Ottobre sospeso
Memorie di uno scalpellino
“Era una bella cosa”, pensavo, mentre facevo un cenno di saluto alla fruttivendola appena dopo l’Arco e riprendevo la strada, stringendo fra le mani le chiavi del Laboratorio. Era una bella cosa tornare alla tranquillità, dopo aver riposto i ricordi estivi quasi in un astuccio, riprendendo le attività consuete, il corso normale della vita di cui le vacanze rappresentano un intermezzo insignificante. La mia vita normale mi piace talmente che l’interrompere il ritmo mi dà sempre un senso di apprensione, quasi che potesse succedere di non ritrovarlo più. L’incanto potrebbe svanire; forse non sarebbe più stato possibile di rituffarmi in quella atmosfera. Ma per questa volta, almeno, ero salvo. Il Laboratorio, cordiale e pieno di polvere come sempre, mi appare appena superato la piazzetta. Mentre giravo la chiave nella toppa, compresi improvvisamente perché godevo i miei ottantatré anni tanto più intensamente di quanto non avrei goduto i sessanta. Era la differenza tra l’agosto e l’ottobre, tra la pesantezza del finir dell’estate e la luminosità del primo autunno, tra la conclusione di una fase della vita e l’inizio di un’altra. E’ piacevolissimo, ci si sente sospesi tra l’estate e l’inverno e si assapora quanto di meglio offrono le due stagioni. Entrando nel laboratorio noto alcune pietre scolpite nel corso precedente. Nella penombra sembrano piene di una bellezza nobile e architettonica. E’ in certi momenti che si rovesciano le tasche piene di ricordi degli anni trascorsi e di scambiare le impressioni con due paia d’occhi di nuove alunne. Quella ragazze che non avrei mai pensato che potessero diventare scultrici. Ricordo una delle prime alunne che tra le unghie scarlatte apparve ad un tratto, come un gioco di prestigio, uno scalpello. Con la stessa facilità, avrebbe potuto far comparire una palla di biliardo o un coniglio. E cominciò a battere sulla pietra senza alcuna incertezza. Il suono dello scalpello echeggiò nella strada, un suono millenario, che stupisce al tempo odierno. Leopardi Leopardi c’è ancora qualche elemento da inserire nel tuo villaggio che aspetta di essere scritto. La signora Rosa, che frequenta il corso da anni, ti porgerà la penna. Unisco l’ultimo foglietto agli altri e ne faccio un pacchettino. Su quei fogli ci sono i nomi di tante ragazze che hanno frequentato il laboratorio in diciannove anni. Non posso buttarli via; sono troppo ricchi di memorie. Per quanto vivido sembra il ricordo del passato, non fa male rinfrescare di tanto in tanto la visione. Si è ciò che si ricorda di noi stessi: né più, né meno. Scrivo su un foglio di carta bianca: ottobre 2017. Almeno per quest’anno il laboratorio è salvo.
Antonio de Cesare, scalpellino