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Amedeo Tedesco custode della memoria dell'orrore nazi-fascista.
15 febbraio 2014

E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: è naturale in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile. Con queste parole di Bertold Brecht avvia il suo intervento la dott.ssa Pasqua de Candia, organizzatrice della settimana della memoria, fortemente voluta dal Comune di Molfetta, rappresentato in questa terza e ultima manifestazione dall’assessore alla cultura Betta Mongelli. A fare gli onori di casa in occasione della conferenza, il prof. Sabino Lafasciano, preside della scuola ospitante (il Liceo ‘’Vito Fornari’’) che con i dovuti ringraziamenti, presenta l’ospite d’onore, testimone di valori e di ricordi, uno dei protagonisti di questa settimana della memoria, parte di un percorso volto all’antifascismo, al rispetto, alla tolleranza, promosso dallo stesso sindaco Paola Natalicchio. Amedeo Tedesco, è un membro della comunità ebraica di Roma, che porta dietro di sé una valigia pesante, non solo per la sua età avanzata, ma soprattutto per lo spessore delle tragiche esperienze che l’hanno portato a nascondersi prima ancora di venire alla luce e a diventare orfano di padre a soli quattro mesi per mano dell’antisemitismo. Fiero di essere parte della comunità ebraica più antica d’Europa, segnato dal suo passato, Tedesco, senza troppi giri di parole catapulta gli studenti che gli siedono davanti, nel 1933, anno dell’ascesa di Hitler, che non osa definire uomo, quanto piuttosto ‘’essere incivile, disumano con l’intento di creare una razza superiore che regnasse sull’Europa libera dagli ebrei, seppur cittadini tedeschi esattamente quanto gli ariani’’. Ogni parola da lui pronunciata è una freccia scagliata con la precisione di chi ha respirato in casa propria l’insostenibile pesantezza della Germania del ‘38: quella della notte dei cristalli, della promulgazione delle leggi razziali in Italia e, per uno strano caso del destino, del matrimonio dei suoi genitori. Tedesco parla della vita degli ebrei italiani, sotto il fascismo, privati del lavoro, dell’istruzione, della dignità, discriminati, ma pur sempre nelle loro case, prima dell’inizio della deportazione che vide tedeschi (nazisti) e italiani (repubblichini) mettere in scena un’opera criminale crudele quanto subdola, che la mattina del 16 ottobre portò al macello 1022 ebrei, illusi di trascorrere un breve soggiorno in un campo ‘’con infermeria per gli ammalati, con i propri effetti personali compresa la chiave di casa’’. La destinazione per chiunque fosse diverso, ebreo, omosessuale, disabile, in realtà era una sola: l’inferno dell’Olocausto. Che la via da percorrere fosse quella delle docce del campo di sterminio di Birkenau o quella lenta e dolorosa del campo di concentramento di Auschwitz, la fine sarebbe stata la medesima. La sorte di suo padre, racconta Tedesco fu simile alla seconda, ugualmente sofferta. Uscito dal retrobottega di un suo amico in cui era nascosto per portare viveri a sua moglie rifugiata in una casetta con altri dodici ebrei, fu individuato a causa di una soffiata. Quello fu l’inizio della fine: incarcerato e poi gettato nelle Fosse Ardeatine, finì tra quei cadaveri nelle grotte, occultati dagli stessi generali nazisti. Travolto dall’emozione, nel pronunciare queste parole, il signor Amedeo non sopprime le lacrime ma piuttosto spiega che ‘’le ferite che uno porta addosso fanno molto male e il tempo non le cancella’’. Infatti, seppur a guerra finita lui e sua madre siano tornati cittadini di Roma sani e salvi, la perdita degli affetti, ha steso sulla città un velo di sofferenza, che non è possibile dimenticare. Per questo con grande rammarico, egli fa un appello a tutti coloro che vedono nella Giornata della Memoria una ricorrenza come le altre, ormai troppo lontana nel tempo dall’avvenimento, o che incapaci di identificarsi con le vittime vedono nello sterminio di Hitler un progetto ambizioso, affermando con decisione che pur dovendo allontanare tali forme di razzismo, ignoranza, disumanità è bene che un tale sterminio sia ricordato sempre perché, come ha scritto Primo Levi “chi dimentica il passato potrebbe essere costretto a riviverlo’’.

Autore: Gaia Giancaspro
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