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Malvina e il destino Il racconto
15 febbraio 2023

La donna camminava a passi affrettati e senza ombrello, sotto la pioggia fitta. La sua figura alta dal largo cappotto scuro, passava, quasi sfidando la pioggia, accanto alle vetrine appannate dei negozi di quella via del centro che, in quel tardo pomeriggio invernale, sembrava deserto. Un marinaio passandole accanto la urtò volontariamente e le mormorò qualcosa ma ella non udì perché si infilò subito in un vicolo cieco che terminava in un vecchio edificio. Entrò decisa per una porta di servizio e, pratica dell’ambiente, salì una rampa di scale strette e buie e si trovò in una corsia silenziosa e scarsamente illuminata da un globo di vetro opaco. In fondo alla corsia, un gran Crocifisso di legno scuro e di lì si mosse una giovane suora che si era raccolta per un momento di adorazione. La giovane suora arrivata da poco, incontrò Malvina e accennò un saluto, ma la donna non se ne avvide nemmeno, assorta com’era nei suoi pensieri. La suora si volse indietro a guardarla allontanarsi ed entrare poi nello studio del primario dell’Ospedale. Malvina era alta, magra, con gli zigomi sporgenti, le guance incavate, un grosso neo su una di esse, truccata solo sulle labbra, con i capelli castani lasciati sciolti sulle spalle. Dimostrava circa trent’anni. Quello però che aveva fatto pensare alla suora in un primo momento di trovarsi difronte ad una allucinazione, erano gli occhi: non molto grandi, grigi e un po’ torbidi, dai riflessi metallici, ed essi davano alla figura quell’aspetto allucinato e drammatico che impressionava. Prima di entrare nella stanza del primario, Malvina sostò un momento appoggiata alla maniglia: una ridda di pensieri le si affollava nel cervello. Non aveva paura di quello che il medico le avrebbe detto, era convinta che per lei non ci sarebbe stata pietà. Da quando aveva lasciato l’ospedale dov’era infermiera per seguire l’uomo che l’aveva conquistata, il dottore giovane, non aveva avuto requie. Del resto era giusto che fosse così. Sempre in cerca di lavoro, poi la malattia di lui, ed ora le tornavano in mente le sue parole, le battevano nel cervello: “Giura Mal: o la vita o la morte per mano tua”, e lei aveva giurato. Aprì la porta e stette davanti al medico senza dire una sillaba. Egli le si avvicinò paterno e pieno di comprensione. Le batté una mano sulla spalla: “Coraggio, Malvina. La lastra è stata sviluppata… – lei continuava a non dire sillaba, ma lo divorava con gli occhi, seguendo le sue parole che le cadevano nel cervello e nel cuore, senza dapprima capirle perfettamente – Coraggio Malvina, a te non posso mentire, sei infermiera, e del resto sarebbe inutile: non c’è più niente da fare. Non so per quanto ne avrà ma so che soffrirà molto. Mi dispiace, Malvina”. Ella non urlò, non disse nulla solo si voltò lentamente e uscì senza un saluto. Quando entrò nella sua stanza egli era solo perché dormiva. Era abbastanza tranquillo. “… Sono medico… Non mi si potrebbe ingannare sulla natura del mio male…”. Lo guardò lungamente, intensamente, ed era come se lo baciasse sul quel volto ancora giovane e bello. “Non potrei resistere alle sofferenze, sarebbe atroce e io non sono coraggioso… giura Mal, giura”. E lei aveva giurato. Cavò dalla grande tasca il piccolo oggetto che vi aveva nascosto. Freddamente e deliberatamente puntò la rivoltella. Uno sparo. La sua ultima dichiarazione d’amore. Da un giornale della sera – 11/ 11/19… “L’ assassina si è lasciata prendere senza opporre resistenza…”. Da un quotidiano – 14/11/19…” … Si è scoperto che le lastre erano state scambiate e che il dottore era guaribile in pochi mesi…”. © Riproduzione riservata

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