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Partito Democratico, cosa pensa la base INCHIESTA
15 maggio 2007

Il segretario diessino, Mino Salvemini, entra nella sede del suo partito, alla prima riunione dopo il congresso nazionale che ha deciso lo scioglimento dei Ds, in vista della nascita del Partito Democratico, sventolando dei fogli; non il testo di una mozione o un documento politico, solo l'avviso di sfratto dai locali di Via Adele Cairoli, esecutivo nel settembre 2008. “E che ci importa? - è la replica unanime degli iscritti - per allora la sede non servirà più, ne avremo una unica con la Margherita”. Dove, come, perché, con chi, beh, quello non è ancora chiaro. È un po' strano visto dalle sedi cittadine il dopo congressi nazionali o, se si vuole, il processo che dovrebbe portare entro un anno alla nascita del Partito Democratico. In quella dei Democratici di Sinistra la sola certezza è lo sfratto, per il resto un po' di smarrimento, come se ci fosse ancora da assorbire il colpo di veder spartire un partito in cui qualcuno milita da decenni. A dir la verità ne mostra poca il segretario, Mino Salvemini, che fa leva sul suo ruolo di consigliere comunale: “A Molfetta abbiamo già una situazione in cui le rappresentanze istituzionali di Margherita e Ds agiscono in perfetta sintonia di vedute; nell'azione consigliare si è già consolidato un approccio unitario”. Alla domanda se non tema di perdere la propria identità politica, risponde: “La vita dell'essere umano è fatta di paure; questo timore c'era, ma a seguito del congresso nazionale si è in buona parte disciolto”. E sì, perché se lo chiedono i diessini, che siano o no stati ex comunisti: non è che tocca a noi e solo a noi a dover cancellare la nostra storia, quello che siamo stati, le certezze ed i punti di riferimento, e doverci trasformare al punto tale che forse non potremo più riconoscere la nostra identità politica? E se è così è, come si può andare verso il Partito Democratico? Tanto che ci sono quelli che hanno già deciso che no, la loro militanza nel Pci, Pds, Ds finisce qui, ad esempio un uomo importante per la presenza del partito a Molfetta, Gianfranco Cormio: “Vado via, non condivido questo processo; già accettai a fatica il passaggio dal Pci al Pds, poi siamo diventati Ds, ora democristiani. Perché non è la Margherita che da democristiana diventa comunista, ma noi che da comunisti ci trasformiamo ora in democristiani e io non ci sto”. Checché se ne dica a livello nazionale, qui a Molfetta la percezione è che viene chiesto ai diessini il sacrificio più grosso, anche perché la Margherita è un partito recente, nato dall'intreccio e a volte dal semplice giustapporsi di storie politiche differenti, c'è meno difficoltà a rimescolare tutto e compiere una svolta, soprattutto visto che - si tratta di percezione dell'una e dell'altra parte - sono i diessini a diventare moderati come gli esponenti della Margherita e non viceversa. La getta lì come battuta, il democristiano mai pentito, ora Margherita, ex candidato sindaco del centrosinistra, Lillino Di Gioia; alla domanda se non tema di perdere la sua identità nel nuovo PD, risponde, con il sorrisetto del gatto che ha appena ingoiato il canarino: “Diciamo che è migliorata; stiamo portando gli altri sull'identità democristiana”. Nino Sallustio, consigliere comunale della Margherita, assai soddisfatto del processo in atto, si fa forte della sua storia politica personale e dichiara, pronto prontissimo a prendere la nuova tessera: “La stragrande maggioranza di chi ha votato Ulivo era già molto più avanti rispetto ai vertici dei partiti e poi a Molfetta dove dovrebbe essere la difficoltà di mettere assieme i riformisti e i democratici moderni, noi che abbiamo fatto l'esperienza del Percorso, dei Progressisti, della Convenzione democratica, dei Democratici, che ci siamo già mescolati mille volte?”. Nella sede della Margherita, a quanto abbiamo potuto constatare, non se ne trova uno che abbia dubbi e incertezze sulla nascita della nuova formazione. Quel che è scontato per alcuni, non lo è affatto per altri, pure per motivazioni differenti. Peppino Panunzio, che dei Ds è stato anche segretario cittadino, ha votato per la mozione Mussi in quello che per lui sarà a tutti gli effetti l'ultimo congresso: “Sono fuori dal partito, non mi riconosco in questo processo”. E alla domanda su cosa intende fare, replica: “Non so, ci penserò, mi guarderò attorno, mica è detto che strappata una tessera se ne debba prendere immediatamente un'altra”. Corrado Lisena, invece, ai Ds è approdato recentemente, entrando in lista nelle ultime amministrative, ma non seguirà il partito verso il PD: “Dico no al Partito Democratico, tengo alla mia laicità”. C'è anche chi si sente attraversato da una lacerazione, Antonello Mastantuoni ha dato molto ai Ds di Molfetta in tema di elaborazione politica, ha votato per la mozione Angius e alla domanda se prenderà o meno la tessera del PD risponde facendo sfoggio, assieme, della sua ben nota lucidità e dell'altrettanto noto pessimismo: “Il vero problema non è quello della tessera, ma evitare che i partiti restino le cricche autoreferenziali. Non credo nel liberismo. Da una parte vedo un Partito Democratico che si propone di essere un mediatore di lobbies (nel senso neutro di gruppi di interesse) dall'altra un partito ideologico (nel senso neutro di partito che si propone di riformare la società); in mezzo il problema dei beni comuni con l'ardua definizione di “comune” e l'oscillazione semantica fra diritto e bisogno. Usciti da un tunnel ci ritroviamo in una palude…”. Non che fra i Ds manichino gli arciconvinti, i partitodemocraticosì a tutti i costi, quelli che sperano che il PD si apra non solo ai due partiti finora coinvolti, ma a tutti i cittadini, quelli che la loro identità sentono di poterla traghettare intatta anche nella nuova formazioni politica. Pietro Capurso: “Prenderò la tessera, rimango comunista, anche nel PD”. Giovanni Pani affronta la questione da un punto di vista tutto suo: “Beh l'identità, non avendo neanche la carta non mi preoccupo. Avremo qualche comunista di meno e spero la voglia di ragionare di più”. Anche se le posizioni più convinte rimangono quelle che vengon fuori dalla Margherita. Il neo segretario Mimmo Cives: “Quella del Partito Democratico è un'esigenza indifferibile, per eliminare i ruderi di un passato che ci imbriglia e di ci impedisce di costruire una società nuova e ridare alla politica un senso ed una dignità. Dobbiamo ridimensionare l'elemento ideologico, allontanare le posizioni rancorose, eliminare ogni pretesto che impedisca a chi fa politica di pensare ai veri bisogni della gente, alimentati dalla necessità e non dalle ideologie”. Cosa accadrà da domani, beh, quello nessuno lo sa davvero, per Mino Salvemini è un vantaggio che a Molfetta esista l'Associazione per il Partito Democratico che potrà “fare da stimolo nei confronti di Ds e Margherita”. Dopo i congressi nazionali si apre una fase di lavoro in cui a livello locale si dovrà tener conto delle decisioni nazionali e concretizzarle. Ma nessuna direttiva di partito potrà risolvere mai i casi di coscienza e, a quel che ha dimostrato una rapida incursione nelle due sedi di partito, non saranno pochi. Troverà posto nella nuova sede la foto di Enrico Berlinguer che campeggia ora sui muri della sezione Ds? Dove finiranno i volumi marxisti degli Editori Riuniti, già ora relegati, quasi ce ne si vergognasse un poco, in uno scaffale della stanza interna? Si riappenderanno i manifesti di una campagna elettorale preistorica per il Pci? Più facile collocare la grande foglia d'ulivo di cartapesta fatta costruire per delle amministrative di una vita fa, posizionata in un angolo della sede della Margherita, così come si suppone che nessuno abbia da ridire sul trasloco della riproduzione del “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo. Per il resto? Le convinzioni, le storie, soprattutto le diverse idee per la città, le modalità di risposta ai bisogni, beh, per il resto c'è ancora da capire. Così come c'è da chiedersi in quanti faranno ciao con la manina e per andare dove e chi si aggiungerà strada facendo. Nella speranza che di tutto questo logorio ed unire e disunire e cambiare perché tutto non resti come prima, si accorga la città, quella per cui la politica dovrebbe essere fatta.
Autore: Lella Salvemini
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