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All'Università popolare L'ora dell'ombra e della riva della scrittrice Angela De Leo
15 dicembre 2015

Ospite dell’Università popolare molfettese, diretta dalla prof.ssa Ottavia Sgherza, la scrittrice bitontina, residente a Corato, Angela De Leo, anima della collana “I girasoli” dell’editrice Secop. La poetessa, autrice, oltre che di sillogi liriche, anche di pregevoli raccolte di novelle (ricordiamo “Trattenendo il respiro”, sempre per i tipi della c.e. coratina) e del bellissimo romanzo “La via delle vedove”, dialoga con il pubblico molfettese sul suo più recente scritto, “L’ora dell’ombra e della riva” (Secop, 2015). La serata ha previsto gli interventi del Presidente dell’Associazione, dell’autrice, del sottoscritto, della pittrice Marisa Carabellese, che ha pennellato un pregevole ritratto en artiste della scrittrice e dei suoi versi, e la lettrice Michela Annese, che ha donato voce con delicatezza alla poesia della De Leo. Tale florilegio di liriche è figlio della stagione dei bilanci; l’io lirico misura il dolore derivante dalle numerose assenze cui la vita l’ha costretta (su tutte la perdita dello sposo, Primo Leone, stroncato da un infarto ormai quasi dieci anni fa) e s’interroga sui nuovi, futuri approdi ai quali l’esistenza la destina. La specola è quella della domus coratina, sacrario degli affetti, teatro del colloquio con le ombre, che si affacciano sul lucernario, soglia del ricordo, limen di dimensioni invisibili, eppure presenti allo spirito. Dalla domus lo sguardo si rivolge poi al mondo, il cui clamore è sempre filtrato come dalla prospettiva di un acquario e perviene all’autrice come eco che si espande dalla cassa armonica di una conchiglia. Ecco che acquisisce significato e diviene illuminante la scelta dello splendido olio su tela, Acquario, uno dei segni zodiacali della pittrice Marisa Carabellese. Lo spirito delle acque, nelle vesti di una creatura femminile bellissima effigiata in copertina, sembra soffermarsi ad auscultare la magica voce di una conchiglia, traendo linfa vitale dal mare, rappresentato come grembo materno, foriero di protezione. Emblematico appare il titolo della raccolta. L’autrice suddivide le oltre cento liriche in dieci sezioni, ciascuna germinata all’ombra di uno degli elementi nodali dell’esistenza umana: il ricordo, il dolore, il tempo, il cielo (attraverso i viaggi, che conducono orazianamente a mutare caelum, non animum), le conflittualità e le gioie dell’amore. Si tratta di ombre ora ristoratrici ora soffocanti, che si affiancano ad altre ombre, quelle dei cari già approdati alla dimensione dell’Altrove, riva verso cui la De Leo si protende, conscia del Mistero ad essa connaturata. Così l’ombra acquisisce una duplice valenza, consolatrice e perturbante, e si connota essa stessa, a tratti, come riva sulla quale adagiarsi: “Mi assediano aghi di pino / e biancospino alla cui ombra / vorrei riposare / come alla riva di ogni dove” (p. 184). I due concetti si rivelano complementari, arrivano a sfiorarsi, quasi baciarsi, a tratti sovrapporsi, perché in fondo, come insegna la storia di Peter Schlemihl, l’ombra è parte, tutto sommato inalienabile, del nostro essere. La lirica della De Leo si dispiega all’insegna del neoromanticismo, animata da un incessante Streben e da quello che sabianamente potremmo definire lo “sguardo azzurrino”. Un impressionismo melodico connota i versi della silloge, che spesso, in uno stile profondamente musicale (nelle cui volute si espandono armonie di Chopin, arie d’opera o operette o canzoni, dagli anni Trenta a seguire), muovono da pennellate paesaggistiche, di cui l’autrice cattura suoni, profumi e soprattutto cromatismi. Poi la scrittrice muove verso la registrazione delle risonanze interiori di quanto osservato oppure innesta la riflessione che punta all’universale. L’uomo si scopre inerme dinanzi all’invidia degli dei e prende atto con scoramento del fluire del tempo, ma forse una soluzione è ancora alla sua portata e risiede nella religione degli affetti e nel culto della bellezza. Bellezza delle città eterne, come Parigi in cui “il ferro della Tour Eiffel esplode / cristallo di luce” (ed è nostalgia!); bellezza degli affetti, all’ombra dei quali adagiarsi, nella speranza di un Altrove in cui ricongiungersi; bellezza della Poesia, volo psichico che da sempre e per sempre appagherà il diversamente inappagabile senso d’ali di ogni umana creatura. “All’ombra della riva voglio riposare / dove attendere passi che mi vengano a svegliare / portandomi tra dita d’AMORE l’ultima POESIA”.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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