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Assemblea congressuale dei residui Pd a Molfetta: come da copione. Vincono Emiliano e il ciambotto di centrodestra
03 aprile 2017

MOLFETTA – Come da copione l’assemblea congressuale di quello che resta del Pd di Molfetta: assente l’ala sinistra renziana, presenti i quattro gatti della mozione Emiliano (come dalle foto diffuse in rete), il commissario De Nicolò (quello con l’accento) e l’ex segretario De Nicolo quello senza accento e una parte dei Giovani Democratici divisi anch’essi fra quelli che vogliono andare col centrodestra e quelli fedeli al centrosinistra (assenti all’assemblea, dopo il dichiarato Aventino).

In questo clima a senso unico e di mancato confronto e dibattito, era scontata la vittoria di Emiliano che ha ottenuto 267 voti  (77,17%) e 12 delegati; dietro di lui la mozione Renzi con 76 voti (21,96%) e 3 delegati, mentre Andrea Orlando con soli 2 voti (0,05%) non ha ricevuto nessun delegato. E c’è stata anche una scheda bianca.

A votare sono state 346 iscritti su 436, truppe cammellate che si sono recate al seggio, raggiungendo così l'80% circa degli aventi diritto al voto. E la solita “gola profonda”, come ormai viene definita a Molfetta, ha suggerito ai giornali amici di una vittoria strepitosa di Emiliano con il 60% una delle più alte in Puglia, dimenticando che non è con le percentuali che si calcola il successo, ma con i voti. Che dire allora di Poggiorsini, Comune di meno di 1.500 abitanti dove hanno votato 27 dei 30 tesserati ed Emiliano ha raggiunto il 63% dei voti? Bisogna saper e soprattutto voler leggere i risultati, se non si vuole cadere nella trappola dei suggeritori occulti e fornire un’informazione alterata a chi legge.

Le mozioni sono state presentate da Erika Cormio per Emiliano, Matteo Petruzzella dei Giovani Democratici per Renzi e Pierpaolo Treglia per Orlando.

Un congresso che è servito a legittimare quello che è sempre stato il desiderio dell’ex segretario Piero de Nicolo di andare con le liste civiche di centrodestra (in cambio di poltrone, come ha scritto l’ex vicesegretario Pietro Capurso) e il trasformista Tommaso Minervini (ex vendoliano di Sel) candidato sindaco del ciambotto, che ha preferito cambiare ancora una volta giacca, andando con gli ex colonnelli di Antonio Azzollini che almeno formalmente aveva combattuto, pur di ottenere la candidatura a sindaco. Insomma, quando si dice la coerenza in politica.

E l’altro campione di coerenza è stato quel che rimane del Pd, ormai minoranza nel centrosinistra e desideroso di gettarsi nel ciambotto a caccia di poltrone. Ma non era lo stesso Emiliano che aveva dichiarato: mai con le destre? Ma Molfetta, evidentemente, per lui rappresenta l’eccezione che conferma la regola. Certo per alcuni personaggi di questo residuo di Partito Democratico sarà imbarazzante spiegare alla città il passaggio da sinistra, con una lunga militanza e tradizione anche familiare, a destra, anzi la peggiore destra trasformista solo per motivi di potere, come hanno detto altri esponenti dello stesso Pd. Che dire poi del gruppo dimezzato dei Giovani Democratici, che ha votato all’unanimità il documento finale pro ciambotto? La coerenza paga in politica? Lo vedremo alle elezioni. Importante è oggi per il Pd e questi personaggi saltare sul carro del probabile vincitore, almeno a giudicare dal numero delle liste.

E a nulla serve la pietosa maschera del Pd di invitare anche alcune forze dell’ex coalizione di centrosinistra, come Bepi Maralfa di Linea Diritta e Leonardo Siragusa del Centro Democratico ad entrare nel ciambotto, considerata dallo stesso Saverio Tammacco una salvifica barca simile alla biblica arca di Noè.

E al congresso dimezzato del Pd dei quattro gatti non potevano mancare gli attacchi all’ultimo segretario Antonio Di Gioia, pur eletto all’unanimità, e forse inconsapevolmente usato come vittima sacrificale da immolare sull’altare del Tammavini e accusato, nientemeno, di aver osato proporre la candidatura di un Pd come sindaco della coalizione di centrosinistra. Altre critiche sono state rivolte ai fuorusciti accusati di aver tentato accordi con le storiche opposizioni, prima di partecipare alle primarie del centrosinistra. Della serie: il bue dice all’asino cornuto.

A questo punto, dopo Pietro Capurso, anche Nicola Piergiovanni ha rinunciato alla candidatura a sindaco, mentre non si hanno notizie di Lagrasta, candidatura di bandiera di De Nicolo (senza accento).

E i quattro amici al bar hanno chiuso il congresso con il documento unitario che prevede di sedersi “in tempi rapidi e serrati” (dovessero esaurirsi le poltrone, già ampiamente insufficienti per tutta l’armata brancaleone) al tavolo del ciambotto “per verificare la possibilità di una comune convergenza”. Del resto questo residuo di Pd nella sua scarsa democrazia, nella sua incapacità di dialogo e confronto, è più affine al ciambotto di destracentro  e ai suoi personaggi, da Tammacco a Minervini, da Camporeale a Caputo, che ad un centrosinistra capace di mettersi in gioco e confrontarsi senza timore di critiche, mostrando le sue debolezze e le sue storiche divisioni.

Un Pd perdente, alla ricerca della perduta verginità, ampiamente diviso e minoritario, ridotto male e a cui non resta altro che cercare di rimediare qualcosa dal Tammavini. Anche se sarà difficile spiegarlo agli elettori.

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