Recupero Password
Zona artigianale, espansione sulla pelle dei cittadini Industrializzazione selvaggia ignorando l'ambiente e la salute pubblica
15 novembre 2003

Strano clima quello nel quale si è svolto il dibattito che ha portato all'approvazione dell'ennesima espansione della zona artigianale, la terza in due anni. Che strano vedere tutte quelle persone passate dall'altra parte del cuore e del cervello, tutte schierate a favore di scelte contro le quali, ancora pochi anni fa, sarebbero scese in piazza a gridare il loro dissenso. Che strane quelle voci che eravamo abituati a sentire pronunciare parole a difesa dell'acqua e dell'aria, della salute dei cittadini, chiedere che si esca finalmente dal dilemma fra ambiente e occupazione sacrificando il primo una volta per tutte e senza pentimenti. Che strano vedere tutti quei visi segnati dal tempo, tesi a cercare di afferrare quello che dalla vita non sono riusciti ancora ad avere con la rabbia che viene quando ci si guarda nello specchio e non ci si riconosce più. Che strane quelle espressioni ironiche nella direzione dei banchi dell'opposizione: guarda! sono stupidi come eravamo noi quando eravamo comunisti: che fortuna essere guariti. Strano clima nel quale si assiste alla sparizione “per decreto” della lama che attraversa l'area interessata dalla variante e che quindi la renderebbe inutilizzabile allo scopo per una buona metà della sua superficie. Con logica perfettamente circolare, il “modesto avvocato” – come ama definirsi – Pietro Uva afferma che la lama che attraversa la zona PIP non esiste, perché così dicono le carte. E se anche errore vi fosse stato nel tracciarle è, ormai, del tutto irrilevante: quelle sono le carte e quella lama ufficialmente non esiste più. Se qualcuno camminando in quella zona vi dovesse accidentalmente cadere dentro, sappia che sbaglia: quella lama non c'è. L'eventuale zoppia provocata dalla caduta sarebbe esclusivamente di natura allucinatoria. Straordinaria potenza metafisica del Diritto. Strana serata nella quale tanto rispetto per le carte non sembra condiviso da Giuseppe De Bari che, dimostrando con quelle una consuetudine decisamente più disinvolta, afferma prima che di “cartuccelle” si tratta – un nulla di fronte al supremo interesse della città di cui, evidentemente, si sente supremo custode – per poi arrivare a negare quello che gli strumenti urbanistici vigenti di Molfetta e Bisceglie dicono: che una volta attuati non esisterà più alcuna soluzione di continuità fra le due città, unite da un'enorme zona industriale formata dalle due zone artigianali e dall'ASI. Strana serata in cui per lunghi momenti è sembrata aleggiare nell'aula la convinzione che la massima aspirazione dei molfettesi sia un posto di lavoro in una conceria o dietro a un tornio. Strana serata nella quale Nunzio Fiorentini, alle prese con sofferti problemi di coscienza, vota con la maggioranza e riscrive nostalgicamente la storia del Paese, affermando che nel 1976 Molfetta guidata da “una delle prime giunte di sinistra d'Italia” ebbe una delle “prime zone industriali d'Italia” e conclude indicando agli attoniti presenti la sua città ideale, alla quale tanto vorrebbe che assomigliasse la nostra: Prato, così piena di cinesi che lavorano diciotto ore al giorno, con le fabbriche che circondano completamente l'abitato e dove persino le strade servono soltanto ad andare da casa al lavoro. Strano clima nel quale Tommaso Minervini, con retorica da anni '30, afferma la validità di scelte da anni '60, quando unico affrancamento possibile dalla servitù dalla terra appariva, per milioni di contadini, la schiavitù della fabbrica. Il tempo per lui sembra essere passato invano. Le devastanti storie della deindustrializzazione di Taranto e Bari – giusto per restare vicini – con il loro codazzo di morti e malattie, di asbestosi e mesoteliomi, di territorio svenduto e devastato, di futuro compromesso per sempre, non lo turbano minimamente. Appartengono ad un orizzonte mentale che neppure lo lambisce. Misteriosissime appaiono le ragioni per le quali ha deciso di portare avanti il processo di attuazione di Agenda 21 locale, visto il totale rifiuto a porsi problemi sollevati dalle opposizioni quali la sostenibilità ambientale, la capacità di carico antropico, la compensazione delle emissioni nocive nell'atmosfera, la responsabilità locale nei processi globali di mutamento climatico. Senza sospettarlo affatto appartiene mentalmente ad un mondo che non esiste più, tutto preso com'è a rimpiangere la lungimiranza degli amministratori che negli anni Settanta vollero la creazione della Zona Artigianale e a dimenticare come quella Zona Artigianale fosse rimasta deserta fino al 1994. Serata di prodigi nella quale la disponibilità dei suoli nella zona ASI prima scompare (“solo sette ettari!”) per poi ricomparire quando Antonello Zaza chiede dove andranno le piccole aziende in nome delle quali si fa l'espansione,visto che tutta l'area è destinata all'interporto di Casillo: “Andranno nella zona ASI”, risponde il sindaco. Strana serata nella quale il senso di responsabilità di questi amministratori si ferma alla creazione di opportunità per le imprese, ignorando quello per la salute e la qualità della vita dei cittadini che li hanno eletti: visto che hanno mandato in malora l'ospedale, si sperava che almeno credessero nella prevenzione. E invece non un cenno, non una minima espressione che facesse ritenere una pur vaga intenzione di porsi il problema. Ai 230.000 alberi di olivo sradicati negli ultimi due anni nella zona ASI, se ne aggiungeranno a breve altri 30.000. 260.000 alberi significano 2.600.000 di kg di CO2 all'anno (o se si preferisce 2.600 t/anno) che non verrà assorbita: è quanto in un anno producono 1.000 veicoli che percorrano 15.000 km ciascuno.(fonte: Circolo Legambiente di Molfetta) Potrà sembrare poco: 650 ettari di campagna riescono a malapena a compensare un trentesimo dei veicoli circolanti nella nostra città. Invece questo ci deve dare la consapevolezza della pressione insopportabile che stiamo esercitando sull'ambiente La carta di Aalborg sottoscritta dalla nostra città quando Tommaso Minervini militava dall'altra parte del cervello e del cuore, impegna a un senso di responsabilità nei confronti del pianeta e avrebbe dovuto spingere i nostri amministratori prima a valutare con maggiore ponderazione quanto stavano facendo e poi a varare contestualmente misure perequative del danno arrecato all'ambiente. E invece l'amministrazione ha deciso di esorcizzare queste questioni con una sola parola magica: EMAS, un sistema di gestione ambientale importante, ma che non garantisce nulla. I nostri amministratori sono evidentemente convinti che il mondo sia illimitato e a loro disposizione. Ma alla lunga tutti noi, cittadini di Molfetta, rischiamo di pagare caro questo atteggiamento: fra vent'anni – tanto durano i cicli delle aree industriali – quando quell'area sarà un cimitero di fabbriche dismesse e pagate con un incremento della percentuale di tumori, incerto nella sua misura ma non per questo meno doloroso, gli sventurati amministratori che verranno si troveranno ad affrontare il problema delle bonifiche e del recupero di quelle aree e di come far pagare i relativi costi ai molfettesi. E si ricorderanno di chi oggi ha preso quella decisione. Antonello Mastantuoni
Nominativo
Email
Messaggio
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet