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Madonna della Rosa: un bene da salvare Frammenti di storia
15 settembre 2003

di Marco de Santis S.O.S. Save Our Souls. Il fiore mistico dei campi, la chiesetta rurale di Santa Maria della Rosa ha bisogno dell'aiuto di tutti: necèssita di urgenti interventi di restauro. La rapina del tempo e l'azione implacabile degli agenti atmosferici non perdonano. Nel subisso degli anni, il caldo, il gelo, l'umidità e le piogge hanno prodotto inevitabili danni. Ad essi occorre far fronte tempestivamente, anche considerando la vetustà dell'edificio. Non bisogna infatti dimenticare che la chiesa-torre della Madonna della Rosa (nella foto), dotata di caditoia, pozzo e cisterna e situata sulla via del Mino, ha un'antichità di tutto rispetto, che rimonta almeno al primo Cinquecento. Lo si desume da una notizia riportata da Francesco Samarelli nell'opuscolo Chiese e cappelle esistenti a Molfetta (1941), dove si legge che nel biennio 1549-1550 le entrate e le uscite relative all'amministrazione della chiesetta erano sottoposte al visto di un «razionale» (oggi diremmo contabile o revisore dei conti). Chi s'incaricava di rappresentare un ente o un ordine, di trattarne gli affari e provvedere alle necessità dei beni posseduti, erano i procuratori. Per conto del Capitolo della Cattedrale nel 1581 i procuratori di Santa Maria della Rosa erano i canonici Cesare Monno e Giovan Battista Schinosa, che il 30 marzo di quell'anno dichiararono di aver ricevuto dal «sacristano» don Giovanni di Pinto un calice, sul cui pomo c'era il nome di don Renzo Volpicella, un camice di tela con l'amitto e una pianeta di «ormesino verde» per officiare nella cappella rurale. È quanto si ricava da una ricevuta dell'Archivio Diocesano, rinvenuta nell'aprile del 1982 dall'insegnante Elena Altomare e passata a don Leonardo Minervini, che la pubblicò sul settimanale “Luce e Vita” con una breve premessa. Perché la chiesetta ha quell'intitolazione? Ce lo spiega Antonio Salvemini nel suo Saggio storico della città di Molfetta (1878): «Vien detta della Rosa per ragione delle rose che la Madre ed il Figlio [ritratti sul muro dell'altare] hanno nelle mani e che simboleggiano quella rosa dell'ardente carità materna che Maria dimostra continuamente di avere verso dei suoi figli, come la saluta la Chiesa tuttodì nei divini ufficii col titolo di Rosa mistica». La meditazione e l'ascesi possibili nel raccoglimento della cappella immersa nel silenzio dei campi e il desiderio di mettere in atto opere di misericordia come l'ospitalità ai pellegrini e ai devoti spiegano la richiesta di concessione della chiesa-torre, per la fondazione e l'uso di una grancia gerolamina, avanzata nel secolo XVII al Capitolo molfettese da parte di eremiti di San Girolamo forestieri. Addirittura – ci fanno sapere Corrado Pappagallo e Corrado Pisani – nel 1649 un genovese, Giovanni Sambuceto, volle per testamento essere sepolto nella chiesetta di Santa Maria della Rosa, lasciando un'elemosina di quattro ducati e mezzo a fra Giovan Lonardo Sciancalepore, che serviva nella cappella. E le sue volontà testamentarie furono rigorosamente rispettate, visto che nel primo “Registro dei morti” della Cattedrale, sotto lo stesso anno, risulta una inumazione in Sancta Maria rosarum, come desumo da un libro di don Luigi de Palma sulla Confraternita della Morte. È la prima volta che il titolo della chiesa riporta il plurale «delle rose» (rosarum), perché di solito si riscontra, come s'è visto, il singolare. E il dato è confermato dal dialetto, che ammette soltanto Mêdónnë dë la Róësë, Madonna della Rosa, appunto. Il dialetto, a sua volta, richiama la tradizione popolare della gita fuori porta a la Mêdónnë dë la Róësë, di cui abbiamo notizie certe dal primo Ottocento. Nel 1842 l'usanza era già consolidata, come documenta Michele Romano nel suo saggio storico: «Nel terzo giorno [martedì] dopo la Pasqua [sabato] si accorre alla Madonna della Rosa, senza intervento del Clero, ma dal popolo». Infatti nel Martedì di Pasqua, posto fra le ricorrenze religiose come Aqua sapientiae, col bel tempo era d'obbligo la scampagnata a Santa Maria della Rosa, per divertirsi e mangiare il calzone, l'agnello al forno e la frutta secca. In séguito alle innovazioni liturgiche introdotte da Pio XII alla fine del 1955 per la celebrazione della Settimana Santa, la tradizionale passeggiata campestre è stata anticipata alla Pasquetta, venendo a coincidere, anche per motivi legati alla ridistribuzione delle ferie lavorative, col Lunedì dell'Angelo. Questa è la prima delle cosiddette fìëstë dë rë nëcìëddë o dë rë scarcìëddë, feste delle nocelle o delle scarcelle, che vanno pure sotto il nome di fìëstë chênnêràutë, feste goderecce, dove le nocciole, le nocelline americane e le scarcelle la fanno da padrone. Tra le curiosità storiche, non va omessa una notizia portata alla luce da Pasquale Minervini: dal 1885 al 1895 procuratore dei Benefìci e del legato della Madonna della Rosa fu don Mauro Giuseppe Salvemini, lo «zio prete» di Gaetano Salvemini. Ma non basta: la contrada Madonna della Rosa è un'amena zona residenziale ambita dalla buona borghesia almeno dalla seconda metà dell'Ottocento. Un episodio della villeggiatura estiva degli anni Venti del Novecento ci è stato tramandato dal poeta Sergio Azzollini in versi gioviali e festevolmente ironici, che non mancano di accennare all'imposta sul celibato istituita da Mussolini il 13 febbraio 1927, la quale colpiva tutti gli uomini non ammogliati dai venticinque ai sessantacinque anni. Tra i personaggi menzionati dal ragioniere salveminiano, si riconosce l'avvocato Pantaleo D'Amato, coniugato con donna Giulia Crocetta. Ecco il testo rimato: «Domenica, 3 luglio 1927, signore e signorine molto elette / e la folla in subbuglio dei padrini milionari sol di figli / si dettero convegno senza timore d'agguati e di perigli / di Paolo nel regno in quel della Madonna della Rosa, / contrada rinomata per copia di ville ed arcifamosa / per bella radunata di tipi tutti degni di ricordo / da storia e da poemi dei quali la cuticagna mordo / come se fosse crema. Non mancano il Notaro e l'Avvocato / in detta compagnia. L'Avvocato nobile molto amato / buon cuoco in fede mia e il Notaro che solo latte piglia / la sera andando a letto, ma che mangia polpi ricci a pariglia, / trovandosi a banchetto. Non manca l'uom d'acciar assai potente, / cavalier, spadaccino nelle cui vene scorre travolgente / blu sangue di micino. Non manca il cacciator furibondo, / che con la fantasia uccide cento lepri messe in tondo, / morte di malattia. Non manca il suonatore di francese, / Girolamo d'Angiò che canta con Tridente in molfettese / romanze rococò. C'è sempre chi porta in calessino / in giacca e panamà Ciccillo che vedrem qualche mattino / a letto in sciarabà. V'è pure il vecchio frammassone / a Mazzini devoto, che mangia un prete e un frate per boccone / a stomaco non vuoto. V'è pure la figura dell'eterno sposo / elegante, azzimato, che a furia di fumar senza riposo / s'è tutto affumicato. Fuma anche il fratello, ma beve in fresco / vin bianco di Sicilia, che regala agli amici per rinfresco / di Gianni la vigilia. Non difetta chi il pubblico diverte / coi venerdì mondani, che pompa dalle tasche sempre aperte / di ricchi e popolani. Dei celibi non parlo con ragione: / mancano i documenti. Paghino la tassa che lo stato impone / e poi saran presenti. Verrebbe or la volta del gentil sesso, / ma il timore mi assale, mi assale il tremito e sto perplesso. / Pavento le cicale, temo le lingue, le unghie acuminate, / limate e lucidate: signore e signorine, deh badate, / la pelle non graffiate. A ricamar abiti chi vi arriva? / A tagliarvi le gonne? Rimetto nel mio sacco la mia piva. / Io non parlo di donne. Nelle donne oggi tutto si assottiglia, / i capelli, i vestiti; sol la lingua cresce e corre a sciolta briglia. / Oh poveri mariti! Or qualcuno potrebbe domandare: / E voi, cantor, chi siete? Silenzio, non è lecito fare / tal domande indiscrete: vi potrebbe sentir il Delegato / e allora patatrac: salterebbe il poeta improvvisato / simile a un tric-trac. Acqua in bocca, torniamo all'argomento / che qui ci ha radunati. Qui conviene che cessi ogni lamento / ed i pensier ingrati. Signore, signorine e fantolini, / messeri d'ogni età, alti, bassi, panciuti e magrolini, / con me gridate: Urrah, urrah per Paolo e la Consorte, / per tutti i figli nati, per tutti i nascituri, buona sorte! / Sinceri siamo stati. Avanti, presto, fuori le guantiere. / Finì la tiritera. Fàccian mole e denti loro mestiere. / Buona sera!». Era gente che senza dubbio sapeva divertirsi e festeggiare, complice il luogo tanto decantato. Per queste e altre ragioni, Santa Maria della Rosa s'impone alla mente e al cuore dei Molfettesi come bene religioso, architettonico, artistico e culturale da salvaguardare senza indugi e da trasmettere, il più possibile integro, alla devozione e alla fruizione delle generazioni future. CAPITOLO CATTEDRALE - MOLFETTA Comitato per il restauro della cappella Madonna della rosa L'antica cappella della Madonna della rosa, posta nell'agro cittadino e cara all'affetto e alla devozione dei molfettesi continua tuttora a svolgere la sua funzione di centro spirituale-mariano specialmente sul territorio che la circonda. Da venticinque anni, infatti, la cappella e i locali sovrastanti sono utilizzati per le attività pastorali dalla parrocchia lì costituita e intitolata alla Madonna della rosa. Negli ultimi tempi, però, a causa della vetustà della costruzione e dei danni provocati dagli agenti atmosferici, si è reso sempre più urgente un radicale intervento di restauro e di consolidamento dell'intero edificio. A tale scopo il Capitolo Cattedrale ha provveduto a far predisporre ed a far approvare dalle autorità competenti il progetto di restauro dell'antico santuario. Grazie all'opera del nostro Vescovo, S. E. Mons. Luigi Martella, si sono ottenuti alcuni contributi per la realizzazione del progetto, ma per la sua attuazione sono necessari ulteriori fondi, con cui dare inizio e compimento ai lavori. Allo scopo di raccogliere i fondi necessari, il Capitolo Cattedrale ha costituito un Comitato, formato dai rappresentanti delle varie categorie cittadine e coordinato dal Presidente del Capitolo; tuttavia tutti i Molfettesi e i devoti possono contribuire all'iniziativa secondo le proprie possibilità. Le offerte possono essere consegnate direttamente presso tre centri di raccolta: 1. la Parrocchia Madonna della rosa (don Girolamo Samarelli); 2. la Parrocchia Cattedrale (Mons. Tommaso Tridente); 3. la Curia Vescovile (don Luigi de Palma). Si ringraziano quanti vorranno esprimere concretamente la loro generosità e la loro devozione verso l'antico santuario mariano molfettese.
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