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Bari, il San Nicola e la bolgia del tornelli Un sabato qualunque allo stadio: calca, spintoni e la farsa finale degli steward
21 marzo 2009

BARI - Ben prima del rigore pronti-via, che dopo venti secondi inizia a stendere l'Avellino, del delirio finale al 3-0 di Caputo, prima ancora delle note di Braveheart-Cuore Impavido e di Rocky, che accompagnano il riscaldamento del Bari sempre più capolista in un S. Nicola già caldissimo, per un tifoso ingenuo che voglia sostenere la propria squadra nella corsa alla serie A nella propria curva, la Nord, la vera impresa è entrarci, al San Nicola. Risale ormai a due anni orsono il decreto che imponeva agli stadi di tutta Italia, nei campionati professionistici, la dotazione dei tornelli automatici. Ne spieghiamo brevemente il funzionamento: il biglietto, titolo d'ingresso altrimenti detto, anche se questa definizione fa sorridere pensando a ciò che ci accingiamo a dire, riporta su un lato qualcosa di simile ad un codice a barre. Va inserito nel tornello, che immediatamente in base al codice identifica il nome del possessore del tagliando, e gli accorda l'ingresso allo stadio. Lo accorda a lui. Questo, nelle rosee previsioni del Viminale, dovrebbe garantire di sapere il nominativo di chi è allo stadio, e in quale posizione. In barba alle leggi sulla privacy: il tifoso ingenuo pensa che sia un buon compromesso, per garantire che i figli di un poliziotto che passa la domenica in servizio allo stadio possano veder tornare il padre a casa, dopo i fatti di Catania. Ora, tralasciando che al San Nicola, come convenzione risalente grossomodo al medioevo, nessuno si siede al posto che è segnato sul proprio biglietto, e chi azzarda l'ipotesi si sente dire “E ce stè, a San Zir”?, locuzione ricercata che tende a farti notare come, evidentemente, il San Nicola sia diverso da San Siro (ed effettivamente è così: a San Siro ci siamo stati, questo autunno, e ci siamo seduti esattamente dove un biglietto acquistato in banca, a circa mille km di distanza, previa ostentazione del proprio documento di identità, ci ha sbattuto, fosse anche il quindicesimo anello). Tralasciando anche che l'ingenuo tifoso continui a vedere una fila di accesso ai tornelli, e intimamente creda che c'è una fila, e dunque bisogna farla, e lo pensino tutti, non può essere altrimenti. Accade invece che tutti la pensino altrimenti, che si infilino sotto la transenna poco prima del tornello, ripetutamente, e che pertanto la fila non proceda. Accade che l'ingenuo tifoso ci metta un'ora e mezza, in occasione di Bari-Frosinone di qualche settimana fa (successivamente, per scoramento totale, ha smesso di cronometrare), solo per accedere ai tornelli, tra strattoni, gomitate, improperi di chi aspetta, urla nelle orecchie di chi chiede, da dentro, di passare biglietti o abbonamenti ad amici che ne sono sprovvisti, fuori. Una calca da girone dantesco, con tanto di bambini che vien da chiedersi in base a quale legge fisica riescano a respirare. Dopo di che, al sospirato ingresso nello stadio, l'ingenuo tifoso si becca anche lo scherno di chi, della sua compagnia, ha preferito la locale pratica del “salto della ringhiera”, apostrofato come fesso, ma sentendosi, molto semplicemente, normale e civile. Solo, chiedendosi dove sia la grinza, visto l'andazzo, nel comportamento di chi della sua compagnia è seduto da circa un'ora e lo deride. Ma, dicevamo, tralasciamo anche questo. La vera goccia che fa traboccare il vaso è un altra: è l'ignobile siparietto a cui si assiste subito dopo i tornelli. Perché, dopo tutta la bolgia, il caos, le spinte, arrivi finalmente al tornello e assisti a scene pietose, che rivelano come, per tanti steward che onestamente fanno il proprio mestiere, ve e siano altrettanti che hanno amici, cugini, compagni di merende, e decidano che il loro ruolo è quello di far favori a questo e a quello. Accade che, ogni due, tre biglietti inseriti, vi sia un tipo, rigorosamente dopo aver scavalcato le sbarre, che pretenda, nel momento in cui hai autenticato il biglietto, di entrare assieme a te, visto che nel vano di accesso, al momento il cui la sbarra dà via libera, in due, stretti ci stanno. Accade ogni due, tre biglietti inseriti, che con un tagliando si entri in due. Vanno da sé i calcoli. La considerazione che verrebbe da fare è che gli steward, poco distanti in pettorina fosforescente, vedano, “pizzichino” il portoghese, e lo sbattano fuori. In alcuni casi accade, in altri si assiste a pura commedia dell'arte: i due, il portoghese e lo steward si conoscono, bisogna giustificare l'accesso dell'amico (soprattutto ai poliziotti che sono al di qua della recinzione dello stadio, nonché alla folla che giustamente protesta), e allora via alla finta colluttazione, strattoni, placcaggi simulati che farebbero impallidire i professionisti del wrestling americano. Alla fine della manfrina, il tizio si divincola dopo tale, mostruosa, lotta per la sopravvivenza, lo steward rimane lì con l'espressione in volto di chi vorrebbe far credere “accidenti, mi è sfuggito…ce l'ho messa tutta”, il portoghese scappa a due all'ora, con una risata sorniona, ci manca poco che dica allo steward “Ci sentiamo dopo, uagliò”, e premio Oscar in arrivo. E dunque, chi si è fatto un'ora e mezza di fila, sotto un sole bugiardo per esser marzo, può anche tollerare con disgusto il malcostume che è parte di questa terra, che non si può rinnegare, ma si deve cercare di cambiare a partire da queste cose. Ma ciò che non si può tollerare, lo diciamo apertamente, è la connivenza di chi dovrebbe stare dall'altra parte della barricata, dovrebbe garantire l'ordine, e invece di quel malcostume è parte integrante, fulcro. Insomma, un sabato qualunque per dire che, al San Nicola di Bari, con la speranza che le luci, la maggiore esposizione mediatica della serie A riescano a porre sotto controllo il fenomeno (è superfluo ricordare che tra due settimane a Bari arriva la Nazionale Italiana, per cui, popolo del S. Nicola, cerca di volerti bene e di evitare figuracce di frotne al paese), per il momento qui la voce “20.000 paganti” non ha molto valore semantico. Probabilmente il campo dirà che Vincenzo Matarrese, presidente di questo Bari, potrà tornare a dire “Siamo di serie A, Gaucci”. Ma qui, al di qua della ringhiera, dove l'erba del campo ancora non si vede, per essere di serie A c'è ancora molto da lavorare.
Autore: Vincenzo Azzollini
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