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“Le passioni di sinistra” Considerazioni sulla nuova rivista
15 novembre 2001

di Giovanni de Gennaro E’ passata inosservata la pubblicazione del numero zero della rivista “Le passioni di sinistra”, curata da Vito Copertino e Mario Centrone: 54 pagine con progetto grafico di Vito Davoli, Vito Panunzio, Pino Spadavecchia e veste tipografica della Lito A. Minervini & C. di Molfetta, arricchito da splendide fotografie di F. W. Hiroshy e di Francesco Mezzina ed altre ricavate da Siti WEB e gallerie virtuali. Testimonianze Invece è un impegno culturale che va apprezzato per i suoi contributi intelligenti tra le solite polemiche provincialistiche. In verità coloro che considerano le valutazioni politiche un “pasto confezionato per piacere” si sono presto scoraggiati di fronte alle difficoltà del linguaggio e delle argomentazioni poco ortodosse. Ma chi si è sforzato di capire è stato compensato della impresa. E’ il primo discorso serio che si fa a Molfetta sulla Sinistra, lasciando da parte le facili tirate su Berlusconi, su Tommaso Minervini o sul livello culturale dei consiglieri comunali di maggioranza. Non mancano le testimonianze sulle “eroiche” giornate di Genova di giovani turisti delle dimostrazioni, da quelle fervorose dei cattolici alle contestazioni di vetrine che poi confluiscono nelle manifestazioni ecumeniche per la pace: da non sottovalutare comunque per la sete di valori dei giovani. Ma l’interesse maggiore è in alcuni saggi che sono tentativi di analisi della cultura politica alternativa. Già nella presentazione Nino Mastropierro propone la rivista come sede di discussione senza pregiudiziali partitiche, sottintendendo il mito della unità della Sinistra, e nell’editoriale Vito Copertino annunzia l’impegno di un lavoro “lungo” per “valorizzare la specificità della Sinistra”, evidenziare la sua diversità ed il nuovo che comporta, bandendo i soliti “banali punti del programma”: precisa che il movimento “no global” potrà sperare in una prospettiva futura “solo se si confronterà con il problema dei suoi stessi presupposti teorici” e non si limiterà “alla contestazione degli appuntamenti dei vertici internazionali”. Un saggio notevole ci sembra quello di Mario Centrone, “Passioni mute: i suoni”. Analisi di aspetti inediti Sulla scorta di pensatori francesi, G. Deleuze, G. Guattari, F. B. Bifo, l’autore svolge un discorso che sembra estraneo alla valutazione politica della Sinistra. Ma la considerazione filosofica di un essere indifferenziato, privo di organi funzionali, disarticolato, che richiama alla mente la vitalità del virus, lo sviluppo imprevedibile del rizoma, il mitico uovo tantrico delle religioni orientali, nucleo di intensità potenziali e di pulsione del “desiderio”, è da lui trasferito al gruppo sociale primitivo, quale può essere l’insieme di soggetti nomadi. Non per caso i gruppi nomadi si affidano alla comunicazione dei suoni come linguaggio di valori comuni: proprio perchè il messaggio sonoro tende a produrre una comunità virtuale attraverso ritmi ripetitivi senza melodia, cioè senza soggetto e senza oggetto, in modo da costituire la potenziale voce di tutti. E’ lasciata al lettore la similitudine di questa forma dell’essere con i movimenti fluttuanti della nuova Sinistra, “multitudo” senza idolatrie di partiti e di ideologie. Altrettanto interessante è il saggio di Vito Davoli “La rivoluzione linguistica massmediale e il suo impatto sulle forme di rappresentazione e di rappresentanza” in cui mette a confronto i linguaggi politici della Destra e della Sinistra oggi in Italia. La Destra, egli nota, riesce a veicolare un messaggio di facile presa sociale con un sottinteso politico chiaro ed immediato; le motivazioni della Sinistra, invece, staccate dalle forme tradizionali di rappresentazione, il comizio, il corteo, il Sit-in, appaiono poco comprensibili per una pretesa di anonima modernità. Svanito il grande scenario ideologico la Sinistra si frantuma in questioni slegate o si omogeneizza in un manicheismo semplicistico, di fronti contrapposti, indifferente ai problemi concreti. La dicotomia si estende dal linguaggio alla rappresentazione e si approfondisce per una rappresentanza inefficace che non offre più i modelli dell’antifascismo e della Resistenza o i carismatici trascinatori di masse. Quasi a sostegno delle tesi di Davoli si svolge l’intervento di Angela Colonna e di Vito Copertino, “Le piazze nella vita della città”. Suggeriscono una lettura politica e non esclusivamente tecnica del Piano Regolatore Generale di Molfetta: esaltano infatti la funzione di laboratori di partecipazione e luoghi di incontro spontaneo dei cittadini, delle piazze e si augurano che tornino ad essere sede di incubazione democratica degli orientamenti popolari. Su temi specifici si soffermano gli altri interventi: di Menico Copertino sulla musica come espressione unificante di una comunità, giungendo alla conclusione che la musica viva è contaminazione e giustificando il tentativo di gruppi musicali giovanili di sposare la musica elettronica a canzoni e motivi popolari; di Antonio de Tullio sulle cooperative di produzione, modelli di lavoro alternativo; di Francesco Mancini sulle deformazioni di teorie e dati scientifici intorno alla globalizzazione, e sul fenomeno della cosiddetta “dismal science”, la scienza triste con le sue previsioni pessimistiche. Una valutazione Ampiamente organico è invece il saggio conclusivo di Alberto Altamura, “La globalizzazione al tempo dell’impero”. L’Autore individua il carattere del fenomeno nello “slittamento” della sovranità dello stato-nazione verso il mercato globale, un impero depoliticizzato, in cui il profitto e l’amministrazione prevalgono su qualsiasi valore politico. Con numerose citazioni di autori, P. Bourdieu, A. Negri, P. Q. Hirst, A. K. Sen, J. Halevy ed altri che costituiscono una utile bibliografia, Altamura configura la globalizzazione fase critica del capitalismo, più che fase positiva di sviluppo; analizza poi le forze attuali dell’antagonismo anticapitalistico in un sistema reticolare che potrebbe consolidare in strutture permanenti questo “movimento dei movimenti” e distingue nettamente le azioni di protesta da episodi terroristici. Criticando la deriva riformistica che Antonio Negri qualificò anni fa “infame”, “centro di mistificazione e di repressione contro la opposizione reale e possibile”; conclude rifiutando decisamente la posizione politica di Pietro Fassino e del movimento socialdemocratico che dovrebbe guidare. La rivista presenta in tal modo un panorama critico dei modi di essere della Sinistra che inducono ad alcune considerazioni. Qualche considerazione Per la sua eterogeneità in un diverso quadro socioeconomico a livello mondiale, la Sinistra contemporanea è lontana dalle forme organizzative nate dal marxismo, dalla classe, dal sindacato, dal partito, all’epoca della rivoluzione industriale; né ha saputo proporsi finalità organiche ed unitarie come è accaduto nei settanta anni dello stato sovietico. Le molteplici e contrastanti motivazioni quali la fame e la tutela dell’ambiente, l’inquinamento e la gestione delle risorse, la distribuzione della ricchezza e l’incremento demografico, la cultura dei valori e le prospettive della scienza, la democrazia e la libertà ed i diritti dell’uomo, non sono riconducibili ad una unica causa, al potere malefico del capitalismo, visto come sistema chiuso fuori della storia. Una politica della Sinistra se non vuole ridursi ad aspettativa messianica, non può che farsi azione riformatrice costante e graduale in forme adeguate agli stadi di sviluppo economico e culturale della società come si è realizzata in Europa. Nè appare possibile far convergere una Sinistra riformista e di governo che deve fare i conti con le strutture indispensabili della società e dello stato, con una Sinistra di totale contestazione della realtà storica di tipo anarcoide, in nome di una alternativa globale che non si riesce ad individuare in positivo. Se quindi lo sviluppo delle strutture politiche per realizzare la pace, il benessere, la libertà e la giustizia possibili in questo mondo, è in una democrazia riformatrice, non serve e non basta sognare l’unità mitica delle sinistre che sono diverse o le esaltanti invocazioni del ‘68, “l’immaginazione al potere”, “vogliamo l’impossibile”, che sfociarono nel terrorismo. Appare finalmente utile e doveroso impegnarsi nella riconsiderazione di esperienze politiche europee e qual è stata in Italia la storia centenaria del movimento socialista, forza di opposizione e di governo, che ha contribuito a portare il paese al livello dei maggiori stati del mondo. Vogliamo augurarci che il nuovo partito di Fassino sappia recuperare del socialismo democratico italiano, dopo che è stato demonizzato e distrutto, non solo il nome ma il ruolo che ha esercitato per assicurare l’equilibrio politico della giovane democrazia italiana ed il notevole progresso sociale. Occorre infatti rovesciare il rapporto tra la coalizione dell’Ulivo e gli obiettivi politici: una maggioranza solida si forma dopo che questi siano stati chiaramente definiti e condivisi, e non prima, con i numeri. All’altra sinistra, al Partito di Rifondazione Comunista il compito, sempre rispettabile, di svolgere l’opposizione democratica e di incubazione di nuove prospettive. La rivista è da seguire con attenzione se sopravvive alla indifferenza.
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