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Presidio del libro di Molfetta: L'acqua da risorsa a merce Presentazione del nuovo libro di Giuseppe Altamore, vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, sul tema del commercio dell'acqua e delle nuove iniziative di privatizzazione
17 aprile 2007

MOLFETTA - Si discusso di acqua, ieri, in una dell'iniziative del Presidio del Libro di Molfetta, risorsa energetica e bene comune che, sempre di più negli ultimi anni, si sta trasformando in un prodotto commerciale a causa degli interessi che girano attorno al mercato delle acque minerali. A svelare gli intrighi e gli scandali di un commercio sconosciuto ai più, Giuseppe Altamore, scrittore e vicecaporedattore di “Famiglia Cristiana”, il quale ha presentato il suo nuovo libro sull'argomento: “Acqua S.p.a. Dall'oro nero all'oro blu”, ha coordinato l'incontro Antonello Mastantuoni, responsabile del Presidio. Secondo l'indagine dello scrittore il consumo italiano pro-capite di acqua minerale negli anni Ottanta era di circa 80 l, mentre oggi è salito a circa 150. Una crescita esponenziale e poco necessaria, dal momento che l'80% delle acque potabili italiane proviene da sorgenti e falde acquifere (mentre solo il 20% da laghi e paludi), e che ha portato l'Italia ad essere la prima nazione in Europa, la terza nel mondo, per il consumo di acqua minerale Perché allora consumare tanto nell'acquisto di acqua minerale quando si potrebbe utilizzare l'acqua che esce ogni giorno dai nostri rubinetti? La risposta a questa domanda, ci spiega lo scrittore Altamore, sta nell'incredibile fatturato prodotto dal mercato delle acque minerali, pari a 3 miliardi di euro all'anno, una cifra enorme se si pensa che il bilancio relativo alla fruizione di acqua potabile ammonta ad un guadagno di 5 miliardi di euro annui. Quello delle acque minerali è solo uno degli aspetti del problema, ritornando alla questione del sistema di gestione delle acque potabili, Giuseppe Altamore si è soffermato sulle nuova ondata di privatizzazione degli acquedotti italiani aperta dalla legge Galli del 1994 che, legittimando la possibilità di cedere a privati la gestione delle acque pubbliche, ha incentivato un atteggiamento politico che guarda all'acqua non più come ad una risorsa da mettere a disposizione del pubblico a seconda delle esigenze, ma come ad un prodotto di mercato soggetto, come tutti gli altri, alle leggi del profitto. Basti pensare che dal 1997 al 2003 gli acquedotti trasformati in S.p.a. sono passati da 57 a 70. A questo proposito nasce nel 1996 a Lisbona il Contratto Mondiale dell'Acqua, un'iniziativa di respiro europeo che si propone di dibattere della questione della privatizzazione dell'acqua e di trovare una soluzione che tenda a mettere le esigenze dei paesi al primo posto rispetto alle logiche di guadagno delle S.p.a. Anche in Italia è in corso, negli ultimi anni, un dibattito che ruota intorno alla questione: cosa fare dell'acqua? Lasciarla nelle mani dei privati, che per i loro finanziamenti otterrebbero il 7% dei profitti, continua Altamore, significherebbe abbandonarla alle dinamiche di mercato; renderla definitivamente bene pubblico permetterebbe una possibilità di decisione e intervento più ampia da parte dei cittadini. “Il problema dell'acqua – conclude lo scrittore – è prima di tutto un problema politico, e un modo per riproporre un dibattito comune sui mezzi di gestione e sfruttamento di tutte le nostre risorse energetiche che sempre di più, anziché essere messe a disposizione dei bisogni del paese, diventano merci del mercato moderno con tutto ciò che dopo ne consegue”.
Autore: Giovanna Bellifemine
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