Alcool, cresce il consumo fra i giovani molfettesi
INCHIESTA - I numeri di un fenomeno in pauroso aumento. Il ruolo del Ser.t
Dati che fanno quanto meno pensare, quelli ricavati dagli studi dell'Eurobarometro e che sono stati presentati al convegno dal titolo ''I giovani e l'alcool'' presso la Fondazione Santa Lucia a Roma: la percentuale dei ragazzi italiani, tra i 15 e i 24 anni, che consuma alcol si aggirerebbe intorno al 77% e il 7% di loro, intervistato, ammette di bere fino ad ubriacarsi con una media di almeno tre volte a settimana. Nell'Europa del sud, l'Italia è terza dopo Francia (12%) e Grecia (9%). Il consumo di aperitivi e alcopops (bevande a basso tasso alcolico) è invece aumentato del 32,7% dal 1998 al 2001, secondo i dati forniti dall' Istat e dall'Osservatorio permanente giovani e alcool. Tra i due sessi, i ragazzi preferiscono consumare birra, mentre le ragazze sono più orientate per il consumo di vino.
Lo sconcerto di fronte a questi numeri è la prima reazione, la più ovvia, che ha spinto noi di QUINDICI ad occuparci del problema, prima inquadrandolo a livello generale e poi, inserendolo nella realtà molfettese perché se ne prenda coscienza con i dati alla mano grazie anche all'aiuto degli esperti del Ser.T dell'ASL BA/02 di Molfetta e in particolare del dott. Poggi, che ha discusso con noi di come questo fenomeno viene vissuto nella nostra città.
I luoghi. I modi
E' certo che sotto accusa andrebbe messa subito la pubblicità che attribuisce a certe bevande, come per esempio gli amari, caratteristiche di forza e di virilità. Il punto è che l'alcol, nelle culture occidentali, è ancora sinonimo di forza visto che una persona viene considerata tanto più potente quanto meglio lo regge e chi si dichiara astemio o si rifiuta di bere viene additato come “diverso” e, nella maggior parte dei casi, diviene facile bersaglio all'interno del gruppo. Oggetto di discriminazione sociale è diventato, soprattutto fra i giovani, anche il tipo di bevanda scelta: diminuisce infatti il consumo del vino, collegato al ceto contadino, e aumenta l'uso del superalcolico che evidenzia il distacco generazionale tra il padre e il figlio “evoluto”, che beve liquori in discoteca o al bar. Al gesto del bere sono collegati valori socializzanti mentre i luoghi del bere sono visti come luoghi di incontro nei quali è possibile sviluppare e mantenere solidarietà fra le persone.
Senza andare troppo lontano è sufficiente frequentare, come semplici avventori, i pub o anche semplicemente alcuni bar della nostra città per capire subito che non si tratta di mere teorizzazioni: a qualsiasi ora del giorno è possibile incontrare ragazzi dai 16 anni in su che, accanto ai loro coetanei che bevono il classico caffè, scelgono di fare “un break” con la birra, il liquore o altro del genere senza porsi il benché minimo dubbio sulla possibilità che la loro abitudine possa costituire un danno per la loro salute o il preludio di una vera e propria dipendenza dalle sostanze alcoliche.
Il grosso problema è che la società accetta con naturalezza questo uso estremamente scorretto dell'alcol spesso favorendolo: è anche vero che la sosta al bar o al pub per “prendere una cosa da bere” non può essere considerata causa di alcolismo, ma sicuramente favorisce e incrementa il consumo e l'abuso di bevande alcoliche e tende a proporre nuovi valori strettamente legati a questa pratica, facendo ricorso a modelli di comportamento come l'associazione simbolica di alcol e ricchezza, di alcol e sesso o di alcol e salute. Naturalmente messaggi di questo genere fanno presa soprattutto su di un soggetto debole, che ha bisogno di un esempio con il quale rapportarsi e a cui ispirarsi e che può così diventare un potenziale alcolista.
Ad aver cambiato tipologia poi, sono anche i cosiddetti “luoghi del bere” ormai non più legati alla necessità della sosta in un luogo al chiuso per acquistare e consumare gli alcolici: favoriti anche dal basso costo e dalla larghissima diffusione in supermercati e centri commerciali infatti, i ragazzi si riforniscono in abbondanza per poi andare a consumare il tutto…un po' dove gli pare. Basti fare una passeggiata dopo la mezzanotte nei pressi del Calvario (p.zza Garibaldi) o lungo quasi tutto il lungomare, giusto per citare due luoghi-esempio: il numero delle bottiglie vuote abbandonate, come triste testimonianza degli stupidi rituali che si consumano ogni sera, è impressionante.
Incredibile specchio del problema è stato il recentissimo concerto di Caparezza: dieci minuti dopo la fine, il piazzale adiacente alla Basilica della Madonna dei Martiri era già deserto e l'unica eco dei 15.000 fan accorsi era l'incredibile numero di bottiglie trascinate sull'asfalto dalle macchine che si adoperavano per ripulire il tutto…
Perché? Come è possibile inquadrare, capire ed eventualmente arginare il problema? Questi e altri i quesiti che ci siamo posti e di cui abbiamo discusso con il dott. Poggi del Ser.t, che ci ha fornito un quadro estremamente completo e complesso del fenomeno, dal momento che il monitoraggio da loro operato si è mosso in più direzioni: protagonisti, non sempre pienamente coscienti, delle indagini da loro effettuate sono diventati i ragazzi a partire dalla scuola media inferiore, per poi spostarsi sugli adolescenti della secondaria superiore, fino ai pub e ai loro frequentatori.
Numeri non allarmanti, di cui vi daremo notizia nei prossimi numeri, ma pur sempre dati effettivi che, quantomeno, hanno il dovere di far riflettere: e, dopotutto, estranei alla pratica molto in voga di “puntare il dito” contro il colpevole, il nostro intento è semplicemente questo.
Francesca Lunanova
francesca.lunanova@quindici-molfetta.it