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Mare di plastica, avanza l'inquinamento. Dibattito alla Fidapa di Molfetta
07 marzo 2015

MOLFETTA – Sprecare fa parte, purtroppo dello stile di vita radicato all’interno della società moderna industrializzata. Sprechi alimentari, sprechi di materie prime, sprechi di energia e sprechi di risorse naturali sono il frutto di comportamenti talmente radicati nel modus vivendi dell’Occidentale più sviluppato tanto da offuscare completamente l’idea che si possa agire e vivere diversamente in armonia e nel pieno rispetto dell’ambiente.

Ma qualcosa, anche se con estrema lentezza, sta cambiando. Già nel lontano 1997 qualcosa fu fatto. Con il decreto Ronchi, al fine di promuovere una gestione sostenibile dei rifiuti, fu introdotta la strategia delle “5 R”: riduzione, riuso, riciclo, raccolta e recupero. Tali concetti sono oggi più che mai attuali soprattutto alla luce della direttiva 2008/98/CE attraverso cui l’Unione Europea si è data l’obiettivo di diventare una “società del riciclaggio con un alto livello di efficienza” cercando di limitare la produzione di rifiuti, utilizzandoli come risorse al fine di raggiungere entro il 2020 una crescita della pratica del recupero pari al 50%.
Da questa presa di coscienza è stato dato avvio all'iniziativa “Recupero, riciclo, riuso” organizzata dalla Fidapa Molfetta nell'ambito del progetto “Itinerari al Femminile 2015” (vedi foto). Per l’occasione, all’interno della suggestiva location della Sala dei Templari di Molfetta, è stata allestita una mostra che sarà visitabile sino al 15 marzo e i cui protagonisti sono complementi d’arredo, opere d’arte, abiti, gioielli realizzati interamente con materiali riciclati e recuperati grazie un paziente lavoro di assemblaggio e restauro. Sono esposte opere di: Mari Diolini affermata jewels designer di MissMayd Jewels che porta il made in Puglia nel mondo, per l'occasione ha realizzato un gioiello speciale; la giovane di talentuosa Stefania Spaccavento di SFY con le sue creazioni legate all'eco design, elegante ed essenziale; gli alunni del I.T. S.S. “A. Vespucci” di Molfetta che hanno realizzato degli abiti originali con tessuti e altri materiali recuperati dando vita ad abiti originali e di gusto; le sculture della nota artista barese Mariangela Ruccia; le opere d'arte nate dal recupero di Gennaro Corcella (Barletta), il recupero ed il restauro attento ed accurato di antiche opere d'arte di Beppe Paparella, Domenico di Pinto, Pietro Modugno e Gianluca Resta; il riciclo creativo di Carmela de Dato

Inoltre ad animare il vernissage, una serie di incontri tematici. Il primo si è svolto alla presenza dell'archeologa Alessia Amato che ha dialogato con il dott. Nicolò Carmineo, docente di Diritto della Navigazione e dei Trasporti all’Università di Bari nonché autore del libro “Come è profondo il mare” (foto). Un titolo assolutamente profetico e poetico che fa da entrée ad un racconto che se per un verso rappresenta una vera e propria dichiarazione d’amore verso l’ambiente marino, d’altra parte sottolinea la preoccupazione per il dilagare di agenti infestanti come la plastica, il mercurio e il tritolo all’interno di un elemento naturale che dovrebbe rimanere inalterato e fonte rigeneratrice di vita. Difatti per Carmineo, «il mare è uno dei maggiori valori della vita, è il senso del tempo che passa e il mezzo per la riconciliazione con la natura. È un bisogno irrinunciabile che rappresenta per l’uomo il richiamo all’identità e alla propria memoria di specie attraverso la suggestione dei colori, dei suoni e degli odori prodotti».

Un attaccamento che si consolida dopo una regata dalla California alle Hawai in compagnia di Charles Moore, uno dei vari personaggi descritti nel libro e dunque coinvolti nello studio dell'inquinamento da plastica dei mari. Difatti, Moore – un atipico falegname sessantenne, laureato a Yale e destinatario di una eredità che fatica ad accettare perché lasciatagli dal nonno ex petroliere – decide di sposare la “causa della plastica”, arrivando a scoprire il Great Pacific Garbage Patch. Si tratta della prima delle cinque isole (due nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’Oceano Indiano) scoperte nei primi anni Sessanta e sviluppatesi a ritmi sostenuti nei decenni successivi. Sono le cosiddette “zone di convergenza”, un agglomerato di lattine, boe, galleggianti, cassette, lampadine e sacchetti della spazzatura.
Non mancano, però, anche gli scarti di chi i mari solca e da essi trae profitto: reti da pesca, cime, prodotti smarriti dalle navi mercantili. Reperti destinati a non scomparire mai del tutto. Così, in meno di cinquant’anni, oggetti di così largo uso hanno creato un continente artificiale destinato a rimanere in natura per sempre, rischi compresi. I pezzetti di plastica funzionano come una spugna: si caricano di veleni e si infilano nella catena alimentare, per arrivare fino all’uomo.
Inoltre, secondo una stima di Carmineo, dal fenomeno è tutt’altro che protetto il mar Mediterraneo, dove «in media si trovano 115mila particelle di plastica per chilometro quadrato: ciò vuol dire che ce ne sono all’incirca 290 miliardi nei primi quindici centimetri di acqua, in una fascia delicata per la riproduzione e l’alimentazione dell’ecosistema marino».
E allora cosa fare per arginare e cercare in futuro di debellare il più possibile tale fenomeno? A detta dell’autore bisognerebbe in primis adoperarsi affinché la pratica del riciclo prenda sempre più piede magari con un aiuto concreto da parte delle istituzioni. Inoltre sarebbe anche opportuno modificare la scala dei valori di ciascuno, cercando di evitare gli sprechi.
Insomma, la sfida sta nella capacità, oggi più che mai, di inventarsi una nuova economia che includa la natura al fine di introdurre come fosse una normale routine, un modo di vivere che possa definirsi sostenibile.

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Autore: Angelica Vecchio
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