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80 anni vissuti “pericolosamente” controcorrente e contro tutti
15 gennaio 2014

Un personaggio fuori del comune, sempre, “controcorrente”: rissoso, ma aperto al dialogo; colorito nel linguaggio, ma raffinato uomo di cultura; egocentrico, ma generoso; tenace, ma pronto a ricredersi e a fare marcia indietro; aggressivo, ma in fondo timido e pronto a stringere la mano all’avversario non più nemico; piantagrane, ma leale. Era questo Beniamino Finocchiaro, morto il 13 agosto all’età di 80 vissuti tutti “pericolosamente”, nel senso di non rinunciare a nessuna battaglia anche quando la malattia gli impediva di partecipare attivamente alla vita pubblica. La politica come amore coltivato fino all’ossessione, con quella voglia di essere sempre presente a determinare il destino della sua città in modo diretto o indiretto. Nato a Barletta, il 3 luglio del 1923, figlio di un ufficiale dei bersaglieri, sposato con Elena Germano, docente di storia dell’arte nei licei, il “senatore”, come molti lo chiamavano, aveva scelto Molfetta come città di adozione, guidandola come sindaco per due volte. Socialista, allievo di Gaetano Salvemini (come amava spesso sottolineare), ha un ricco cursus honorum politico che comincia subito e non si interrompe mai. L’insegnamento di italiano e storia nella scuola media non lo appassiona più di tanto e punta alla “carriera” politica: nel 1953 è eletto consigliere comunale, vice sindaco negli anni ’62 e ’63, assessore dal ’66 al ’68. Poi il gran salto a Roma nella IV legislatura (1963- 1968) come Deputato, nel corso della quale viene eletto vice presidente della Commissione Pubblica Istruzione. Ma il personaggio Finocchiaro viene alla ribalta con la nomina a presidente del primo Consiglio regionale pugliese dal 1970 al 1975 (presidente della giunta di centro sinistra era l’avv. Gennaro Trisorio Liuzzi), soprattutto per la tenacia con cui porta avanti l’elaborazione dello Statuto, del quale fu rigoroso estensore. Memorabili le sue scampanellate in aula per evitare perdite di tempo e interrompere le inevitabili risse verbali tra maggioranza e opposizione. E quando non bastava il campanello la sua voce tonante tacitava gli ultimi brontolii. «I corridoi del consiglio regionale – ricorda il giornalista Antonio Rossano, che ne ha curato una biografia in forma di intervista “Il potere scomodo” – dovevano servire solo come luoghi di transito da un ufficio all’altro: guai se gli capitava di vedere capannelli di sfaccendati; accesso vietato ai ragazzi del bar; divieto di sosta anche per eventuali postulanti: “Non mi hanno eletto per ricevere clienti: Siamo qui a fare la Regione. E quando in assemblea un giorno l’atmosfera si surriscaldò, espulse dall’aula un suo compagno di partito». Quella delle consumazioni al bar è stata una sua mania: era perdita di tempo e per di più andava impedito il costo a carico dell’ente. E dava l’esempio, pagava sempre di tasca propria, anche nel 1975 quando invitò a colazione i giornalisti, per salutare la fine della prima legislatura regionale. Anche durante la presidenza della Rai dal 1975 al 1977 usò lo stesso rigore “salveminiano”: no alle situazioni di privilegio, alle sinecure, al parassitismo. Certo, non fu un presidente facile, ma questo rientra nel suo carattere spigoloso e irruente e nella sua convinzione di lasciare sempre una traccia. Deciso a cambiare le situazioni che ereditava, maniaco del controllo delle spese e dell’efficienza amministrativa, non poteva non crearsi nemici all’interno della tv di Stato, da sempre area di privilegi. Attacca tutti: giornalisti che a suo parere non lavorano pur percependo favolosi stipendi, dirigenti assenti, funzionari inefficienti. “Dovete mettervelo bene tra le corna quello che dico”, occorre “trottare velocemente altrimenti sono cazzi amari”, queste alcune frasi di un’intervista di Finocchiaro a Sergio Saviane dell’ “Espresso” sulla Rai, dove era deciso a sconvolgere abitudini consolidate e per fare questo non usava mezzi termini, anzi caricava come un toro davanti al panno rosso. Era questo l’uomo, poco disponibile ai compromessi, soprattutto se ostacolavano i suoi obiettivi di risanare un’azienda in deficit. Memorabile la polemica con Enzo Biagi accusato dal presidente di aver ricevuto uno stipendio per anni senza fare nulla. Il giornalista gli rispose subito con una querela e un articolo definendolo “Beniamino-Sandokan, inventato non da Emilio Salgari, ma da Giacomo Mancini, e che invece del kriss adopera l’intervista sciolta”. Alla fine fu Biagi ad avere la meglio e a vincere la causa. La sua esperienza alla Rai durò poco e terminò fra molte polemiche: “Nella vicenda Rai mi comportai come un idiota, non sospettai neanche che si potesse invertire una linea di tendenza, quella riformistica, senza un dibattito aperto e senza che ne fossi coinvolto. Sono stato sbattuto fuori a calci dalla Rai per favorire il processo di privatizzazione”. Era censore perfino della classe politica: “Non ho mai nascosto la mia presa di coscienza dalla politica come affarismo – dice ancora a Rossano – la nostra è una classe politica marcia. I suoi comportamenti, nella media, sono censurabili, anche se non mancano lodevoli eccezioni”. L’altra sua esperienza parlamentare fu del 1983 con l’elezione al Senato della Repubblica, anch’essa avvenuta fra molte polemiche a causa della sconfitta del democristiano di Andria, avv. Attilio Busseti alla Camera, dopo che si era vociferato di un patto locale per portare al Parlamento il candidato molfettese, fuori degli schieramenti politici: molti voti democristiani confluirono sul candidato socialista e ne nacque uno scontro all’interno del partito dei cattolici. Finocchiaro ha anche ricoperto l’incarico di sottosegretario al Tesoro nel secondo governo Craxi (1986-1987) e poi all’inizio degli anni Novanta ha avuto l’incarico di studiare il bilancio dello Stato come coordinatore del comitato di studio della riforma della finanza pubblica, presieduto da Massimo Severo Giannini e poi come presidente della stessa. Esperienza dalla quale ha ricavato il libro “Procedure di bilancio e controlli di esecuzione dell’occidente industrializzato” edito dal poligrafico dello Stato. Giornalista pubblicista, Finocchiaro ha collaborato all’Avanti, a Mondo operaio, a Nord e Sud e ha diretto la rivista “Politica e Mezzogiorno”. Grande animatore culturale, ha portato nella sua città prestigiosi personaggi del mondo politico e culturale da Gazzelloni a Guttuso, la cui mostra fu inaugurata dal presidente della Repubblica dell’epoca, Sandro Pertini. Amante della buona cucina, intenditore di vini e con una grande passione per i giocattoli e le cravatte (le sottraeva agli amici e guai a non cederle, c’era il rischio di vedersele tagliare in due), Finocchiaro con gli amici perdeva quella rigidità amministrativa che lo caratterizzava e raccontava perfino barzellette o come “aveva strapazzato quel funzionario Rai inefficiente”. Insofferente alle critiche, soprattutto della stampa, le considerava ostacolo alla sue iniziative che a suo parere erano sempre perfette e ben modulate, Finocchiaro non ha avuto un buon rapporto con i giornalisti sia della Rai che della carta stampata. E’ stato questo, forse, il suo limite più grande. Era intollerante alle critiche nella stessa misura in cui le propinava agli altri, distribuendo a piene mani epiteti di “gazzettieri” o “pennivendoli”. Personaggio dalla querela facile, ha usato spesso la carta bollata e la via giudiziaria, non solo per difendere giustamente la propria onorabilità, ma spesso per cercare di intimidire gli avversari. Poi regolarmente ritirava le querele e magari faceva anche pace con l’avversario che raramente considerava un nemico. Nemico della piaggeria e degli adulatori (anche se attorno a lui non ne mancavano e molti di essi hanno fatto fortuna grazie alla sua “amicizia”) attaccava violentemente gli avversari. Però, in cuor suo stimava, forse anche inconsciamente, quelli dalla “schiena dritta” che avevano avuto il coraggio di dirgli di “no”. Una vicenda triste, che lo fece soffrire parecchio, fu la scoperta del suo nome negli elenchi degli iscritti nella Loggia massonica P2 del “gran maestro” Licio Gelli (fasc. 0522, gruppo G, codice E. 19.77). Finocchiaro ha sempre smentito di aver fatto parte di quella loggia e perfino di aver conosciuto Gelli, riempiendo le redazioni di telegrammi di proteste e di richieste di rettifica. Poi la cosa si sgonfiò, Beniamino ritrovò la pace e tornò alla sua passione per la politica e l’amministrazione pubblica. Ma la sua esperienza più interessante è stata quella di sindaco della sua città, Molfetta, carica che ha ricoperto per ben due volte e che ha ispirato anche il capitolo “Beniamino il sindacone” del libro di Guido Quaranta “Signor sindaco” (Mondadori 1981). Nel consiglio comunale esprimeva il meglio di se stesso, negli scontri con gli avversari, ma anche nella gestione della città, che amava vedere trasformata grazie alla sua azione. La sua esperienza ha condizionato nel bene e nel male la vita di Molfetta degli ultimi 30 anni, ha vissuto da protagonista assoluto questa vicenda, perfino in chiave spettacolare, come avvenne in occasione dello sciopero degli spazzini che pretendevano la 14ª mensilità. Il sindaco Finocchiaro scese in strada con la ramazza e cominciò a ripulire le vie della città, spingendo così gli scioperanti a riprendere il lavoro. Era questo il personaggio, che si presentò alle elezioni con lo slogan: “un uomo, una città”, con grande presunzione, ma con la sincera certezza di cambiarla. Che ci sia riuscito o meno questo è un compito degli storici. Negli ultimi anni oltre a candidarsi sindaco con la lista civica del “Buon Governo” contro Guglielmo Minervini, subendo una pesante sconfitta, una “disfatta” come scrisse sul suo periodico “Controcorrente”, era tornato ad occuparsi della politica locale. In particolar modo aveva attaccato pesantemente il suo ex allievo Tommaso Minervini, definendolo “federale voltagabbana” per la sua scelta di diventare sindaco di una giunta di centro-destra “un’amministrazione, la più scellerata dalla caduta del fascismo ad oggi… con guasti che investono ogni area della vita cittadina: dal piano per la sanità alla funzione pubblica, dai mercati alla cultura, dai servizi alla finanza pubblica”. Con Finocchiaro sicuramente se ne va un pezzo di storia importante di Molfetta e della Regione Puglia. Abile comunicatore inciampava poi sul suo pessimo carattere, poco disponibile al compromesso, ma anche restio a riconoscere i suoi eventuali errori. Questo aspetto della sua personalità gli ha nociuto parecchio sia quando ha ricoperto cariche pubbliche, sia nei rapporti politici e con il mondo dell’informazione. Ma questa, forse, era per lui una scelta di vita. Un filosofo disse una volta: “Il destino di un uomo è il suo carattere”.

Autore: Felice de Sanctis
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