Molfetta città della pace o della guerra?
Caro direttore,
agli ingressi di Molfetta, da dovunque si provenga, campeggia una nobile insegna “Città della pace”. Per la città che ha avuto l'onore di ospitare don Tonino Bello, ed il lutto di vedere un suo sindaco ammazzato da un colpo di fucile, come nel più classico dei film sulla mafia, è sicuramente un dovere proclamarsi “Città della Pace”. Un dovere che deve poi tradursi in un impegno concreto da vivere, per ognuno di noi cittadini e per l'Amministrazione ancora prima.
Ma ultimamente l'idea che quei cartelli campeggino lì tanto per darsi un tono, ma senza dargli un vero valore morale, mi torna in mente sempre più spesso. Come conciliare altrimenti la presenza di un negozio di armi nel centro della città? E come accettare l'idea che la città della pace sia teatro del RAP Camp 2002, cioè dell'esibizione del militarismo travestita da proposta di lavoro?
A chi mi dice che arruolarsi nell'esercito è un modo di lavorare, rispondo che anche con l'impegno per la pace le occasioni di lavoro si sprecano. Come si fa invece a conciliare l'impegno per la pace con l'ospitalità a manifestazioni che centrano la loro essenza sullo scontro con gli altri, sull'uso delle armi, sull'esaltazione della violenza? E il negozio che vende le armi non è un'offesa, ancora prima che al cartello di cui sopra, a tutti coloro che a Molfetta hanno perso la vita per colpa delle armi e di chi le utilizza?
Non è forse il caso che su queste “piccole” discrepanze tra ciò che Molfetta vuole essere e ciò che fa, si centri l'attenzione di tutti quelli che vogliono costruire un nuovo mondo?
Nicolò Visaggio