Quando il vostro presidente Antonio Spagnoletti mi ha invitato a parlare dei 40 anni del Panathlon a Molfetta, nel ricordo di Tonino Giancaspro, mi sono sentito lusingato perché, a differenza di mio padre Michele, che è stato ospite in tante occasioni (e mi ha fatto piacere vederlo ritratto in alcune foto del vostro opuscolo celebrativo), non avevo una grande frequentazione del vostro Club. E proprio dall’opuscolo celebrativo (una brochure ben curata e realizzata con criterio storico, con annotazione di date e avvenimenti), che il presidente mi ha fatto avere fresco di stampa, posso partire per leggere il vostro club, per conoscere la vostra storia dalle vostre attività, dalla vostra vita associativa, che costituiscono il patrimonio più importante di un Club, come di tutte le comunità che si riconoscono negli stessi principi e valori. Insomma, non posso parlare del Panathlon a chi questa realtà l’ha vissuta e la vive da 40 anni, ma da giornalista e comunicatore, posso cogliere il messaggio che scaturisce da questa pubblicazione e proporvi qualche riflessione. In questo sono agevolato dal fatto di essere rotariano e nel vostro opuscolo, quando si parla della fondazione e delle origini del Panathlon, si fa riferimento al Rotary degli sportivi. Il Panathlon che nasce in Italia 67 anni fa, negli anni Cinquanta della ricostruzione economica del Paese, aggiunge valore al Club e allo sport italiano, perché si fa promotore dell’idea dello sport più nobile sotto il profilo morale e sociale che unisce popoli e individui in un unico ideale simboleggiato dalla fiamma olimpica del vostro logo. In 4 decenni il vostro Club ha realizzato ben 500 eventi che dimostrano la vitalità, lo spirito di servizio al territorio e vi fa ambasciatori dello sport migliore, in un’epoca in cui ha perduto la sua verginità (doping, scommesse, ecc.). A questa crisi di valori, voi contrapponete la cultura dello sport, educando all’agonismo responsabile, all’inclusione sociale, all’amicizia e alla solidarietà. E tale spirito migliore lo si coglie da tante iniziative che puntano ad educare attraverso lo sport, per esaltare i valori della disciplina e della responsabilità, che diventano formazione dell’uomo. Non è un caso che avete istituito dei premi ne esaltano il valore morale, dal Giosuè Poli, al Fair play, fino al premio Tonino Gioia assegnato ai giornalisti e che anch’io ho ricevuto per il 2016 e testimonia l’attenzione che il Club pone alla comunicazione come veicolo di trasmissione proprio di quei valori in cui si riconosce. In un periodo in cui l’Associazionismo è in crisi, il Panathlon crede nella persona che mette al centro dell’attività sportiva e insegna a perdere senza umiliazione, a vincere senza arroganza, avendo rispetto per il valore delle regole, accettando i propri limiti, ma sfidando le debolezze per affermare se stessi e la propria umanità. Condivisione e incontro, inclusione e ospitalità, rispetto degli avversari e dell’arbitro sono il capitale sociale della vostra organizzazione, il fiore all’occhiello della vostra attività, soprattutto oggi che questi principi sembrano dimenticati. Il rifiuto della discriminazione di genere, di religione, lingua, provenienza territoriale, condizione economica e sociale, sono tra i valori migliori dello sport e della sua funzione formativa. E’ il bisogno di etica, di quell’ethos tramandatoci dall’antica Grecia, da Olimpia che ispira tutte le discipline sportive. Quell’ethos è in grado di umanizzare e dare senso al nostro agire nella professione, nella vita familiare e in quella pubblica, nel rispetto dell’ambiente e in tutti gli ambiti in cui si dispiegano la persona e la convivenza per una vita spesa bene. Nella visione olistica del mondo, in questa globalizzazione che sopprime l’individuo per asservirlo al profitto, è importante l’associazionismo come esempio che vede di nuovo la responsabilità sociale dell’individuo e propone un modello di sviluppo attento alle esigenze della solidarietà e del rispetto della dignità umana. Lo sport è tutto questo e voi siete qui a ricordarne i valori, a non farli travolgere dall’utilitarismo fine a se stesso e a riscoprire il senso della società, il motivo dello stare insieme, il senso del Noi, perché l’uomo non è un’invenzione della storia, ma il prodotto di una crescita collettiva, della consapevolezza di appartenere ad una realtà fatta di solidarietà e condivisione di valori e azioni. Quando il sociologo Bauman, recentemente scomparso, analizza quella che ha definito la “società liquida”, fa riferimento alla crisi dei legami sociali, costituita dalla frantumazione delle reti sociali, alla disgregazione di efficienti organismi di azione collettiva, ritenendo che venga spesso osservata con notevole preoccupazione e considerata l’imprevisto “effetto collaterale” della nuova leggerezza e fluidità di un sistema sempre più mobile, sdrucciolevole, mutevole, evasivo. Tutta questa riflessione per dire che il futuro di un Club come il Panathlon è tutto racchiuso nella parola “coinvolgimento” di tutti, soprattutto dei giovani, disorientati di fronte alla fragilità della famiglia, al disordine del mondo e al bisogno inconscio di un nuovo umanesimo di fronte alle nuove povertà e anche alla povertà percepita, che caratterizza il nostro tempo. Ecco perché le associazioni come il Panathlon, il Rotary e tanti altri Club di service sono impegnati in una serie di attività culturali e sociali per protrarre nel tempo i valori che le ispirano, per richiamare al più ampio concetto di appartenenza e quindi al concetto del “noi” al quale facevo riferimento prima. C’è un bel libro della filosofa britannica Margaret Gilbert “Il noi collettivo”, pubblicato tre anni fa, che espone un concetto che mi piace partecipare: lei è convinta che il “noi” sia qualcosa di diverso dalla somma degli individui e si generi compiutamente quando i soggetti realizzano un impegno congiunto. Ossia l’assunzione da parte di due o più persone di un vincolo nei riguardi di un valore, di uno scopo o di una regola, per mezzo di quelle due o più persone. Un vincolo che naturalmente detterà loro regole o comportamenti conseguenti. Il Noi, quindi l’associazione, il Club, è allora un nuovo soggetto plurale, che non coincide con gli io individuali. Ecco il “noi collettivo”. Il concetto l’ho trovato anche nel bel recente libro “Il crollo del noi” pubblicato da Laterza e scritto da mons. Vincenzo Paglia, presidente della pontificia accademia per la vita, un arcivescovo molto ascoltato da Papa Francesco. Paglia sostiene che viviamo il tempo dell’Egocrazia, generatore di vuoto, alimentatore di drammi umani, perché l’uomo non è fatto per essere solo. L’uomo deve smettere di chiedersi “chi sono io” per approdare al più sano “per chi sono io”. L’individualismo sgretola le anime, ma la società riparte dal “noi”. Ecco stiamo costruendo il mondo globale, ma il rischio è che manchi l’anima. Dobbiamo ribellarci alla dittatura di Narciso e, in questo, lo sport gioca un ruolo insostituibile, deve avere un ruolo fondamentale e ripartire da una metanoia, da un cambiamento radicale delle coscienze. Lo sport, infatti, si affermò nel mondo come mezzo di elevazione morale, poiché attraverso lo sforzo fisico teso al superamento dell’avversario, sviluppa qualità interiori come la volontà, il coraggio, l’abnegazione, lo spirito di sacrificio e la perseveranza. Oggi il processo di globalizzazione, se da un lato ha permesso di superare gli angusti limiti del nazionalismo, dall’altro ha esasperato l’agonismo sportivo, spesso impoverendolo dal punto di vista etico. La logica del business, l’ingerenza degli sponsor, hanno portato molti atleti ambiziosi di fama e di denaro, a pratiche illecite quali il doping. Oggi manca allo sport un progetto educativo rivolto particolarmente a ragazzi e giovani, che sottragga l’attività sportiva all’ambito del puro esercizio fisico e la restituisca all’educazione, cui essa deve appartenere. “L’educazione - insegna il filosofo Immanuel Kant - è il più grande e più difficile problema che possa essere proposto all’uomo”. E qui il Panathlon attraverso le iniziative con le scuole, ha svolto in questi 40 anni, e svolge ancora, un ruolo fondamentale di educazione, per trasmettere il concetto che lo sport non è solo palestra di talento atletico, ma crescita autentica e completa di valori ed esercizio di virtù. Lo sport oggi resta una delle poche strade da percorrere per diffondere i valori che gli sono intimamente connessi e perciò lo rendono credibile e prezioso per la formazione della persona. Lealtà, rispetto di sé e dell’altro, spirito di squadra, temperanza, capacità di affrontare sacrifici, prove e sconfitte, senso della legalità, scoperta di sé, delle proprie potenzialità e dei propri limiti, sincerità, capacità di mettersi in gioco, di decidere in emergenza, formazione della coscienza e potremmo continuare. Sono tutti valori intrinsecamente morali che l’ambiente sportivo coltiva e trasmette dal proprio interno. Si tratta di un patrimonio antropologico ed etico da far emergere e potenziare per una società migliore. L’Associazionismo è, perciò, un valore sul quale puntare, come ha insegnato il nostro Tonino Giancaspro, che preferiva essere ricordato più per il suo percorso di panathleta che per quello professionale, pur egregio, perché in una società dove si crede che i soldi facciano la felicità, dove le relazioni affettive sono soppresse dai social network e dalla frenesia del lavoro, ciò che non produce ricchezza è abbandonato, ciò che è diverso, è allontanato. Ognuno di noi è ormai globalizzato, vestiamo allo stesso modo, siamo connessi su Facebook, Twitter o Instagram, siamo, insomma, appiattiti. Ecco perché il valore dell’associazionismo va riscoperto, occorre resistere a questa crisi di sistema, proprio in questi tempi difficili, perché l’associazionismo genera una comunità migliore e può essere un antidoto alla desertificazione sociale, culturale e democratica del nostro tempo. Non dimentichiamo l’insegnamento di Aristotele: “L’uomo non è fatto solo per vivere, ma per vivere bene”. Buon compleanno Panathlon. Felice de Sanctis
Autore: Felice de Sanctis