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Vent'anni per dar voce a tutti: l'avventura di Quindici
15 novembre 2014

Ci sforzeremo con l’aiuto, e in particolare con il contributo di tutti, di riuscire a fare di questo periodico uno strumento innanzitutto di informazione, poi di riflessione e dibattito per l’intera città. Un’informazione meno gridata, meno pettegola, più qualificata per una città che vanta illustri tradizioni culturali. Vogliamo dare voce a tutti, soprattutto a chi non ha voce. Sono trascorsi quasi vent’anni da quell’editoriale di Felice de Sanctis del 23/12/1994, quando s’inaugurava la lunga stagione di “Quindici Giorni”, poi “Quindici”, all’insegna della volontà di offrire al contesto molfettese “un’informazione diversa”. Un’informazione che, come auspicava Albert Schweitzer, possa forse anche dispiacere a quei molti che non agiscono secondo coscienza, per il suo istintivo tendere alla verità, come a un Sole ineludibile. Un simbolo, il ventilatore (poi rappresentato da Gaetano Grillo in un olio donato in occasione del decennale), a significare la volontà di smuovere l’aria e rimuovere quelle zone di stagnazione che finiscono col divenire fertile humus per la micro - e macrocriminalità e per quelle antidemocratiche “politiche dello sfascio”, che condannano da anni la nostra città a una sorta di limbo senza fine e senza sogni. Un fertile connubio di parola (la parola che scava e incide nelle coscienze), splendide fotografie di Francesco Mezzina per le copertine della rivista, e ultimi - solo cronologicamente - gli splendidi reportage di Mauro Germinario, e immagini. Chi non ricorda, infatti, le corrosive vignette di Michelangelo Manente, che hanno metamorfosato Azzollini in Mandrake o Tommaso Minervini ora in Spiderman ora in un epigono di Merlino? O partorito l’icona dell’ape Guglielma e rappresentato la deriva del centro-sinistra nel 2006 in una metaforica collisione tra il Titanic e l’urna elettorale. Gli editoriali di Felice de Sanctis hanno accompagnato per vent’anni la nostra storia cittadina, attraverso le amministrazioni di Guglielmo e Tommaso Minervini, Antonio Azzollini e, infine, Paola Natalicchio. E proprio tra le pagine del nostro periodico fioriva la vocazione giornalistica di quest’ultima, che, nel 1995, levava il suo grido di rabbia contro le facili rampogne rivolte a un’apparentemente sonnolenta gioventù molfettese. “Sarà anche vero che siamo passivi”, asseriva polemicamente l’attuale sindaco, “ma in una città che lo è prima di noi ed in cui non essere tali è un’impresa ardua”. “La città dei passi perduti” la definiva il Direttore Felice de Sanctis e da allora la nostra testata ne ha seguito i progressi e le involuzioni, talora forse con eccesso pasionario, ma sempre con onestà intellettuale. Per anni ha tenuto banco la soap opera, al momento ancora senza lieto fine, del “porto delle nebbie”, per cui non è bastata la “draga Machiavelli” a rimuovere ostacoli insormontabili e, nella beckettiana attesa di una bonifica, incanutiscono e incanutiranno le generazioni. Generazioni, soprattutto le più recenti, piagate dalla disoccupazione e spesso costrette alla fuga dall’universo della precarietà. L’operazione Reset o gli arresti nel settore edilizio hanno forse restituito dignità a una città deturpata da politiche poco limpide, come dall’incuria o l’inciviltà di molti dei suoi figli (contro l’eccesso di “deiezioni canine” non è bastato il “netturbino a due ruote”, non si arrestano gli episodi di “auto flambé” né gli atti di vandalismo”)? “Quindici” ha raccontato le tragedie della cronaca, seguendo il caso della Truck Center o l’inchiesta sul Francesco Padre e denunciando la beffa patita dai genitori di Annamaria Bufi, costretti a sostenere le spese di un processo che non ha reso giustizia a una vita troppo presto e barbaramente recisa. La nostra testata ha condotto inchieste sulla piaga dell’acquisto di una casa, croce e delizia di molfettesi che si sono dissanguati in virtù di un mercato degno di ben altre metropoli, e sulle lobbies dei costruttori. Sull’edilizia selvaggia, che costruisce in barba ai rischi di dissesto idrogeologico, suscitando motivate preoccupazioni in chi è attento alle problematiche della sicurezza. “Quindici” ha sondato fenomeni di carattere sociale, quali le ansie dei precari della scuola, le nuove povertà, determinate da un processo involutivo del ceto medio, l’escortizzazione e, in ultimo, ha percorso i luoghi e descritto le abitudini della popolazione omosessuale. Anche nell’auscultare le voci del mondo culturale molfettese, sempre vivo a dispetto di amministrazioni non di rado poco attente alla sostanza (e molto a clientelismi o sofismi radical chic), il periodico si è dimostrato “giornale leader”, con collaborazioni di alto livello, da Marco Ignazio de Santis a figure importanti dell’intellettualità cittadina, legate alle lettere, all’accademia o alle arti figurative. Recentemente è scomparso Pasquale Minervini, ma ci sia lecito ricordare anche il preside Giovanni de Gennaro, un operatore culturale infaticabile nella realtà di Molfetta, lo storico Lorenzo Palumbo, con il suo acume innato e l’ironia corrosiva, il critico Antonio Balsamo, dantista appassionato e interprete dotato di “acuta sensibilità” estetica. Novelle, recensioni di libri, spettacoli, mostre, cataloghi, incursioni storiche, persino gergari connessi alle tradizioni popolari. Anche in merito a quest’ultime, “Quindici” ha spesso assunto posizioni scomode, segnalando lo scempio di una Madonna dei Martiri “affumicata di carne di maiale e di salsicce” o di una processione dei Misteri talora ridotta a mera “sagra del pizzarello” e consumatasi nell’irrisione di un clima di devozione che, nel secolo scorso e nello scorcio del nuovo millennio, ha ispirato artisti, poeti e prosatori, rappresentando un fiore all’occhiello della nostra Molfetta. Città che, pur godendo di bellezze architettoniche e di siti suggestivi, non riesce a configurarsi quale meta di turismo anche - e forse soprattutto - per la scarsa lungimiranza e cura dei suoi abitanti. In un continuo rinsaldarsi di microstoria e macrostoria e con costanti riferimenti al contesto nazionale e internazionale, “Quindici” comparava l’avanzata di Forza Italia a livello nazionale con ciò che accadeva per le vie del borgo pugliese. Valutava gli effetti della riforma Gelmini nelle sovraffollate aule degli istituti secondari molfettesi. Con i suoi “affondi”, gli inviti a combattere l’astensionismo e a credere che Molfetta possa riappropriarsi di Molfetta, in virtù di un - forse utopico - ritorno a una “politica di qualità”, “Quindici” ha smosso l’aria e suscitato consensi e aspre critiche. E dopo vent’anni è ancora qui, perché continua a credere nella “scommessa della democrazia”.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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