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Salvemini e la pietà per i ragazzi in guerra
15 settembre 2017

Benché fosse un interventista, più precisamente un interventista democratico ispirato dai valori risorgimentali e dal principio di nazionalità di Mazzini, Gaetano Salvemini non sottovalutava la tragedia degli smisurati sacrifici umani causati dalla Grande Guerra. Infatti, prima di andare volontario in trincea, lo storico lavorò presso l’Ufficio Notizie di Bologna, occupandosi del controllo e della comunicazione dei decessi in guerra alle famiglie dei militari. Inevitabilmente, l’enorme numero di caduti di cui venne a conoscenza in un breve lasso di tempo lo turbò fortemente a livello emotivo e gli instillò un dubbio atroce sulla liceità dell’interventismo, procurandogli una gran pena. Confidandosi col discepolo Pietro Silva, il 30 luglio 1915 da Firenze Salvemini gli rivelò: «Vi sono momenti, in cui mi sento preso dal dubbio, dinanzi a tanto dolore umano, se non era preferibile accettare il dolore della tirannìa tedesca a quello che nasce da tanta strage. E se non ci fosse in me qualcosa che si ribella alla servitù invincibilmente, e pone la giustizia e la libertà al di sopra della vita, ti confesso che mi pentirei di aver voluta la guerra. Stando a Bologna, si vede passare sotto gli occhi tanto dolore che il cuore non regge alla prova». Fin dove gli fu possibile, Salvemini cercò sempre di aiutare quanti si trovassero al fronte, soprattutto i giovani. Leggendo le sue lettere del periodo bellico, lo sguardo cade sul diciannovenne molfettese Giuseppe Nisio, nell’agosto del 1917 impegnato nell’undicesima battaglia dell’Isonzo nei combattimenti a Castagnevizza del Carso (Kostanjevica na Krasu, in Slovenia), un villaggio che aveva segnato il punto più estremo dell’avanzata italiana a est sull’altopiano carsico dopo la nona e la decima battaglia dell’Isonzo. Giuseppe Nisio era nato a Molfetta il 24 agosto 1898. Era figlio di Felicia Calò e di Girolamo Nisio, professore di matematica nel ginnasio cittadino, sostenitore di Salvemini nelle elezioni del 1913 e assessore nell’amministrazione salveminiana capitanata dal medico Graziano Poli. Giuseppe Nisio era un aspirante ufficiale del 154° reggimento di fanteria al comando del colonnello Raffaello Reghini, che verrà decorato con l’Ordine militare di Savoia per la conquista della Montagnola di Castagnevizza. Il 154° col 153° reggimento formava la brigata “Novara”, la quale era allora agli ordini del colonnello brigadiere Alberto Bonzani e alle dipendenze della 4a divisione. Il 19 agosto 1917 la brigata “Novara” e il 3° reggimento bersaglieri occuparono la Montagnola e la prima linea ad ovest di Castagnevizza. La reazione austro-ungarica fu violentissima, con rovinosi tiri d’artiglieria, micidiali raffiche di mitragliatrice e pronti contrattacchi, e rallentò tanto l’avanzata delle truppe italiane, che alle ore 22 dello stesso giorno la 4a divisione dovette ripiegare sulle linee di partenza. Il 20 agosto all’una e 15 minuti, con l’uso di proietti d’artiglieria caricati a gas lacrimogeno, iniziò un violento contrattacco austro-ungarico, ma fu rigettato dalla difesa italiana. Alle ore 12, investiti dal fuoco letale dell’artiglieria e delle mitragliatrici austro-ungariche, i reparti italiani replicarono l’assalto alle quote tenute dai nemici e mantennero le posizioni raggiunte sotto la Montagnola con grave sacrificio di uomini. Il 21 agosto, per l’intenso tiro di artiglieria e i caparbi contrattacchi austriaci, le truppe della 4° divisione non poterono più sostenersi sulle posizioni raggiunte così sanguinosamente e la brigata “Novara”, allora, rientrò sulla linea di osservazione nemica. Il 24 agosto la brigata si raccolse a Sagrado e il 25 fu inviata a Romans alle dipendenze della 16a divisione. Rimasto ferito il 23 agosto, Giuseppe Nisio fu ricoverato nell’Ospedale Contumaciale di tappa di Palmanova, in Friuli-Venezia Giulia, troppo vicino al fronte per poter aprire le porte ai parenti desiderosi di visitare i propri cari lì ricoverati. Per superare questo ostacolo, Girolamo Nisio interpellò Salvemini, che, considerata anche la giovanissima età dell’allievo ufficiale molfettese, non rimase né indifferente né inerte. Difatti, mosso da un sentimento di empatia, si rivolse al suo amico Ugo Ojetti, giornalista e critico letterario e artistico, partito volontario per la guerra, inizialmente col grado di sottotenente del Genio militare, e poi divenuto presidente della Commissione istituita presso il Comando Supremo Italiano in Udine per la protezione dei monumenti e delle opere d’arte. A due giorni dallo sfondamento austrotedesco davanti a Tolmino e a Plezzo, cioè a due giorni dall’inizio della battaglia di Caporetto, che ancora non si era rivelata in tutta la sua catastrofica gravità, Salvemini il 26 ottobre 1917 inviò da Firenze all’amico scrittore questa lettera: «Caro Ojetti, all’ospedale di tappa di Palmanova, reparto chirurgia, si trova da circa 50 giorni, un giovanetto, 18 anni!, di Molfetta, Giuseppe Nisio di Gerolamo, aspirante del 154° fanteria. Si è battuto a Castagnevizza dal 19 al 23 agosto. Desidererebbe ardentemente andare in un ospedale territoriale, dove potesse vedere la famiglia. È un bambino ancora! Soddisfarlo in questo desiderio, è averlo volenteroso nel servizio, quando lo riprenderà. Se lo si mandava in un ospedale territoriale un mese fa, sarebbero stati 30 giorni di serenità e di contentezza per quel ragazzo. Puoi tu dire una parola, o farla dire all’ospedale, perché la spedizione avvenga? Mi pare che sia un affare di buon senso e di umanità. Perciò la cosa dovrebbe andare da sé, senza bisogno di “raccomandazioni”; ma il mondo è fatto così. Se fosse necessario o utile, vorresti pregare a mio nome, a questo scopo, anche Semeria?» Il barnabita Giovanni Semeria, con cui Salvemini si manteneva in amicizia, era cappellano del Comando Supremo in Udine e certamente, interpellato, avrebbe offerto la sua collaborazione. Ma intanto gli eventi precipitavano paurosamente. Il 24 ottobre il fronte italiano era crollato nella conca di Caporetto. Il 25 la Camera aveva negato la fiducia al governo con 314 voti contrari e 96 a favore del ministero. Il 26 ottobre il primo ministro Paolo Boselli aveva rassegnato le dimissioni. Il 27 ottobre, con evidente ritardo, il generale Luigi Cadorna si decise a ordinare un graduale arretramento delle truppe italiane sulla linea difensiva alla destra del fiume Tagliamento. Col deterioramento della situazione Cadorna il 4 novembre ordinò la ritirata sulla linea Piave-Monte Grappa- Altipiani. Intanto il 27 ottobre gli austro-tedeschi avevano occupato Cividale e il 28 ottobre erano entrati in Udine, sede del quartier generale italiano, che si trasferì frettolosamente a Padova, mentre Cadorna con i suoi più stretti collaboratori si fermò a Treviso. In questa terribile confusione non sappiamo nemmeno se il maggiore Ojetti sia riuscito a fare qualcosa per Giuseppe Nisio, tanto più che l’ospedale di tappa di Palmanova fu evacuato. La stessa città il 28 era avvolta dalle fiamme e dal fumo, perché il comando italiano aveva dato ordine di incendiare i depositi di viveri, approvvigionamenti, vestiario, riserve di foraggi e di paglia. Il grande rogo durò diversi giorni. Vennero distrutti quasi tutti gli edifici pubblici, i depositi, le caserme e le case private di Palmanova. Nonostante tutte le traversie, Giuseppe Nisio riuscì a salvarsi, a guarire e a diventare ufficiale. Infatti, ormai laureato in medicina, il 6 agosto 1923 si troverà, col grado di tenente, insieme alle autorità e ad altri ufficiali a rendere onore al corteo con i resti del capitano Domenico Picca, del caporal maggiore Tommaso Murolo e dei soldati Mauro Mezzina e Bartolomeo De Gennaro caduti nella Grande Guerra e trasportati in treno dal Nord a Molfetta. Specializzatosi in urologia, Nisio negli anni seguenti sarà uno degli assistenti del prof. Nicola Leotta, direttore della Clinica chirurgica generale della neonata Regia Università Adriatica “Benito Mussolini” di Bari. Forte della sua preparazione, Nisio darà alle stampe con l’editore Cappelli di Bologna nel 1927 la monografia Il pneumorene e nel 1932 lo studio La diagnosi della tubercolosi renale, nell’infanzia e negli adulti, senza cateterismo degli ureteri. In tal modo l’anno dopo figurerà tra i collaboratori effettivi della Sezione Prati-di Roma. Con ogni probabilità tra il 1930 e il 1934 sarà lui a commissionare al grande artista molfettese Filippo Cifariello l’Allegoria della Fortuna con caducèo, un gruppo scultoreo di cm 275x65x65 in gesso patinato con base di legno abbellita da due teste femminili in bronzo, da alcuni anni conservato nella Pinacoteca “Corrado Giaquinto” di Bari per volontà a suo tempo espressa da Domenica Lacava, vedova di Nisio. Se è quasi certo che il committente dell’Allegoria della Fortuna con caducèo fu proprio il medico di Molfetta, mi piace credere che Nisio avesse voluto rendere un tributo di omaggio alla buona sorte avuta nella prima guerra mondiale e agli inizi della sua carriera professionale, che più tardi lo vedrà ricoprire a Bari, anche e specialmente per i suoi meriti, la cattedra universitaria presso il Dipartimento urologico. Non a caso a lui si deve il Trattato di traumatologia infortunistica dell’apparato urinario pubblicato nel 1940 a Roma dall’editore Luigi Pozzi, a cui vanno aggiunti almeno i contributi Su alcune malformazioni uretrali (Atti della Società italiana di Urologia, Torino, 1951), Ematurie con particolare riguardo a quelle cosiddette essenziali, relazione ufficiale al Congresso della Società di Urologia dell’Italia centro-meridionale e delle isole, tenutosi a Bari dal 25 al 27 giugno 1961, e Il cancro della prostata, comunicazione al 35° Congresso nazionale di Urologia (ottobre 1962), scritto in collaborazione con alcuni suoi colleghi. Salvemini, soprattutto dopo il terremoto di Messina del 1908, nel quale aveva perso la moglie, una sorella e i suoi cinque figlioletti, era molto sensibile ai bambini e ai giovani. Perciò quella lettera di raccomandazione del ’17, rinvenuta dal suo discepolo e biografo Enzo Tagliacozzo nell’Archivio Salvemini di Roma, rimane un documento significativo della sua paterna pietà e della sua intensa sollecitudine per un ragazzo in difficoltà, che con grande sensibilità d’animo volle aiutare, mentre nella sciagura di Messina nulla purtroppo aveva potuto fare per i suoi diletti bambini, la moglie e la sorella.

Autore: Marco Ignazio de Santis
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