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Molfetta, celebrato il 1° maggio con corteo provinciale. I sindacati: basta con morti bianche e precariato
02 maggio 2014

MOLFETTA - Chiudere una volta per tutte l'infame stagione delle morti bianche e aprire una nuova fase che possa permettere di dire di no con tutta la forza possibile al lavoro precario, dequalificato e umiliante sempre più spesso unica speranza di sopravvivenza per le nuove generazioni. Sono stati questi i fili conduttori delle celebrazioni per il Primo Maggio svoltosi ieri a Molfetta, che quest'anno hanno avuto una dimensione provinciale. Hanno infatti partecipato al corteo le segreterie baresi dei tre principali sindacati (Cgil-Cisl-Uil) insieme ai sindaci Paola Natalicchio di Molfetta e Michele Abbaticchio di Bitonto. Un'iniziativa per sottolineare la vicinanza del mondo del lavoro alla città di Molfetta, ancora una volta trasformatasi in inquietante simbolo delle morti bianche. Sono infatti passate poche settimane dalla morte di Nicola e Vincenzo Rizzi, i due operai che hanno perso la vita mentre lavoravano presso la nostra zona industriale, e sei anni dalla “strage” della Truck Center, dove morirono cinque operai.

Il corteo, al quale hanno partecipato istituzioni, associazioni e comuni cittadini, partito da piazza Aldo Moro, è giunto in Piazza Municipio. Qui è stato allestito un palco, dal quale è partito un unanime coro di sdegno contro l'inarrestabile degenerazione del mondo del lavoro che sta costringendo intere generazioni a una precarietà, anche esistenziale. E così il tema delle morti bianche al centro della manifestazione provinciale, si è saldato con quello nazionale, della mancanza di un lavoro stabile, qualificato e ben retribuito.

Ad aprire gli interventi il sindaco di Molfetta  Paola Natalicchio: “Questa città non ci sta a diventare la capitale delle morti bianche. Non possiamo e non vogliamo consegnarci alla rassegnazione e alla semplice celebrazione di lutti perché la responsabilità sulla mancata sicurezza è insopportabile. Quindi dobbiamo essere severi, rigidi, insopportabili e diffondere un senso di responsabilità tra datori di lavoro e lavoratori. E penso alla tragedia della Truck Center: è una vergogna che non ci sia ancora una verità”.

Immancabile il riferimento, al dramma occupazionale del nostro paese e all'impotenza degli amministratori locali: “abbiamo molte aspettative verso un governo che ha mostrato sin da subito un piglio risoluto. Ma noi amministratori siamo nell'occhio del ciclone, perché alla fine i cittadini bussano alle nostre porte e ci chiedono assunzioni, lavoro, concorsi e sicurezza di un futuro certo e noi possiamo solo rispondere con le parole pareggio di bilancio, spending review, austerity. Risposte che non condividiamo. Siamo stufi e aspettiamo un segnale chiaro, perché non esiste lavoro senza diritti. Io personalmente vengo da 10 anni di precariato cronico e insopportabile eppure porto avanti una famiglia, come tanti altri italiani. Pensiamo a promuovere una buona occupazione e a non far affogare i nostri figli nel mare dei mancati diritti”.

La piazza applaude convinta e poi si commuove quando prende la parola Maria Perrelli, fidanzata di Francesco Fralonardo, l'operaio della Vebad di Gioia del Colle (un'azienda specializzata nella fabbricazione di contenitori di vetro) morto nell'ottobre del 2013 mentre stava facendo manutenzione a un nastro trasportatore, diventato tutto d'un tratto letale, perché avviatosi improvvisamente.  Il suo è un grido di dolore inconsolabile ma non rassegnato e che diventa un atto d'accusa contro un sistema, quella di una produttività forsennata e senza tutele né diritti, che ormai uccide più di una guerra. Maria ricorda i turni di lavoro massacranti, il personale insufficiente, troppo spesso costretto a svolgere un lavoro per il quale sarebbero serviti il doppio degli operai, e la sua vita adesso stravolta e irrimediabilmente segnata. La piazza si riempie di uno sgomento muto e attonito, che lascia poi lo spazio a un applauso lunghissimo che vuole essere molto di più di un abbraccio sentito e partecipe.

Il sindaco di Bitonto Michele Abbaticchio, invita le istituzioni nazionali a puntare al benessere dei cittadini mettendo al centro la legalità: “dobbiamo educare i cittadini, sempre e comunque alla legalità, al rispetto della sicurezza e all'educare la città nelle strade, nelle piazze, nei quartieri. Che anche questo Primo maggio possa svolgere questa funzione”.

Aldo Pugliese, segretario Uil Bari, sciorina le cifre della crisi: “abbiamo il 50% dei giovani disoccupati, oltre il 90%delle piccole aziende stanno chiudendo i battenti e ogni 2 ore in Italia chiude un'azienda.”. Un vero e proprio bollettino di guerra al quale di può rispondere solo “dicendo basta all'austerity. I 20 anni di berlusconismo hanno disastrato il nostro paese, portandolo al tracollo. Dobbiamo lottare contro povertà, ingiustizie e disuguaglianze, uniti. Solo così potremo dare lavoro ai nostri cittadini”.

Sulla stessa lunghezza d'onda Giovanni Ricciato della Cisl Bari: “tutti i lavoratori devono avere uguali condizioni di tutela e in questo momento non possiamo non pensare anche ai nostri pensionati, spesso, troppo spesso dimenticati”.

Un atto d'accusa contro la cattiva politica, il discorso di Pino Gesmundo della Cgil Bari:

“stamattina siamo qui a gridare la nostra indignazione, a denunciare una politica troppo spesso autoreferenziale, disinteressata, colpevole, rivolta solo agli interessi di partito e distante da fabbriche, disagio, lavoratori. Di qui, da Molfetta, diciamo chiaramente che sulla sicurezza non  si può risparmiare. E' un settore sul quale non sono più tollerabili tagli lineari.”

Un pensiero è andato anche a chi il Primo maggio è costretto a lavoro: “questo è un giorno importante, il giorno dei lavoratori, del lavoro e quindi basta con gli ipermercati aperti perché non è questo il modo per guadagnare di più. Anche loro, gli uomini e le donne che lavorano in queste strutture hanno diritto a restare a casa con i propri cari per festeggiare al meglio questa giornata”.

Sono seguiti gli applausi, la banda ha intonato Bella Caio e si sono ammainate le bandiere, con l'auspicio che qualcosa possa davvero cambiare.

© Riproduzione riservata

Autore: Onofrio Bellifemine
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