sgherza di Francesco e Maria Arcangela Pappagallo. Come il precedente, fu sepolto in Grecia.

Autore: Marco I. de Santis
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