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Buon Natale a tutti i lettori di “Quindici” e ai molfettesi sparsi nel mondo con la speranza di una vera pace e l’augurio di speranza e rinascita
L’Evangelista Giovanni, la testa reclinata verso la mano di Dio, detta allo scrivano Procoro il suo Prologo. Vangelo greco e Praxapostolos XII secolo
25 dicembre 2024

  All’origine e all’inizio del mondo c’è la Parola. Nel libro della Genesi c’è scrit­to: Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. (Genesi 1,3). Tutte le opere create da Dio compreso l’essere umano sono sta­te fatte mediante la parola. Questa parola è creatrice. Il Dio di Gesù Cristo dice e fa o, ancora meglio, mentre dice, fa. L’evangelista Giovanni riprende questa verità teologica e antropologica nel suo Prologo: In princi­pio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Giovanni 1,1). In principio era la parola. La parola non solo era presso Dio, dunque vicino a Lui, ma era Dio. In Giovanni la parola acquista un significato più alto che nella Genesi. La parola è con Dio quando è stato creato il mondo. Non solo. La parola si identifica con Dio, il Dio dei cristiani. C’è una logica in questo: per essere una parola crea­trice deve essere per forza Dio, perché è Dio che ha creato il mondo. E l’ho ha fatto per mezzo della parola.

Ad un certo punto della storia la parola sceglie di diventare persona: E il Verbo si fece carne (Giovanni 1,14). La parola che ha creato il mondo, sceglie di incontrarlo anco­ra più da vicino; la parola che ha creato l’es­sere umano decide di essere lei stessa es­sere umano. Dio si fa uomo. È l’incarnazione. È il Natale. I cristiani e non solo loro, ricor­dano e celebrano ogni anno, il 25 dicembre, la nascita di Dio nell’umanità. Essi rivivono il farsi storia di Dio, la sua volontà di ritro­varsi con gli uomini sulla terra, quella terra creata che ora viene redenta, quell’umanità vivente che ora viene salvata. Il natale che si attende, il natale in cui si spera, il natale che si prova a vivere, il natale voluto e vis­suto, il natale del qui e ora, il natale gioito e goduto, il natale dei piccoli e dei grandi, dei poveri e dei ricchi, dei fortunati e degli sfor­tunati, il natale di chi vive nei castelli e degli homeless, delle musiche e dei pianti, il nata­le delle chiese e delle strade, il natale della brava gente e della gentaglia..., questo na­tale come tutti i natali, delle persone di ieri, di oggi e di domani, della terra di sempre, è il miracolo della Parola.

La verità di fede per cui la parola ha creato ogni essere vivente (la Creazione) e la verità di fede per cui la parola è diventata perso­na (l’Incarnazione), consegnano l’essenza del credere e dell’agire. La parola creatri­ce e redentrice causa e determina in modo inequivocabile il cammino dell’uomo, previa la sua volontà. Pertanto, se si vuole vivere il Natale nella sua verità, purificandolo dal­le falsità del passato e del presente, quelle del mondo profano e quelle della chiesa, è fondamentale e necessario tornare al prin­cipio e all’origine: Dio. Il natale è Dio. Il natale è Gesù Cristo, Dio che si fa uomo. Non altro, non altri. E questo è possibile se si torna a comprendere il fondamento e il valore del­la Parola di Dio, della Parola che è Dio. E a vivere il passaggio dalla Parola di Dio alla parola dell’uomo. Un passaggio che diventa incontro. Questo è il natale.

È difficile farlo. La parola dell’uomo non è quella di Dio. La parola umana stenta ad incontrare la verità. Difficilmente la espri­me, spesso la camuffa, sovente la sovrasta. È una parola ambigua, equivoca, che non dice quello che fa. Al contrario dice ma non fa. La parola degli uomini sta perdendo il suo significato. Una volta bastava la paro­la e tutto si faceva. Oggi neanche il fare dà ragione alla parola. C’è una sorta di maso­chismo verbale, letteralmente della parola, nell’identità della persona, nella sua rela­zione, nella presenza e nell’azione nel mon­do. Sembra che la parola non valga più; in tanti si ritiene che il parlare, come eserci­zio di parola, sia soltanto un flatus vocis, un parlare, un dire parole senza interesse, senza significato. È soltanto un suono che si disperde fino ad annullarsi.

Il natale viene anche quest’anno a ricorda­re l’essenza della Parola di Dio e l’esistenza della parola dell’uomo. Il natale viene a con­segnare all’umanità il Dio bambino, il Verbo che si è fatto carne. Il natale viene a dire che la parola è la persona e la persona è la pa­rola. Dunque, chi vuole vivere il Natale tocca che si riprenda la parola e ogni volta che la pronuncia, la parola quella vera, la parola quella giusta, la parola che dà vita, sappia che in qualche modo si avvicina a Dio. Può essere il punto di partenza del cambiamen­to. Può diventare il ritorno alla verità recu­perata. Può decretare la rinascita. Perché la parola può salvare il mondo.

Auguri.

Vincenzo Di Palo
teologo moralista

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