Le ragioni del reddito per la dignità della persona. Giacomo Pisani parla del suo libro
Intervista al giornalista e filosofo redattore di "Quindici", che ha appena dato alle stampe il suo ultimo lavoro
MOLFETTA - Liberare l'individuo dalle avvilenti spire della povertà, riconoscere la dignità della persona al di fuori dal mercato e costruire uno strumento di emancipazione degli individui, ponendoli nella condizione di poter decidere e progettare la propria esistenza. E' questo il reddito di esistenza formulato da Giacomo Pisani (foto), 25 anni, giornalista pubblicista, storico redattore di Quindici e dottorando di ricerca presso l'Università di Torino, nella sua ultima fatica data da poco alle stampe “Le ragioni del reddito di esistenza universale” (Ombre corte editore, pp93, 10 €).
Il volume verrà presentato a Molfetta il 31 maggio alle 18.30 in Piazza delle Erbe, in occasione di un incontro del volume organizzato dal Comitato di quartiere Catacombe, a cui parteciperanno tre importanti docenti: Giso Amendola, Luigi Pannarale e Franco Chiarello. Intanto Giacomo, ha deciso di anticiparci qualcosa e di fare un po' di chiarezza su presupposi, contenuti e finalità del reddito di esistenza universale.
Per prima cosa: perché un reddito di base o di cittadinanza? Possiamo considerarlo un semplice ammortizzatore sociale? O qualcosa di più?
«Il reddito di esistenza non è semplicemente un ammortizzatore sociale, teso a tenere a bada la marginalità e ad integrarla socialmente. Il reddito di esistenza, nella mia formulazione, è un reddito universale e incondizionato, a cui tutti hanno diritto, teso a riconoscere la dignità della persona al di fuori delle leggi del mercato. Esso, assicurando la sopravvivenza della persona al di là del suo lavoro o della sua posizione sociale, è uno strumento che favorisce l’autonomia e la libertà della persona all’interno della società».
Nel tuo pamphlet il reddito di base appare collegato alla proprietà privata, configurandosi come una sorta di risarcimento. Puoi spiegarcelo meglio?
«Il diritto moderno è un diritto di matrice proprietaria, le cui categorie paradigmatiche sono il pubblico e il privato, entrambe caratterizzate da un accentramento verticistico del potere. Secondo i post-operaisti dobbiamo mettere in questione il diritto proprietario di matrice fordista, in quanto la produzione oggi non è più connessa con la mansione contrattuale determinata dal capitale, come è stato nella modernità. Oggi la produttività si è smaterializzata e si è diffusa alla vita tutta intera, e il capitale la sussume appropriandosi a posteriori del valore sociale prodotto. Per questo è necessario che anche la produzione immateriale legata alle capacità cognitive e relazionali che sviluppiamo al di fuori del lavoro tradizionalmente inteso siano retribuite. Io ho alcune perplessità su questa lettura e penso che il capitale sia ancora determinante rispetto alle forme di vita, di relazione e di produzione. Per questo, credo che il reddito sia più uno strumento di intensificazione del conflitto, che il risarcimento rispetto ad una qualche produttività a-specifica nel mercato».
Quello del reddito di cittadinanza è un tema che gode ormai di una dimensione internazionale. Eppure molti continuano a sostenere che i diritti sociali debbano avere una base lavorista...
«Il welfare classico ha una impostazione fortemente lavorista. Il soggetto di riferimento è il cittadino lavoratore padre di famiglia. Il problema è che il lavoratore garantito non è più il soggetto paradigmatico in Italia come in gran parte d’Europa. E’ necessario allora un modello di welfare che sia adeguato ai bisogni del nostro tempo. Il reddito di esistenza mira a decostruire il mercato come modello assoluto di definizione della realtà. Se persino la sopravvivenza è ascritta ad esso, nessuna rimodulazione è possibile. La dimensione transnazionale in cui si inserisce il reddito deriva dal fatto che esso pone con forza la necessità della costituzione di una sovranità politica in grado di porsi a regolazione dei processi economici che investono l’Europa. La creazione, da questo punto di vista, di un soggetto politico, va di pari passo con l’elaborazione sul reddito e sul recupero della sovranità».
Comunque sia è un argomento ormai a pieno titolo entrato nel dibattito politico in diversi paesi europei. In Italia il Movimento Cinque Stelle, Rifondazione Comunista e Sel ne parlano da tempo ma la sensazione è che si sia molta confusione: nessuna differenza tra reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito. Tu che idea ti sei fatto delle proposte dei partiti?
«Nel dibattito politico si parla quasi sempre, in Italia, di reddito condizionato, legato all’inclusione lavorativa e diretto ai disoccupati. Eppure l’elaborazione sul reddito universale sta diventando uno dei temi caldi del dibattito all’interno della teoria politica e della teoria del diritto a livello mondiale. Forse perché il reddito condizionato è presente da tempo in tutta Europa tranne che in Italia e in Grecia.
Credo che il carattere incondizionato del reddito sia importante per i motivi di cui abbiamo parlato. Quanto alla sua universalità, può invece essere vista come obiettivo limite, facendo leva invece su una processualità che va di pari passo con un processo di recupero della sovranità, attraverso la creazione di un soggetto politico di conflitto che strappi spazi di elaborazione e di progettazione della realtà al mercato».
Nel tuo saggio il reddito di base viene individuato come una sorta di grimaldello con il quale scardinare alcune categorie della moderna teoria sociale del diritto. In che senso?
«Parlare di reddito Ci costringe a discutere alcune categorie centrali nella teoria del diritto in tutta la modernità: il rapporto fra reddito e lavoro, il modello di produzione, la sovranità politica, i diritti fondamentali, la cittadinanza ecc. Sono temi di cui avremo occasione di parlare a Molfetta il 31 Maggio alle 18.30 in Piazza delle Erbe, in occasione della presentazione del volume organizzata dal Comitato di quartiere Catacombe, a cui parteciperanno tre importanti docenti: Giso Amendola, Luigi Pannarale e Franco Chiarello. Certamente il reddito, strappando la sopravvivenza al mercato, si inserisce all’interno di una dialettica del riconoscimento di alcuni diritti alla persona in quanto tale, in base ai suoi bisogni e desideri, indipendentemente dalla posizione sociale che occupa. Il riconoscimento dei bisogni alla base dei diritti, con la conseguente costruzione di uno spazio “comune”, fatto di beni e servizi non ascrivibili al mercato e rimessi alla condivisione e alla relazione, è anche alla base della costruzione di nuovi spazi di socialità e di nuovi significati condivisi. Questi mettono capo alla creazione di un’idea di comunità inedita, a partire dalle macerie della postmodernità. Al contempo, il rapporto tra diritto e rapporti sociali è invertito, perché questi ultimi , con i bisogni che li innervano, divengono il fondamento del riconoscimento giuridico e il motore della storia di una comunità. Di quella comunità che sabato 31, in una piazza tagliata fuori da troppo tempo dagli eventi cittadini, potrà ritrovare spazi di confronto e di condivisione, per la costruzione di un terreno in cui dare spazio alla vita-in-comune».
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Onofrio Bellifemine