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Basso Adriatico, l'ombra nera del petrolio sulle coste pugliesi e molfettesi: la denuncia delle associazioni Prime ispezioni geosismiche della Northern Petroleum. In attesa la Petroceltic Else ela Spectrum Geo. Ingenti i danni a flora e fauna marine, ripercussioni sull'ambiente e sul turismo. Quali effetti avranno le attività di trivellazione su residuati bellici e relitti affondati?
17 ottobre 2011

MOLFETTA - Sono tre le società straniere che hanno presentato al Ministero dell'Ambiente ed al Ministero dello Sviluppo Economico le istanze di permesso per la ricerca di petrolio in mare: la Petroceltic Else per la zona marina delle Isole Tremiti; la Northern Petroleum per il tratto di mare antistante le coste da Bari fino a Leuca; la Spectrum Geo per tutta la costa pugliese (che interessa le Province di Foggia, della BAT, di Bari, di Brindisi e di Lecce). Lo rend noto la
Mentre il 5 agosto la Spectrum Geo sottoponeva al Ministero dello Sviluppo Economico due istanze di permesso di prospezioni geofisiche su tutto il Mare Adriatico meridionale (per una lunghezza di 3.898km e una superficie di quasi 16mila k2), la società inglese Northern Petroleum aveva annunciato già il 28 luglio due concessioni per ispezioni geosismiche nel basso Adriatico alla ricerca idrocarburi (presentate istanze per 7 permessi di ricerca).
L’esplorazione dell'Adriatico meridionale è una priorità per la Northern Petroleum (nella mappa a fianco i siti delle ispezioni geosismiche), che intende procedere con l'air-gun (cannoni pneumatici che sparano onde acustiche sui fondali per valutare la risposta sismica) per identificare i siti da trivellare all'inizio del 2012, con lo scopo di acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d'ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti (si legge sul sito www.northpet.com).
La stessa società ha spostato l'area del rilevamento e ispezioni geosismiche a una distanza dalla costa di circa 15,4 miglia (più di 24km), in modo gli enti locale non possano essere coinvolti nel procedimento, come previsto dal D.Lgs 128/2010 (procedura di Verifica di Impatto Ambientale entro le 12 miglia dall'area delle attività).

I danni dell’air-gun. Secondo le associazioni di volontariato Folgore e Demetra di Trani, l’air-gun potrebbe influenzare il comportamento e l'attività vitale della flora e della fauna, in particolare, incidere sui grandi cetacei, le cui rotte attraversano il basso Adriatico. Ad esempio, 7 capodogli maschi sono morti sulla costa adriatica della Puglia nel dicembre 2009: tra le cause di morte non è stata esclusa la «gas and fat embolic syndrome», causata dall'esposizione diretta ad air-gun.
Secondo la Northern Petroleum l'inquinamento acustico può (dal documento preliminare ambientale presentato alla Regione Puglia):
· danneggiare fisicamente l'apparato uditivo o altri organi;
· causare riduzione o perdita temporanea dell'udito;
· coprire le vocalizzazioni e i rumori ambientali, obbligando a una variazione dei livelli degli impulsi di ecolocalizzazione e delle loro frequenze;
· ridurre o azzerare le vocalizzazioni e ostacolare la comunicazione tra gli individui;
· ridurre la quantità di habitat idoneo disponibile per la specie, soprattutto quando questo e concentrato in un'area limitata;
· determinare alterazioni comportamentali, quali allontanamento dall'area per periodi di tempo variabili e cessazione del riposo, dell'alimentazione, delle attività di socializzazione tra con specifici.
Inoltre, si legge ancora nel documento citato, la percezione del suono dell'air-gun da parte degli organismi dipende da diversi fattori, tra cui profondità e posizione degli stessi nella colonna d'acqua. I cetacei, come molti organismi marini, possono trovarsi in una varietà di posizioni rispetto alla sorgente energizzante quando attiva: perciò, la sua percezione e gli effetti causati sono complicati e variabili. Per le specie che non vivono in ambiente controllato risulta non semplice valutare eventuali danni fisiologici causati direttamente dall'esposizione a questa tipologia di disturbi

L’inquinamento bellico. Esplorazione e future trivellazioni dovranno anche confrontarsi con la presenza di oltre 20mila ordigni bellici sparsi in modo anche disordinato sul fondale del basso Adriatico, utilizzato fino agli anni '70 per lo smaltimento di bombe provenienti dalla bonifica dei porti pugliesi e da depositi e stabilimenti di produzione, assemblaggio e confezionamento.
Sono 4 i reletti depositati sui fondali basso-adriatici: la nave Eden V, arenatasi a Lesina (Foggia) nel 1988, su cui sembrano aleggino inquietanti traffici illeciti (anche RaiNews24  ha dedicato una puntata); la nave Alessandro I, affondata nel 1991 al largo di Molfetta (Bari), che trasportava 3.550ton di sostanze tossiche (dicloroetano e acrilonitrile) prodotte dall'Enichem di Gela; il cargo turco Gulten Islamoglu, affondato nelle acque di Monopoli (Bari) nel luglio 1994 (pare che trasportasse ferro); infine, la nave Lira, affondata il 25 settembre 1997 a 500m dal porto di Gallipoli (Lecce), dal carico era sconosciuto.
Sconosciuta la correlazione e gli effetti che le onde sismiche prodotte dalle ispezioni con air-gun potrebbero scatenare su residuati bellici, bombe chimiche carico dei relitti affondati nel mare Adriatico.
Nei progetti presentati dalle 3 società non sono stati valutati gli effetti sinergici e cumulativi riferiti all'uso di air-gun, denunciano le due associazioni di Trani, né è stata (o sarà) condotta un'indagine preventiva dell'area di prospezione, che potrebbe essere interessata da affondamenti di navi contenenti rifiuti pericolosi e radioisotopi.

L’inquinamento “petrolifero”. Secondo uno studio sugli aspetti scientifici dell'inquinamento marino condotto dal gruppo Gesamp (Groups of Expert on the Scientifics Aspects of Marine Environmental Protection, consorzio di esperti creato e gestito in collaborazione con l'Unesco, la Fao, le Nazioni Unite e l'Organizzazione Mondiale della Sanità), un tipico pozzo esplorativo scarica fra le 30 e le 120 ton di sostanze tossiche durante l'arco della sua breve vita, intenzionalmente o accidentalmente.
Vari studi hanno dimostrato che le perdite delle piattaforme petrolifere possono avere effetti dannosi sulla sopravivenza di alcune specie animali, mentre i sedimenti delle piattaforme possono subentrare nella catena alimentare anche per un raggio di 10km dal punto di emissione. Inoltre, la collocazione permanente di strutture metalliche e cementificate e tubature nel mare possono alterare gli habitat e gli equilibri marini. 
Le piattaforme saranno installate a un limite di 5 miglia dalla costa (8km), nonostante l’Adriatico sia un mare basso, chiuso e di lento ricambio (negli stati Uniti il limite è di 160 km).
 
Ripercussioni sul turismo. L’economia turistica pugliese è tra le poche in Italia a contare sulla connotazione e sulla ricchezza dell'identità del territorio come fattori propulsivi di crescita nel lungo periodo.
Secondo le associazioni Folgore e Demetra, ai progetti di queste società “affariste” manca una visione globale di quello che la costa pugliese intende essere per i suoi abitanti, per il suo turismo, per le aspirazioni del suo popolo, dietro cui ci sono anni di investimenti dei cittadini, leggi regionali per la difesa dell'ambiente e istituzioni di riserve, parchi e aree protette, in terra e in mare. Perché le Società petrolifere straniere cercano il petrolio nel mare Adriatico?
«Come dichiarato candidamente dalle stesse compagnie petrolifere, in Italia è facile fare questo tipo di business, rispetto ad altre nazioni, perché i controlli sono pochi, ci sono pochi vincoli da rispettare, "sono a basso rischio politico" ed i guadagni sono molti elevati poiché  ci sono pochi soldi da pagare alle comunità - afferma Maria Rita D'Orsogna, fisico italo-americano, docente all'Università californiana http://www.youtube.com/watch?v=nSXxkobJyjs&feature=fvsr - difatti, considerando la questione economica, le bassissime percentuali di guadagno che vengono date alle popolazioni locali in cambio dell'appropriazione delle risorse dal proprio sottosuolo marino favoriscono il proliferare delle richieste di ispezioni e trivellazioni petrolifere nel mare italiano, e nello specifico nel mare della Puglia. Mentre in Libia la percentuale di guadagno da versare alle comunità locali è del 90%, in Norvegia è del 80% e in Canada è del 60%, in Italia è del 4% per le estrazioni in mare. Addirittura se una compagnia petrolifera estrae petrolio al di sotto di un certo quantitativo di volume, non è tenuta a pagare assolutamente niente».
Il presidente della Provincia di Foggia, Antonio Pepe (Pdl), ha deciso di appoggiare la scelta della Regione Puglia di costituirsi in giudizio, impugnando il decreto ministeriale che autorizza l'esecuzione delle ispezioni geosismiche da parte della società Petroceltic Else.
«Siamo di fronte ad una frenetica corsa all'oro, come del resto testimoniano le numerosissime richieste pervenute in Regione», il commento dell'Assessore regionale all'Ambiente Lorenzo Nicastro (Idv), mentre il Consiglio regionale ha varato la proposta di legge rivolta alle Camere dei Deputati e del Senato, che ha come oggetto «Divieto di prospezione, ricerca e  coltivazione di idrocarburi liquidi  nelle acque del mare Adriatico, applicato anche ai procedimenti autorizzatori avviati e non conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge» (pubblicata nel B.U.R.P. n.126 del 11 agosto 2011). Due le interrogazioni parlamentari, il 7 e il 21 settembre 2011 ad opera rispettivamente della deputata Teresa Bellanova (Pd) e dalla senatrice Adriana Poli Bortone (IoSud).
In considerazione di tutto ciò, gli Enti provinciali e comunali, i rappresentanti del mondo politico ed i cittadini pugliesi, pescatori, commercianti, operatori turistici, sindaci ed assessori all'ambiente, unitamente ai rappresentanti del mondo accademico ed ecclesiale, dovrebbero manifestare la propria contrarietà e presa di posizione alla presenza di infrastrutture petrolifere nei propri litorali, secondo le associazioni Folgore e Demetra, richiedendo l'annullamento dei permessi di ricerca già rilasciati ed il diniego a rilasciarne altri.
Necessaria una mobilitazione popolare o una petizione nei Comuni interessati per impedire che i lavori d’ispezioni geosismiche e la successiva costruzione delle piattaforme petrolifere colpiscano la fauna marina, l'ambiente e il turismo dell'intero territorio costiero pugliese. Anche in relazione alle possibili conseguenze disastrose che potrebbero comportare le trivellazioni di petrolio, le piattaforme petrolifere e il traffico di navi petroliere a soli 15,4 miglia dalla costa, in considerazione dei ripetuti incidenti alle petroliere (come quello in corso in Nuova Zelanda).
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