Màrturi a Malfetto mio un
Com’è noto, i portolani medievali di area veneta, ma non solo, erano dei quaderni manoscritti che i comandanti o i piloti delle navi portavano con sé come strumenti indispensabili alla navigazione. Essi contenevano una miniera di informazioni su tutto quanto concerneva gli approdi, i tragitti, i riferimenti a terra, i venti, i carichi fiscali, le modalità per la determinazione dei tempi e delle rotte da seguire, le norme da rispettare, le tecniche per i calcoli indispensabili al navigare, le festività, e persino dei dati che a noi potrebbero ora sembrare irrazionali, ma che vanno riferiti alla mentalità del marinaio medievale, quale ad esempio l’elenco dei giorni fortunati e di quelli nefasti. Era sicuramente un tipo di scrittura piuttosto diffuso: si trattava però di oggetti dallo scarso valore intrinseco; una volta che quello d’uso era terminato, magari per affondamento, illeggibilità per le continue aggiunte e correzioni, essi andavano irrimediabilmente perduti. Oggi disponiamo soltanto di una dozzina di questi preziosi manuali, come s’è detto in maggioranza di area veneta, ma non tutti stampati in edizione critica. Va detto che molti sono mutili, altri risultano essere delle copie ampliate o modificate di esemplari precedenti ora perduti. Infine, gli itinerari e le rotte sono in genere quelli militari e commerciali delle flotte veneziane in Mediterraneo, nel Golfo di Guascogna, nella Manica e nelle Fiandre. Nella Biblioteca Civica di Padova è custodito un manoscritto cartaceo con segnatura c.m.17 che l’anonimo redattore ha intitolato “Algune raxion per marineri le quali serano utelle a saver”. Il codice è rilegato su assi di legno con cuoio chiaro ed è in discreto stato di conservazione. Consta di 127 carte di mm. 206x146, vergate da un’unica mano in scrittura mercantesca abbastanza chiara ed equilibrata, con ductus corsivo ma dritto. La datazione, assente nell’originale, può farsi risalire all’ultimo quarto del XV secolo. È stato pubblicato nel 2006 da Poligrafo di Padova, per cura di Ornella Pittarello. Non è possibile in questa sede dilungarsi ulteriormente sulla storia e sul contenuto strettamente tecnico di questo manuale. Quanto all’itinerario, esso comprende l’Adriatico, lo Ionio, l’Egeo, il Mar Nero, il Golfo di Guascogna, l’Irlanda, la Gran Bretagna, le Fiandre. Le rotte esterne a Gibilterra ci ricordano che convogli commerciali veneziani hanno navigato per secoli verso i porti del Nord Europa. La costa pugliese è descritta dalla carta 99 alla 103. E veniamo ora a riportare quanto il nostro marinaio dice della costa molfettese, che è poi lo scopo di queste poche note: “Baxeie a Malfetto sono mia 6; et avanti che tti arivi a Malfetto a un mio troverì una challe nella qual da ponente à una ture chon 2 chaxette e da levantte par una jexia, zoè di Marturi, et vane ardittamentte chon gallia pizzolla per mezo per la via d’un pallo vederì là assotto in aqua che ‘l pallo tè romagna da ponentte, armizatti a quel pallo e l’altro prodixe in tera da levantte, armizattì per quartta per la ristia averà aqua piè 6. E a la jexia dei Marturi a’sovra scritti un porto in palli et è bon luogo el qual tte chonvien partir per mezo el chanal et vane arditamentte raxo i palli da levantte et non t’achostar a la ponta de la jexia di Marturi, la qual jexia à un champagnel per segnal, averà in lo ditto aqua piè 6. Marturi a Malfetto mio un. Lo chognosser de la tera dentro la tera da ponentte vederì champagnelli 2 et un altro più erto et à una pizolla jexietta fuor de la tera, zoè da levantte. Malfetto a Zovenazzo sono mia 5…”. Cerco ora di trascrivere in italiano corrente il veneziano marinaresco medievale, precisando che, non essendo un addetto ai lavori, posso incorrere in alcune imprecisioni. Il testo potrebbe leggersi oggi così: “Da Bisceglie a Molfetta vi sono 6 miglia; un miglio prima di arrivare a Molfetta troverai una piccola insenatura nella quale verso ponente vi è una torre con due piccole case, a levante appare una chiesa, vale a dire quella dei Martiri, e prosegui sicuro con galea piccola, tienti al centro e guarda che il palo che sta infisso in acqua ti rimanga a ponente, ormeggiati a quel palo e ormeggiati di prua a terra a levante per quarta, per i frangenti avrai 6 piedi d’acqua. La chiesa dei detti Martiri ha un porto di pali ed è un luogo sicuro e ti conviene navigare nel mezzo del canale, prosegui sicuro rasentando i pali da levante e non ti avvicinare alla punta della chiesa dei Martiri che ha come riferimento un campanile ed avrai in quel canale 6 piedi d’acqua. Dalla Madonna dei Martiri a Molfetta vi è un miglio. Per individuare l’abitato provenendo da ponente vedrai dentro di esso due campanili ed un altro più alto, e vi è una piccola chiesa fuori dell’abitato a levante. Da Molfetta a Giovinazzo vi sono 5 miglia…” È abbastanza evidente che la prima “challe”, ovvero cala, descritta dal portolano, è quella di San Giacomo, documentata sin dal 1173, che costituì per secoli l’unico porto di Molfetta. In un suo lavoro del 1986, Marco Ignazio de Santis, aveva avvalorato questa ipotesi con due solidi argomenti: innanzitutto essa risultava nel medioevo l’insenatura migliore della costa molfettese; in secondo luogo, oltre ai vicini complessi di S. Filippo e Giacomo e S. Margherita, costituiva lo sbocco naturale degli abitati agricoli dell’immediato retroterra. La seconda cala descritta dovrebbe essere quella immediatamente antistante la vecchia chiesa romanica della Madonna dei Martiri, che dobbiamo immaginare a diretto contatto con l’acqua, magari protetta da un muro angolare rinforzato verso il mare. Per quanto riguarda l’abitato vero e proprio, si segnalano al suo interno due campanili che sono verosimilmente le due torri del Duomo di S. Corrado, ed un altro “più erto”. Questo è un arcano che lascio ai miei amici studiosi, perché personalmente non riesco a svelarlo. Di che campanile si tratta? Tra l’altro, il testo è abbastanza chiaro nel porlo all’interno della terra e non al lato della piccola chiesa sterna di levante, probabilmente S. Francesco, il cui campanile, se mai il testo fosse impreciso, molto difficilmente sarebbe potuto essere più alto dei due del Duomo. Il miglio nautico veneziano dell’epoca corrispondeva a circa 1.230 metri, mentre il piede a 34 cm. Per quanto riguarda la “quarta”, il discorso è più complicato. Semplificando, si può dire che all’epoca la navigazione non era strumentale ma si basava su di una tabella trigonometrica suddivisa in quattro colonne, ognuna composta di otto numeri, che sono il valore della funzione trigonometrica relativa alle otto parti di un quadrante di 90°, che veniva ulteriormente divisa in otto parti, chiamate appunto “quarte”. Ognuna di queste aveva una misura di 11° e 15’ e veniva determinata dalla posizione della nave rispetto agli otto venti principali. Consultando questa tabella era possibile navigare a vela seguendo notte e giorno il vento favorevole, con avanzamento prevalentemente a bordeggio. L’anonimo portolano patavino non è il solo a descrivere le coste pugliesi, compresa quella di Molfetta. Se la “quarta” mi sarà favorevole, non è detto che non possa verificare a breve un mio sospetto, e cioè che il nostro marinaio abbia copiato un codice precedente. Lui poteva, anzi doveva farlo, se avesse avuto dati più numerosi e precisi. Mi sembra però un po’ strano che non se ne sia accorta la curatrice di questa edizione della “Raxion”, che invece non ne parla affatto. Ma di questo… alla prossima puntata!