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La società civile? Un’occasione sprecata Il centro-sinistra si interroga sul futuro e cerca il candidato sindaco
15 ottobre 2000

di Lella Salvemini Sarà che di sedute di Consiglio comunale da seguire con il fiato sospeso ce sono state troppe, fino al diffondersi della convinzione che una buona stella proteggesse Guglielmo Minervini, capace di uscire per il rotto della cuffia dalle situazioni più spinose, il fatto è che la sua caduta ha colto un po' tutti di sorpresa. Passato lo sconcerto comincia il tempo dei bilanci, quello amministrativo è in fondo facile da fare, basta guardare quel che si è fatto o criticare quel che non si è fatto, quello politico ha un volto mutevole, difficile da definire. L'inizio con il “Percorso” Bisogna cominciare per forza dal “Percorso”, quello vero, quello nato per scompaginare gli schemi della politica cittadina. Una pazzia, tale pareva all'inizio la formula, partiti di sinistra più società civile, sullo stesso piano, con l'obiettivo di elaborare dal basso un programma di governo e individuare un candidato sindaco, il primo eletto direttamente dai cittadini in applicazione della nuova legge elettorale. Clima di piena Tangentopoli, i partiti considerati responsabili di tutti i mali e la media borghesia cittadina, fatta prevalentemente di professori e impiegati, che decide per una volta di farsi protagonista. Si elegge uno che di politica non sa in pratica nulla, che si occupava di pace, scelto perché fra i molti pareva il migliore e il criterio funziona anche per l'individuazione degli assessori: giunta tecnica e partiti fuori. La questione della partecipazione La parte più difficile sembrava già fatta, si trattava di realizzare il "libretto verde", di tenere fede con gli atti di governo agli impegni presi in campagna elettorale, si è capito dopo che invece cominciava allora. Sindaco e giunta sono partiti a razzo nell'ansia di realizzare, di dimostrare d'essere diversi e migliori, di concretizzare atti, con un ritmo che nemmeno il Consiglio comunale è stato a volte in grado di seguire. Se ne sono sentiti tanti di consiglieri, anche di quelli fedeli, che mai hanno creato problemi, lamentarsi di non sapere quale fosse la loro funzione, chiedersi se il loro compito fosse solo quello di alzare la mano per approvare provvedimenti decisi in solitudine dalla giunta. I mesi d'attività del “Percorso” e la campagna elettorale erano stati caratterizzati da uno straordinario processo di partecipazione, ed è probabilmente proprio questo il piano sui cui si è deciso il carattere politico di questi anni. Partecipazione dei partiti, forze politiche organizzate, ancora esistenti, per quanto messe all'angolo, ma in quel momento soprattutto di tutti coloro che si erano sentiti per otto mesi dei "piccoli sindaci", che avevano animato il “Percorso”, che sentivano quell'esperienza come la loro e che scoprivano, da un momento all'altro, di non farne più parte. La liquidazione della base L'indicazione dall'alto è stata quella del rompete le righe, la società civile, raggiunto il suo scopo, poteva tornare tranquillamente a fare la società civile, a lavorare nelle associazioni, nel volontariato, nelle società sportive, la politica era ormai cosa di pochi. Il patrimonio d'energie, messo in moto anche per un caso fortuito, si è a poco a poco smarrito per strada, in molti sono tornati a casa, a giudicare l'attività dell'amministrazione da una mattonella non sostituita o da una lampadina fulminata, solo in pochi hanno resistito nel “Percorso”, ormai solo una lista, o in altri gruppi politici. La spinta del movimento, la forza che il movimento poteva rappresentare si è esaurita, senza considerare che probabilmente questa forza era l'unica difesa contro il riflusso montante, contro l'alzare la testa di coloro che l'amministrazione Minervini consideravano solo un episodio spiacevole, una parentesi da chiudere in fretta, non una svolta. Si poteva fare altrimenti? Si poteva almeno provare a fare altrimenti, in qualche modo questa riserva di forza e d'idee non doveva essere sprecata, invece la voglia di molti di farsi comunità, di mettere competenze ed energie a disposizione della città è stata disconosciuta. Così che quella Minervini è diventata una buona amministrazione, non diversa, però, da una qualsiasi altra buona amministrazione. La situazione dei partiti Ancora peggio è andata ai partiti, crisi generale, di configurazione e di senso, che a Molfetta si è palesata tutta. Nel suo comizio d'addio di domenica 8 ottobre, Guglielmo Minervini ha espresso soddisfazione per la tenuta della coalizione, i rappresentanti dei partiti di centro sinistra erano, più o meno convinti, tutti seduti attorno a lui. Peccato che nessuno degli stessi rappresentanti sia stato in grado negli ultimi due anni, quelli del secondo mandato Minervini, di esercitare un minimo di controllo sui loro esponenti in Consiglio comunale, tutti, in misura più o meno evidente, hanno perso alcuni degli eletti nelle loro fila, magari travasati in un altro partito o movimento della stessa maggioranza. Il problema sta tutto nell'attribuzione delle responsabilità, difficile stabilire se i partiti fossero già comunque gusci vuoti o se Guglielmo Minervini li abbia resi tali, facendo sistematicamente a meno della loro funzione. Senza dimenticare che certi processi hanno carattere nazionale, in un periodo di transizione che pare non avere fine. Quel che sappiamo, anche per averne più volte scritto nelle pagine di questo giornale, è che i partiti, schiacciati da un'attività amministrativa che spesso ha saltato tutte le tradizionali mediazioni, che ha scelto, deciso, eseguito senza quella fase di consultazione che è sembrata un'inutile perdita di tempo, hanno risposto levando alto il lamento della visibilità. Fin qui nulla di male, se non fosse stato che la visibilità si è tradotta spesso non nel chiedere che scelte importanti, come quella riguardante la zona Asi o gli ipermercati, prima di essere assunte, fossero discusse nelle sedi di partito, nella città, in Consiglio comunale, ma nella richiesta di occupare assessorati e presidenze, quasi che un partito diventi visibile solo se seduto in una poltrona. I momenti di svolta Aspetti della storia da comporre con tanti altri, quelli che costringono a ragionare con i se, ad ipotizzare cosa sarebbe successo qualora quella volta invece di una scelta ne fosse stata fatta un'altra. Cosa sarebbe successo se alla prima defezione d'alcuni consiglieri comunali, quelli che con linguaggio da cartoon furono chiamati "power ranger", Guglielmo Minervini avesse accettato la sfida e si fosse appellato alla città, se non avesse scelto la strada della mediazione e accettato l'ingresso nella maggioranza di consiglieri eletti nelle file dell'opposizione. Fino all'ultima scelta, quella che è facile oggi definire letale, l'operazione De Sario, che non è servita nemmeno a garantire l'approvazione del Prg cui Guglielmo Minervini teneva sopra tutto, ma che ha deluso chi ha davvero creduto che i metodi della politica potessero essere diversi. Il vuoto del presente E così si è arrivati al presente. Guglielmo Minervini domenica 8 è sceso dal palco è ha lasciato dietro di sé un gran vuoto. Vuoto perché il popolo democratico era accorso all'Odeon, ancora una volta, in fondo solo per lui e bisognerà ora pagare il prezzo per questa personalizzazione, vuoto perché in fondo non è stato fatto molto per creare una nuova classe dirigente che continui il lavoro fatto, che si impegni a ricominciare con gli stessi obiettivi. Anche se, al di là da tutte le possibili valutazioni sull'operato di questi anni, ad alcune regole non si potrà rinunciare, a cominciare dai metodi per la scelta del candidato sindaco e per la definizione delle priorità amministrative. Un vuoto da riempire, i mesi fino a primavera non saranno facili per chi della politica, nonostante qualche delusione, non si è ancora stancato.
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