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A spasso con la "Tigre celtica": piccolo viaggio nel cuore della Repubblica del trifoglio
15 settembre 2006

Basta essere dotati di un occhio paziente, piuttosto analitico ma, soprattutto sgomberato dalle nebbie dei luoghi comuni, ed entrando in un pub della provincia meridionale irlandese - nella contea di Wexford, per la precisione - è possibile vedere ben oltre le pareti in legno interamente tappezzate dalle tipiche targhe di Guinness (spillata rigorosamente dai barili e considerata uno dei nettari più deliziosi al mondo). Perché dietro gli enormi boccali di  questa birra nera dal sapore forte e dalla spuma cremosa, possono ancora celarsi racconti affascinanti di gente solitaria in perenne viaggio, o di uomini che tutt'oggi difendono con orgoglio rispettabile e genuino la turbolenta storia dei propri antenati, segnata da secoli di povertà, carestia ed evidentemente, di feroce occupazione straniera. Chi vorrà fermarsi nella Repubblica verde, allora, non resterà tanto colpito dalla bellezza delle colline popolate da mucche e da pecore, quanto piuttosto dalla miscela esplosiva di civiltà diverse. L'Irlanda con la sua originaria e leggendaria popolazione gaelica, è stata infatti il crocevia di altre tre culture principali - quella vichinga, quella normanna e ultima solo in ordine di tempo, quella anglosassone, che sembra tuttora dominante nel pensiero, nello stile di vita, nei mass-media. Tracce della difficile convivenza fra queste civiltà sono presenti ovunque:dalle fortezze e le chiese con uno stile tipicamente gotico, all'amore per la pesca e per le fiabe popolate da elfi, gnomi e fate, per giungere addirittura ai nomi delle strade ("Cul de sac" indica, ad esempio, una via senza uscita) e della gente (Neamhain, Antoinette, Siobhàn, Tuilelaith e chi più ne ha più ne metta!!). Nello "Sky & the ground" della Main Street, che è la caotica via principale di Wexford, ho incontrato Alan, un simpaticissimo ragazzo dai capelli rossastri (un "ginger", come lo chiamerebbero i suoi compaesani). Una solarità e una risata ben lontane dal freddo humor britannico, ma soprattutto, un braccio destro che da solo farebbe invidia ad un' intera delle tante guide sull'Irlanda che si acquistano frettolosamente in un supermercato o in un centro turistico italiano. Due i tatuaggi più significativi: il "pike", picca uncinata e simbolo della rivolta locale, e l' enorme croce celtica della sua famiglia, sorretta da tre scalini e circondata da una decina di stelline. Alan ha perso tre dei suoi quattro fratelli (erano in cinque, dunque, ma non è raro trovare famiglie, come la mia ospitante, anche con otto figli!) e ciascuna di quelle date tatuata sui gradini era lì a ricordare  il loro anno di nascita. Come  avviene anche oggi in Italia, i cambiamenti sociali, lo sviluppo economico e culturale, hanno messo progressivamente in crisi l'antico e rigido Cristianesimo irlandese. Perciò, se da una parte sopravvivono centri di predicazione evangelica o anziani che riempiono le proprie casette di quadri e statuette raffiguranti la Madonna, dall'altra emerge il nuovo atteggiamento dei giovani, che non hanno più bisogno di emigrare per trovare un lavoro decente e che pretendono la libertà di vivere come vogliono. Ecco allora proliferare adolescenti forse troppo precoci alla ricerca di amici maggiorenni che comprino loro birra, sigarette e ingressi ai Nightclubs (le nostre discoteche), dove la musica è sempre nuova e assordante. Ma è in generale tutta l'Irlanda del post-boom economico a presentarsi come un concentrato di contraddizioni. Infatti la famosa "Tigre Celtica", che qui ha portato all'apertura di nuovi cantieri, alle strade quasi "invase" da bambini piccolissimi, all'avvento di popolazioni dell'est (i camerieri di pubs e ristoranti sono principalmente lituani o polacchi), non ha del tutto eliminato la visione di barboni solitari o di improvvisati musicisti beoni, che si aggirano per le viuzze alla ricerca disperata di qualche  centesimo. Certamente non è abbastanza, ma vivere direttamente in  famiglia, frequentare una scuola del posto per un mese serve, a mio avviso, anche a conoscere meglio la propria cultura e magari a valutarne pregi e difetti.  Ad esempio noi italiani pigri, mammoni, scarsamente rispettosi dell'ambiente, siamo però soliti stimolare la nostra capacità critica. Lo si nota dalla preparazione che scuole e giornali almeno tentano di offrirci o più semplicemente, dalla più diffusa e sana abitudine a commentare, anche a voce, il film appena visto. Nella giovane Repubblica, invece, a parte quei pochi uomini di cui si parlava prima, c'è spesso un popolo in cui il senso di appartenenza è oramai ridotto a pura vendita di trifogli e gnomi portafortuna, e invece nulla si fa per continuare a difendere la propria ricchezza culturale immensa, se si pensa che un Paese di soli nove milioni di abitanti sia riuscito a dare i natali a migliaia di musicisti, pittori, ballerini ma, soprattutto, scrittori  (pochi sanno, ad esempio, della nascita e della formazione dublinese del celeberrimo Oscar Wilde, così come di James Joyce e Samuel Beckett, rispettivamente padri del romanzo e del teatro moderni).  L'Irlanda, insomma, ci dimostra come un'unica lingua non sia sempre stata sinonimo di uniformità culturale e dovrebbe metterci all'erta: vogliamo difendere il nostro patrimonio critico e artistico o dopo il boom dei reality made in Uk e soprattutto Usa, vogliamo anche che i nostri libri e giornali siano venduti accanto agli scaffali dello "Junk food", il comune  cibo spazzatura?
Autore: Rossella De Laurentiis
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