Affondamento Motopesca Francesco padre. Ventotto anni dopo, una ferita aperta a Molfetta
MOLFETTA - E’ un dolore che si rinnova ogni anno a Molfetta. E’ così da ventotto anni. Tanti ne sono trascorsi dall’affondamento del motopesca Francesco padre avvenuto al largo delle coste del Montenegro, nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 1994. Ventotto anni da una tragedia che ha turbato fortemente una intera città. Ha ferito una intera categoria di lavoratori. Ha gettato nel dolore, più profondo, cinque famiglie, quelle di Giovanni Pansini, Saverio Gadaleta, Luigi De Giglio, Francesco Zaza, Mario De Nicolo, il capitano/armatore e i componenti dell’equipaggio del motopeschereccio.
Un dolore reso ancora più grande dal fatto che, per quella tragedia, nessuno ha pagato. Nonostante, nel 2014, la Procura di Trani, demolendo tutte le altre ipotesi investigative fino ad allora avanzate, abbia ipotizzato che “per un tragico errore il motopesca di Molfetta sia stato affondato dalle forze Nato perché scambiato per uno di quei natanti utilizzati in funzione antisommergibile”. All’epoca c’era l’embargo alla ex Jugoslavia.
«Si tratta di una tragedia – sottolinea il sindaco Tommaso Minervini – che ci ha segnato tutti. Nessuno escluso. Al mare questi nostri fratelli sfortunati avevano dedicato la loro esistenza, al mare hanno dato la vita e il mare, per sempre, è l’ultimo rifugio dei loro resti umani.
Giovanni, Saverio, Luigi, Francesco, Mario e Leone, il cane di bordo che con loro ha perso la vita, erano, sono e saranno, per sempre, vittime di una guerra assurda e ingiusta come sono tutte le guerre. Erano in mare per lavorare. E dal mare non sono più tornati. Ai loro cari – conclude il Sindaco Minervini - giunga il mio abbraccio più affettuoso».