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Molfetta, celebrato il 25 Aprile. Il sindaco Natalicchio: dobbiamo essere partigiani di cose buone ogni giorno
26 aprile 2014

MOLFETTA - Una festa che unisce, che risveglia le coscienze, che ricorda uno dei momenti più alti ed edificanti della nostra storia nazionale ma anche uno dei più drammatici e difficili: è il 25 aprile, giorno della liberazione del nazi-fascismo che questa mattina è stato celebrato a Molfetta da un corteo capeggiato da tutte le istituzioni cittadine e seguito da  associazioni combattentistiche  e comuni cittadini. 

Vibrante e commosso è stato il discorso del sindaco Paola Natalicchio che ha ricordato l'impegno e il tributo di sangue versato dalla nostra città per l'abbattimento del regime fascista e la costruzione di una Repubblica Democratica. Obbligato quindi, il pensiero a Manfredi Azzarita, coraggioso capo partigiano fucilato dai nazisti alle Fosse Ardeatine e il cui coraggio è stato premiato con il conferimento postumo della medaglia d'oro al valor militare e Pietro Terracina, nostro neo-concittadino(a dicembre il Consiglio comunale gli ha conferito la cittadinanza onoraria) , internato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e quindi testimone diretto della folle e criminale barbarie nazi-fascista.  Ma sono stati anche ricordati, tutti quei concittadini che si sono distinti per spirito democratico e senza calcoli si sono schierati dalla parte della difesa delle libertà. 
Il sindaco ha manifestato l'auspicio che il 25 aprile possa esprimere un significato universale che superi i valichi del tempo e arrivi sino ai giorni nostri e a quelli a venire con immutata forza simbolica:
“ Siamo i partigiani della legalità dello stato sociale, della difesa a denti stretti della scuola pubblica e della sanità pubblica. Siamo gli amici del sindacato e delle lotte per i diritti dei lavoratori ad avere un lavoro e a non morire per questo. Siamo i partigiani della sostenibilità ambientale , perché nessuno sviluppo economico può giustificare l'uso irresponsabile e indiscriminato dei beni comuni.”
Il sindaco è poi intervenuto nella polemica innestata in questi giorni dal prefetto di Pordenone che ha vietato di suonare l'inno della resistenza partigiana, Bella Ciao per evitare turbamento all'ordine pubblico:
“  anche a Molfetta qualcuno mi ha avvicinato e mi ha detto: sindaco ma sei sicura che Bella Ciao la dobbiamo suonare?Cari cittadini della nostra Molfetta piena di storia e storie luminose sono sicura che la dobbiamo suonare Bella Ciao. Sono sicura che dobbiamo restare antifascisti e partigiani di cose buone e sono sicura he il 25 aprile dobbiamo portarcelo addosso 365 giorni all'anno”
Il corteo partito dal comando della polizia municipale ha percorso Via S. Angelo, Corso Dante ed è arrivato in  Villa Comunale dove è stata deposta una corona d'alloro al Monumento ai Caduti. Qui c' è stato il saluto istituzionale del sindaco ed' è  stato suonato appunto il canto simbolo della Resistenza, Bella Ciao. Al corteo, negli anni scorsi, scosso da polemiche e divisioni politiche, hanno partecipato anche esponenti del centrodestra cittadino come Antonello Pisani di Siamo Molfetta e Giacomo Rossiello dirigente provinciale dei Forza Italia. 
© Riproduzione riservata

Autore: Onofrio Bellifemine
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1° Parte. - Vi è troppa gente che non sa ancora come e soprattutto perché il fascismo venne. E' stato detto che il fascismo ottenne il potere (e lo mantenne per oltre vent'anni) più per debolezza altrui che per forza propria. E c'è molto di vero. Così come il neofascismo di oggi ha potuto crescere in misura tragicamente preoccupante più per il “via libera” consesso da certe forze politiche che per propria capacità persuasiva sulla gente. La mancanza di idee-forza, peggio, il vuoto politico viene sempre riempito di iniziative di destra, reazionarie e strangolatrici della libertà. Quando poi queste iniziative sono aiutate da trame internazionali, il pericolo diventa ben maggiore. Per combatterlo è innanzitutto fondamentale la conoscenza della propria storia, poiché siamo figli di essa; ci sono dei filamenti, positivi e negativi, più lunghi di quanto si creda, che corrono attraverso i decenni, attraverso le epoche. Come spiegare che un personaggio come Mussolini, gonfio e squallido ad un tempo, potè in pochi anni compiere le più incredibili giravolte e diventare un capo, anzi un “duce” riverito e osannato non soltanto nel nostro paese, se non spieghiamo anche le condizioni culturali, sociali e politiche nelle quali ciò è potuto accadere? Come fu possibile che Mussolini, sonoramente battuto alle elezioni politiche nell'autunno del 1919, quando i fascisti non ottennero alcun seggio neppure nella roccaforte di Milano, dove pure avevano in lista nomi come Toscanini e Marinetti, tre anni dopo, nell'autunno del 1922 avesse dal re l'incarico di formare il governo? E il parlamento votargli la fiducia? E con una maggioranza schiacciante, 306 sì contro 116 no? (continua)
2° parte. - Se Mussolini eseguì con disinvoltura da saltimbanco balletti politici pieni di clamorosi voltafaccia, numerosi furono gli uomini illustri, le personalità “serie” che passarono con lui, o gli diedero corda, o non lo contrastarono come avrebbero dovuto e potuto. Il fatto è che il fascismo potè andare al potere e governare l'Italia, oltre che approfittando di una serie di circostanze (la paura della rivoluzione sovietica; lo scontento dei combattenti; l'appoggio degli agrari, poi quello della finanza e della grande industria; la diminuzione della forza socialista, con due secessioni e tre partiti operai in concorrenza tra loro; l'indecisione del partito popolare di Sturzo e di De Gasperi; la morte di Benedetto XV e l'avvento di Pio XI che imbrigliò i cattolici democratici e consentì di utilizzare l'Azione cattolica come cuscinetto para-fascista; la fallimentare tattica manovriera di Giolitti; soprattutto l'appoggio del re, auspici le alte gerarchie militari), anche perché non ci fu resistenza nella coscienza generale del paese. Una coscienza che del resto non esisteva essa stessa. E come poteva esistere, con una scuola, una cultura, una pubblicistica medioevale? Quando si dice che la gente era stanca di disordini e di convulsioni sociali, si dice una “falsa verità”. La gente voleva certo tranquillità, lavoro, relazioni sociali regolari, ordinate, senza il pericolo di una rivoltellata o di una bastonatura all'angolo della strada. Ma la verità vera era che la gente era stata “stancata” appositamente, con un crescendo di tensioni e di violenze volute e programmate. Alta borghesia e ceti medi si trovarono d'accordo nell'applaudire le squadracce fasciste che promettevano e, a loro modo, riportavano l'”ordine. E fu il fascismo. Quell'”ordine” di cui si sente ancora parlare e richiesto ai nostri tempi: sarà il “fascismo”? (fine)

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