Auguri alla nuova Molfetta
Termina una stagione buia per Molfetta. Una stagione lunga, che ha segnato Molfetta fin nelle fondamenta, l’ha deturpata, ne ha dilatato gli aspetti peggiori, fino a farla precipitare in un imbuto da cui sembrava difficile uscire. La Molfetta azzolliniana è stata segnata dal consumo privatistico del territorio, divenuto merce di scambio da spartire indebitamente, contro ogni vincolo naturalistico, senza gettare sguardi al futuro. La cultura azzolliniana è stata una cultura dell’estetizzazione, che ha catalizzato l’attenzione su grossi eventi a pagamento eliminando i luoghi del confronto e di maturazione dello spirito comunitario. Il bilancio sull’associazionismo e sulla cultura diffusa, in cui l’idea stessa di città viene approfondita e messa in questione, è nefasto. La città si è svuotata di relazioni, il tessuto sociale si è lacerato, risucchiato piano in una dimensione isolata, in cui le uniche possibilità di realizzazione erano quelle del consumo. Quelle offerte nell’altra città, quella commerciale, fuori dai luoghi che fanno la stoffa della nostra identità, in cui non ci sono problemi, non è in gioco la nostra stessa esistenza. Ma è stata anche la città delle ombre sul grande porto, che come un santone ha assorbito tutto il disagio, presentato sempre come il fondamento del futuro di questa città. Eppure anche lì i risvolti delle politiche affaristiche fanno paura. Ma da quella paura sembra aver tratto energia la nuova Molfetta, quella che ha creduto nel cambiamento, e che non ha temuto di scommettere nella decostruzione di un sistema pur così solido e ammorbante. Invero, siamo stati i primi, più di un anno fa, a cogliere la fine del modello Azzollini e l’esplosione di un’esigenza di partecipazione che cominciava a sgretolare la pianificazione totale della città. Sappiamo che il progetto politico del centro-sinistra, negli ultimi due anni, non è stato affatto lineare. Al fallimento iniziale di costruzione di un’alternativa programmatica è corrisposto un ritrovato entusiasmo attorno ad una persona carismatica e genuina, la giovane Paola Natalicchio. La campagna elettorale di Ninnì Camporeale si è svolta all’insegna di una un’inedita privatizzazione della consenso, al di fuori della dimensione pubblica della piazza e del confronto. Il centro destra ha cercato evidentemente di interfacciarsi al singolo elettore, evitando di scommettere in un progetto di rinnovazione, e limitandosi a rinsaldare il consenso costruito dalla macchina azzolliniana. Tale sistema ha retto benissimo al primo turno, sfiorando la vittoria. Ma al secondo turno qualcosa è cambiato, la piazza ha prevalso generalizzando la voglia di cambiamento, fino a mettere il questione la sicurezza di una soluzione di continuità. Il consenso si è spostato dal rapporto fiduciario ai contenuti. Adesso la sfida è cominciata. Il centro-sinistra è di fronte alla possibilità di ripartire dalla città intendendola davvero come bene comune, immergendosi nell’immanenza dei rapporti sociali e dei bisogni degli individui in carne e ossa, per riconoscere a quei bisogni altrettanti diritti. E la città può divenire il luogo fondamentale di tale riconoscimento, sottraendo al mercato i beni espropriati in questi anni, rendendoli appunto beni comuni. Il centro-sinistra può fare della città il luogo di tale riappropriazione, rianimando gli spazi di possibilità di relazione, di cultura, di socialità. E’ la possibilità che tutti attendono da un decennio, è la necessità di concederci una nuova opportunità. Auguri Molfetta.
Autore: Giacomo Pisani