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O si cambia o si muore Bisogna fermare la guerra in Ucraina
15 marzo 2023

È passato un anno da quando questa guerra domina i nostri giorni. Le previsione del Paese aggressore si sono rivelate del tutto infondate: questa “operazione militare speciale” doveva durare pochi giorni, invece non si intravede la fine né una via di uscita. La situazione è bloccata, i numeri impietosi, (secondo alcune fonti 400.000 soldati impiegati sui due fronti, 100.000 morti e feriti per parte), il futuro non prevedibile! I potenti della terra hanno iniziato questa guerra ma ora non sanno come farla finire. Mi vengono in mente le parole di don Tonino al rientro da Sarajevo: la speranza del mondo, di questo mondo, affidata al popolo, ai poveri. E’ il popolo che deve ribellarsi alla guerra! Seriamente malato e consapevole che i suoi giorni stavano per finire, Tonino Bello va a Sarajevo. Si riaffacciavano proprio in quei giorni nella nostra Europa, i fantasmi del nazionalismo, della razza, del peso della storia, della pulizia etnica: fantasmi con i quali oggi stiamo facendo drammaticamente i conti e che invece credevamo aver sepolto per sempre. Viviamo giorni bui che ci riportano con il pensiero indietro di un secolo: l’Europa sonnambula del 1914 precipitava, senza piena consapevolezza, verso la triste stagione bellica che per trent’anni seminò morte e distruzione nel mondo. Alle macerie si aggiunse anche lo spettro dell’apocalisse atomica. Così oggi: il pianeta piagato dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, da una pandemia che semina morte, da una guerra che infiamma anche il nostro continente. Come sonnambuli, vaghiamo senza storia, senza memoria: la generazione che ha vissuto gli anni della grande guerra non c’è più e nessuno avverte il dramma che incombe sul nostro pianeta! Viviamo dentro una dannata contraddizione: una terra divisa da più conflitti ma sempre più unita da un comune drammatico destino, quello dell’auto-annientamento globale dell’umanità, determinato dal rischio nucleare e dalla catastrofe ecologica. Siamo dentro ad nuovo paradigma, quello della interdipendenza planetaria che ci dovrebbe portare ad una considerazione nuova: dinnanzi alla guerra non è detto che ci sia un vincitore e un vinto ma tutti potremmo uscire sconfitti per sempre. Lo aveva intuito lo stesso Einstein già nel 1946. E il 23 maggio di quell’anno mandò un messaggio alle autorità degli Stati Uniti per dire che “la liberazione della potenza dell’atomo ha cambiato ogni cosa fuorché il nostro modo di pensare e così noi siamo trascinati verso una catastrofe senza precedenti”. Concetto ribadito dopo l’esplosione sull’atollo di Bikini, nell’oceano pacifico nel 1954, dove fu fatta esplodere una bomba a scopo sperimentale e non per esigenze belliche: l’evento, che provocò non poche conseguenze sull’ambiente, trovò l’occidente indifferente anzi incuriosito, peggio divertito, al punto tale da trarne motivo per chiamare una bella attrice, Rita Hayworth, l’atomica, e dare al suo audace costume da bagno il nome Bikini, associando in maniera assurda la bruttura della guerra alla bellezza del corpo di una donna che quel costume intendeva esaltare. Il 9 luglio dello stesso anno lo scienziato pubblica un Manifesto dove ribadisce che l’atomica sarebbe stata in grado di portare alla “morte universale (ma) gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità”. E conclude: “Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto”. E allora deve essere interesse di tutti fermare la guerra, anzi le guerre, anteporre le ragioni della pace alle ragioni della guerra: lavoriamo tutti per una nuova Europa, che non escluda nessuno, denunciamo il commercio delle armi, aderiamo alla campagna contro le banche armate, promuoviamo l’obiezione fiscale, chiediamo ai nostri politici l’impegno perché lo Stato italiano firmi il trattato di non proliferazione nucleare e abolisca il segreto militare in tema di riarmo e armamenti. Svegliamoci. Non c’è più tempo: o si cambia o si muore.

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