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Sguardi dal Mediterraneo Una mostra di Gianluca Nibbi
15 settembre 2002

Gli sguardi dei bambini extracomunitari possono essere più espressivi di tanti discorsi autoreferenziali specie se nei loro occhi è presente una domanda muta e dolorosa. L'impatto emotivo che producono le grandi tele di Gianluca Nibbi, giovane artista torinese, deriva forse dai soggetti che predilige: volti di volti di immigrati africani ,in cui si concentrano dolore e speranza che ci proiettano con la loro forza espressiva fra i popoli del terzo mondo, fra i diseredati che bussano alle porte dell'Occidente in cerca di accoglienza e di lavoro. La mostra di questo allievo della Accademia Albertina di Torino, allestita dal 19 luglio al 4 agosto nello spazio di Via S. Orsola e organizzata dall'Associazione culturale Mediterranea, è intitolata “Sguardi”. Con questa iniziativa riparte l'attività espositiva dell'associazione che ha già realizzato in città la mostra dell'egiziano Fatihi Hassan, e, assieme alle istituzioni politiche e culturali albanesi, “Radio Tirana Fax”. Nibbi proviene da una città densa di contraddizioni dove alla crisi della Fiat, azienda che ha dato lavoro a migliaia di emigrati in cerca di lavoro dagli anni '60 in poi, fa riscontro la presenza di comunità sempre più folte di extracomunitari concentrate nella zona di Porta Palazzo a testimoniare la crisi irreversibile di un modello di sviluppo che esclude tre quarti dell'umanità della partecipazione al benessere. Il lavoro di questo artista si colloca con coerenza e forza espressiva all'interno del progetto dell'associazione Mediterranea, nata nel 1999 con l'intento di creare a Molfetta un luogo di incontro interculturale tra i linguaggi artistici dei popoli del Mediterraneo; Nibbi sceglie un linguaggio pittorico di tipo figurativo e realistico che ci catapulta nel terzo mondo, attraverso la raffigurazione della realtà sociale degli immigrati nordafricani e di “un mondo denso di umanità emarginata, nel fango viscido e nello stesso tempo odoroso di cous cous”, così lo definisce, nella presentazione,il curatore della mostra e presidente dell'associazione Mediterranea, l'artista Gaetano Grillo. Volti immensi, spesso infantili, a volte sorridenti, ci vengono incontro, irrompono nelle tele grezze di juta senza cornice, dipinte con ampie pennellate e intrise dei colori dell'Africa: la terra bruciata, il nero, l'ocra. L'artista sostiene che la sua ricerca parte dalla volontà di liberare la realtà dalle sovrastrutture culturali e da una sorta di “falsa coscienza”, spessore che impedisce di individuarne le contraddizioni materiali ed il dolore umano di cui è intrisa: la sua tensione a cogliere quella che egli chiama “l'essenza delle cose”, richiama un po' il motto della Fenomenologia, “Zu den Sachen selbst (Andare alle cose stesse)” ; non a caso il criticismo fenomenologico esprimeva la crisi della cultura borghese mitteleuropea e l'intenzione di conferire uno statuto radicalmente critico al pensiero. Così si possono cogliere, nel conversare con Gianluca della sua scelta di una pittura che egli stesso definisce di denuncia, le tracce di una poetica più avvertita con intensità emotiva che frutto di una scelta teorica consapevole. Il realismo esasperato e la predilezione per il gigantismo delle immagini fanno venire in mente le foto denuncia di Oliviero Toscani e suggeriscono l'idea di una pittura contaminata dalla fotografia. Le situazioni, le forme e i volti rappresentati nelle sue grandi tele irrompono nella tranquillità pacificata della nostra coscienza, quasi a segnalare la necessità e l'urgenza di un nuovo “engagemen”t dell'artista nei confronti di questo mondo, suggerendo che l'arte può anche essere strumento critico. E' legittimo che sorga qualche perplessità circa l'immediata utilità sociale dell'arte a cui Gianluca accenna, con un sorriso timido, esprimendo, da un lato, la stanchezza nei confronti del linguaggio cerebrale e del formalismo dell'arte contemporanea, dall'altro, la freschezza di uno sguardo che vorrebbe cogliere negli occhi di quei bambini dai sorrisi abbaglianti, l'irrappresentabile della coscienza, il “rimosso” dall'ordine simbolico; è importante, d'altra parte, riconoscere che, dopo l'autoreferenzialità dell'arte degli ultimi decenni,un ritorno alla riflessione sui contenuti sociali ed umani dell'arte e sui suoi mezzi espressivi appare una traccia interessante e ricca di futuri sviluppi. Altra rassegna interessante, sempre negli stessi spazi di Via S. Orsola, è stata la personale di Paolo Lunanova dal titolo colour society. Rossana de Gennaro
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