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Amministrative a Molfetta, cresce il clima di intolleranza. Scontro sui social fra Pd di Molfetta e ex sindaco Paola Natalicchio. Code di paglia di un partito per giustificare la scelta di tuffarsi nel rancido ciambotto di destra?
09 giugno 2017

MOLFETTA – La campagna elettorale per le elezioni amministrative a Molfetta sta volgendo al termine e sarà ricordata come una delle peggiori degli ultimi anni, per odio, intolleranza, aggressioni verbali e quant’altro. In attesa del voto ricordiamo alcune vicende che l’hanno caratterizzata, alcune ridicole, altre paradossali, altre ancora imbecilli, fino al punto da divenire boomerang per gli stessi candidati sindaci e consiglieri (che si accorgono degli errori commessi, anzi alcuni di loro pensano di aver fatto una cosa intelligente: una per tutte, quella dei ricci vuoti, che la gente ha identificato subito con lo stesso candidato).

Spesso il bue dice all’asino che ha le corna ed è quanto è avvenuto nell’ennesimo scontro fra il Pd di Molfetta (protagonista della caduta della propria amministrazione di centrosinistra con il suo premeditato killeraggio che ha portato a un anno di commissariamento e a nuove elezioni dopo appena tre anni) e l’ex sindaco Paola Natalicchio a proposito della presentazione del progetto della coalizione destracentro, il famoso “ciambotto” (ci fa piacere il successo del termine, con cui “Quindici” ha appellato l’armata brancaleone di Tommaso Minervini e che ormai è di largo uso sui giornali e sui social) nel quale anche il Partito Democratico di Molfetta si è infilato.

Paola Natalicchio aveva pubblicato un post che riproduceva un messaggio inviato agli smartphone che annunciava che nella serata di presentazione del progetto Smart City, da “Quindici” ribattezzato “Smart Ciamboth”, ci sarebbe stata musica dal vivo, free drink e gadget. «Ma non vi vergognate? A offrire gadget e free drink per far venire la gente in piazza? A questo vi siete ridotti?» era stato il commento della Natalicchio.

Pronta la reazione del Pd non chiamato direttamente in causa, ma difensore d’ufficio del rancido ciambotto della coalizione di destracentro, l’armata brancaleone dei voltagabbana che sostiene Tommaso Minervini. Insomma, exusatio non petita, accusatio manifesta (scusa non richiesta, accusa manifesta), qualche avvocato del Pd, dovrebbe conoscere bene la locuzione latina, che conferma una certa coda di paglia in chi ha provocato la caduta del proprio sindaco a Molfetta e ora cerca una scusa per giustificare la sua presenza in una coalizione di destra.

Il Pd parla di “verifica dei fatti”, “etica della comunicazione”, “deontologia dei giornalisti”, “caduta di stile”, espressioni delle quali si ricorda solo quando conviene, proprio un partito che a Molfetta ha dimostrato di non conoscere le regole della democrazia e della comunicazione, preferendo le veline agli articoli scomodi dei giornalisti liberi e rifuggendo dalle critiche (forse anche per un po’ di vergogna per le scelte politiche fatte, che hanno portato alla distruzione del partito e alla fuga di militanti, iscritti ed elettori). Al di là dell’episodio e della sua veridicità, la verifica dei fatti è quella di un Pd voltagabbana, che a Molfetta ha gettato alle ortiche la propria storia, coinvolgendo anche i giovani democratici in questa deriva e intollerante verso la verità e chi la racconta, tuffandosi anche nell’irrancidito ciambotto di destra con le forze che erano all’opposizione del centrosinistra. Certo la destra e Azzollini hanno fatto scuola, ma il Pd ha subito imparato la lezione, tant'è che si è spostato a destra, forse nella collocazione più idonea alle sue ultime ultime giravolte.

Paola Natalicchio ha subito replicato, sostenendo di avere il numero di cellulare di chi ha diffuso il messaggio incriminato: «Forse il Pd di Molfetta, noto alle cronache nazionali per le sue gesta di cambi di casacche e tessere numerose, dovrebbe occuparsi di spiegare meglio ai suoi elettori perché si allea con Ninnì Camporeale, Mariano Caputo, Saverio Tammacco e Pasquale Mancini (ex An e Forza Italia, tutti dentro lo smart carrozzone), piuttosto che dispensare lezioni sulle bufale e sulla verifica delle fonti. PS: Abbiamo il numero di cellulare di provenienza del messaggino che ha circolato ieri mattina per pubblicizzare l'iniziativa di Piazza Municipio. Lo abbiamo tolto solo per ragioni di privacy, nè ci metteremo a indagare oltre. Più che #bufala chiamatelo #boomerang, visto che la piazza nonostante i manifesti sulle plance e la "sicura vittoria" era semivuota. PPS: La nostra cena in un famoso locale sul mare su cui sono state fatte gravi insinuazioni ai limiti della denuncia è stata una cena di autofinanziamento in cui candidati, amici e famiglie hanno raccolto fondi per pagare i manifesti e gli altri materiali della campagna elettorale. Noi non offriamo cene in cambio di voti e nessuno può permettersi di fare battute sul punto».

E’ questo il clima e l’atmosfera che si respirano a Molfetta. Una cosa va aggiunta per dovere di cronaca: certamente non può dare lezioni di rispetto degli altri e delle idee diverse, chi per primo non rispetta queste regole, come ricorda il proverbio: il bue dice all’asino cornuto. Una caduta di quello stile che il Pd a Molfetta, purtroppo, non ha più e i cittadini se ne sono accorti, proprio verificando fatti e comportamenti di chi ha gettato alle ortiche la propria storia, per saltare sul carro del presunto vincitore, nella speranza di rimediare un ruolo politico che non ha più.

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Il conte Axel Oxenstierna, cancelliere svedese durante la terribile Guerra dei Trent'anni, parlava con ampia cognizione di causa quando disse: “Renditi conto, figlio mio, che ben poco posto viene lasciato alla saggezza nel sistema con cui è retto il mondo.” Lord Acton, uomo politico inglese del secolo scorso, usava dire che il potere corrompe, e di ciò ormai, siamo perfettamente convinti. Meno consapevoli siamo del fatto che esso alimenta la follia, che la facoltà di comandare spesso ostacola e toglie lucidità alla facoltà di pensare. La perseveranza nell'errore, ecco dove sta il problema. I governanti giustificano con l'impossibilità di fare altrimenti decisioni infelici o sbagliate. Domanda: può un paese scongiurare una simile “stupidità difensiva” come la definì George Orwell, nel fare politica? Altra domanda, conseguente alla prima: è possibile insegnare il mestiere ai governanti? I burocrati sognano promozioni, i loro superiori vogliono un più vasto campo d'azione, i legislatori desiderano essere riconfermati nella carica. Sapendo che ambizione, corruzione e uso delle emozioni sono altrettanto forze di controllo, dovremmo forse, nella nostra ricerca di governanti migliori, sottoporre prima di tutto i candidati a un esame di carattere per controllarne il contenuto di coraggio morale, ovvero, per dirla con Montaigne, di “fermezza e coraggio, due virtù che non l'ambizione ma il discernimento e la ragione possono far germogliare in uno spirito equilibrato.” Forse per avere governi migliori bisogna creare una società dinamica invece che frastornata. Se John Adams aveva ragione, se veramente l'arte di governare “ha fatto pochissimi progressi rispetto a 3000 o 4000 anni fa” non possiamo aspettarci grandi miglioramenti. Possiamo soltanto tirare avanti alla men peggio, come abbiamo fatto finora, attraverso zone di luce vivida e di decadenza, di grandi tentativi e d'ombra.
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