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“La nostra non è una riforma classista” INTERVISTA – Il sottosegretario al Miur, on. Valentina Aprea
15 febbraio 2003

Sulla nuova legge di modifica della Scuola secondaria superiore abbiamo intervistato il sottosegretario al Miur (ministero istruzione, università, ricerca), on. Valentina Aprea (nella foto con il preside de Pietro). La riforma della Secondaria superiore ha previsto una distinzione fra i licei, i tecnici, i professionali. Quali sono stati i motivi ispiratori di questa articolazione che appare “classista”? “Occorre anzitutto precisare che la 'distinzione' tra vari tipi di percorsi nella scuola secondaria di secondo grado è sempre esistita, come ricchezza di alternative e di approcci allo studio differenti, che ha da prodotto risultati anche molto lusinghieri nei decenni scorsi: cito come unico esempio la grande tradizione dell'istruzione tecnica. Ciò che ha costretto a riformare questo assetto consolidato è stata l'approvazione, alla fine della scorsa legislatura, di alcune rilevanti modifiche costituzionali. Tra queste, voglio richiamare quella contenuta all'articolo 117, secondo cui le Regioni hanno competenza esclusiva in materia di “istruzione e formazione professionale”. Questa netta distinzione di ordine istituzionale (“istruzione e formazione professionale” alle Regioni, “istruzione” allo Stato) non deve, a nostro giudizio, causare l'istituzione di 2 sistemi educativi completamente separati. Per evitare il rischio “classista”, il disegno di legge delega prevede anzitutto che il sistema sia unitario, che lo Stato fissi gli standard minimi anche per i percorsi dell'istruzione e formazione professionale, così da rendere certificate e valide su tutto il territorio nazionale le varie qualifiche conseguite alla fine di essi. In secondo luogo, il disegno di legge impegna lo Stato a rendere effettivo il diritto a cambiare idea dei ragazzi, cambiando percorso”. Negli ultimi 10 anni gli istituti alberghieri hanno dimostrato di saper fornire istruzione e formazione e, in linea con le richieste del mercato del lavoro, hanno raggiunto i livelli di eccellenza che questa nuova riforma insegue. Perché, allora, cambiare, col rischio di tornare indietro? “Il disegno di legge delega, oltre ad essere coerente con il nuovo quadro costituzionale sopra richiamato, si basa su un altro presupposto fondamentale: l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Tale autonomia va finalizzata espressamente a realizzare l'offerta formativa tenendo conto dei bisogni e degli interessi dei ragazzi, nonché delle caratteristiche del territorio in cui si opera. Questa riforma esalta l'autonomia delle istituzioni come strumento efficace per rispondere al diritto al successo formativo di tutti i ragazzi. In questo modo, chi ha già saputo offrire percorsi di qualità potrà vedere riconosciuti sempre più i propri meriti, e nessuno potrà più trincerarsi dietro il più comodo degli alibi: “non ci possiamo fare niente, hanno detto così dal Ministero…”. In che modo, “personalizzare i programmi” significa favorire lo studente? Ciò che la scuola ha perseguito finora non ha mai danneggiato alcuno, ci sembra, puntando al superamento degli svantaggi al fine di raggiungere obiettivi validi per tutti. “La possibilità di personalizzare parte del curricolo consente di approfondire quelli aspetti o quei contenuti che più interessano. La molteplicità delle discipline, del resto, non consente di approfondire tutti i diversi aspetti che tutti i diversi ragazzi desidererebbero. Mi sembra che si imponga un'alternativa: o allunghiamo ancora il tempo scuola, oppure prevediamo che – una volta stabilite le conoscenze fondamentali che tutti i ragazzi devono acquisire – le restanti ore di lezione siano organizzate per gruppi, in base agli interessi e attitudini. A meno che “obbiettivi validi per tutti” non significhi obbiettivi uguali per tutti. Il che, francamente, avrebbe richiami sinistri…” Non crede che se si dà l'opportunità ai giovani di interrompere lo studio per lavorare, poi c'è il rischio che non tornino più a scuola? L'Italia già possiede un primato in tema di abbandono scolastico, in questo modo anziché favorire il recupero dell'evasione non si rischia di incrementarla? “Sono lieta di constatare che condividiamo sull'individuazione del problema, vale a dire l'abbandono scolastico (cui, aggiungo, l'alto tasso di insuccesso). Il monitoraggio delle politiche di innalzamento dell'obbligo ci hanno mostrato che la semplice estensione dell'obbligo scolastico non ha portato risultati significativi e, soprattutto, strutturali; al compimento del quindicesimo anno di età i ragazzi se ne andavano comunque, spesso con una bocciatura. Ci siamo allora interrogati sulla possibilità di modificare la natura dell'attuale obbligo scolastico, fino alla definizione proposta nel disegno di legge delega del “diritto – dovere all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni”. L'innalzamento dell'obbligo fino ai 18 anni, tuttavia, potrà essere efficace solo se l'offerta formativa sarà diversificata nei vari percorsi, e se comprenderà nuove modalità di apprendimento, come l'alternanza scuola – lavoro. In questa modalità, introdotta e definita all'art. 4 del disegno di legge delega, viene superata la distinzione stereotipata studio teorico – lavoro manuale. In un percorso formativo unitario, progettato dal ragazzo insieme al docente tutor, infatti, sono previsti stage nel mondo lavorativo (e in campo sociale) con piena valenza formativa. L'alternanza scuola –lavoro, pertanto, non è una rivisitazione dell'apprendistato, non costituisce rapporto di lavoro con qualche ora di formazione teorica, bensì l'esatto opposto”. Adelaide Altamura
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